Federazione Pro Natura, Greenpeace Italia, Legambiente, Marevivo, Touring Club Italiano, WWF chiedono in una nota mandata oggi alle Regioni che si definiscano alcuni punti fermi – in previsione dell’incontro delle Regioni con il Ministero dello sviluppo economico – considerata l’incapacità di innovare del Governo, schierato a ostinata difesa di uno sviluppo economico “business as usual” (secondo gli schemi consolidati), con effetti molto pesanti sul nostro tessuto sociale e ambientale.
Serve, invece, una visione, un disegno organico che ci consenta di superare il deficit ecologico delle nostre scelte economiche, di affrontare la transizione verso un’economia sostenibile e di favorire lo sviluppo dei settori più avanzati tecnologicamente. In tale prospettiva rileviamo che:
Manca un Piano Energetico Nazionale che punti decisamente alla progressiva de-carbonizzazione dell’economia e che consenta di accelerare e gestire dal punto di vista economico-sociale il periodo di transizione e un Piano d’azione per il Clima che stabilisca obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di gas serra, settore per settore (energia, industria, trasporti, agricoltura, edilizia);
Un Piano d’azione per il Clima che emancipi il Paese dalle fonti fossili, sostenga decisamente la ricerca e l’innovazione delle aziende italiane nelle fonti rinnovabili, nell’efficienza energetica e nei sistemi di accumulo, e punti ad abbandonare i sussidi diretti e indiretti ai combustibili fossili, rottamando la Strategia Energetica Nazionale pro-fossili, approvata nel marzo 2013, negli ultimi giorni del Governo Monti;
La strada che dobbiamo percorrere è ben illustrata dall’impetuoso sviluppo delle energie rinnovabili, che già oggi soddisfano il 38% dei consumi elettrici del nostro Paese, facendo dell’Italia il quarto Paese al mondo e il secondo in Europa per l’ammontare degli investimenti nelle energie pulite (secondo il rapporto redatto da Bloomberg per il Pew environmental group);
Il Governo in campo energetico non ha politiche coordinate e autonome di lungo respiro, che si distinguano in maniera significativa dal semplice sostegno all’operato delle multinazionali energetiche sotto il controllo pubblico. Il mito della politica estera parallela dell’ENI viene messo in discussione dalle vicende di sospetta corruzione in terra di Nigeria, che saranno verificate dalla magistratura. ENEL ha annunciato la progressiva dismissione in Italia di 23 centrali a combustibili fossili, che salutiamo con favore, ma senza che ci sia una regia pubblica e siano indicati tempi certi, anche per l’uscita totale dal carbone;
Per il Governo, sviluppo economico significa puntare sulla ricerca degli idrocarburi, oltre che a terra, in particolare nei nostri mari (Adriatico, Ionio, Stretto di Sicilia e mar Balearico al Nord Ovest della Sardegna), quando il fabbisogno energetico nazionale verrebbe garantito solo per 7 settimane dai giacimenti di petrolio conosciuti (secondo fonti DGRME – Ministero dello Sviluppo Economico – MISE);
E’ quindi singolare che il MISE, ovvero il Ministero, che si dovrebbe occupare dello sviluppo di tutte le attività economiche del nostro Paese, taccia su quelle attività che verrebbero messe a rischio dalle trivellazioni offshore: solo il settore turistico balneare delle Regioni adriatiche del Nord genera 10 miliardi di euro l’anno in spese di beni e servizi e l’Adriatico è una delle aree più produttive per la pesca del Mediterraneo, per non parlare delle attività turistiche e di pesca consolidate nel Sud della Sicilia (dove a Mazara del Vallo c’è la più grande flotta peschereccia del Mediterraneo) o del turismo, fonte primaria dell’economia della Sardegna (che nel nord dell’isola ha gli insediamenti turistici più ricchi);
Le scelte operate nel tempo dal Ministero dello Sviluppo Economico rischiano di produrre danni ambientali ed economici irreparabili alle economie e alle popolazioni locali (basta ricordare il conflitto tra il progetto di piattaforma petrolifera di Ombrina Mare e l’istituendo parco nazionale della Costa Teatina in Abruzzo), come è stato dimostrato dalla vicenda del gravissimo incidente occorso nel giugno 2010 alla piattaforma Deepwater Horizon, che ha provocato il più grave inquinamento marino mai registrato negli Stati Uniti (con effetti anche in Messico, a migliaia di chilometri di distanza);
Le politiche del Ministero dello Sviluppo economico negli ultimi anni hanno condizionato la politica del Governo, procedendo in direzione ostinata e contraria agli interessi delle popolazioni costiere (come dimostra anche la grande manifestazione di Lanciano in Abruzzo, del maggio scorso): dall’articolo 35 decreto Sviluppo del 2012 del Governo Berlusconi, che ha compiuto una sanatoria nei procedimenti in corso per le trivellazioni anche nella fascia vietata delle 12 miglia dalla linea di costa; sino ad arrivare all’articolo 38 del decreto Sblocca Italia del 2014 del Governo Renzi, che trasforma prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in attività strategiche, accelerando e rendendo più opache le procedure autorizzative per attività ad alto rischio ambientale; mentre si mira ad un recepimento parziale e pro-petrolieri della Direttiva europea Offshore.
Sette Regioni hanno impugnato di fronte alla Corte Costituzionale l’articolo 38 del decreto Sblocca Italia ed ora si sta seriamente dibattendo su proposte di referendum abrogativo dell’art. 35 del decreto Sviluppo.