(Adnkronos) – E’ stata rinviata, a data da destinarsi, l’udienza inizialmente fissata per lunedì 20 novembre per consentire alla difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio, di visionare – per la prima volta – i reperti della vittima. Lo ha stabilito il presidente della corte d’Assise di Bergamo Donatella Nava, dopo che i legali Claudio Salvagni e Paolo Camporini hanno presentato un “ricorso straordinario per errore materiale o di fatto” della sentenza della Corte di Cassazione del 21 novembre 2021 che consente ai difensori non solo di visionare ma anche di mettere le mani sugli abiti della giovane ginnasta e sulla traccia genetica che è la prova regina contro Bossetti.
Accogliendo la richiesta dei legali, la corte – nell’udienza le parti avrebbero potuto solo guardare quanto conservato da anni negli scatoloni (leggings, slip, scarpe, felpa, giubbotto della 13enne di Brembate) – ha ritenuto di attendere la decisione della Suprema Corte.
Nel ricorso, da quanto risulta all’Adnkronos, i legali evidenziano come nella sentenza depositata il 26 luglio 2023 i giudici della Cassazione sottolineano come l’autorizzazione “deve ritenersi irrevocabile, valida, vigente, intangibile e non può essere in alcun modo discussa”, tuttavia inseriscono un “evidente errore di fatto” laddove fanno riferimento al provvedimento del 27 novembre 2019 emesso dal presidente del tribunale di Bergamo e inseriscono “erroneamente” la ‘nota’ del 2 dicembre 2019 (indirizzata esclusivamente all’Ufficio corpo di reati e non alla difesa), in cui lo stesso giudice orobico ‘rettifica’ la decisione di soli cinque giorni prima e “precisa che l’autorizzazione concerne la mera ricognizione dei corpi di reato (…) rimanendo esclusa qualsiasi operazione di prelievo o analisi degli stessi”.
Insomma non è più possibile toccare gli abiti di Yara, né provare a ottenere nuove risposte dai campioni di Dna. Un dietrofront inaccettabile per la difesa che nel ricorso, estremamente tecnico e con più richiami a sentenze delle Sezioni Unite, rimarca come un giudice non può contraddire una precedente decisione (in questo caso correggendo addirittura se stesso) e che va dunque ribadita la correttezza della pronuncia della Cassazione che fa riferimento alla decisione del novembre 2019 nel punto in cui consente l’analisi dei reperti, in particolari di quelli biologici, e non solo la visione. Un errore che crea l’attuale stallo e su cui ora la Suprema Corte dovrà nuovamente pronunciarsi.
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