Il 2015 è stato l’anno più tragico dall’inizio della guerra siriana. A farne le spese i civili siriani stremati dall’inasprirsi del conflitto, dal blocco degli aiuti e dallo stato d’assedio in cui molti si trovano: sono circa 250 mila le vittime secondo le stime delle Nazioni Unite dall’inizio del conflitto – oltre 50 mila solo nel 2015 – con 12 milioni di siriani all’interno del Paese che non hanno accesso all’acqua potabile e 9 milioni costretti a vivere in condizioni insicurezza alimentare. Un contesto atroce, in cui le grandi potenze mondiali, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU – come Russia, Stati Uniti, Regno Unito e Francia (4 su 5) – non hanno risolto l’emergenza umanitaria in atto, ma al contrario hanno contribuito a esacerbare la crisi: attraverso pressioni diplomatiche inadeguate, minando le risoluzioni da loro stesse approvate, fornendo sostegno politico e militare alle diverse parti in conflitto o mediante la stessa azione militare sul territorio siriano.
Di fronte alla peggiore tragedia umanitaria dalla seconda guerra mondiale, ora però non si può più rinviare: è necessario che i leader mondiali trovino la strada per rafforzare l’unico barlume di speranza rappresentato dal fragilissimo cessate il fuoco appena raggiunto.
E’ l’appello diffuso oggi da 30 organizzazioni firmatarie tra cui Oxfam, Save the Children, Norwegian Refugee Council, Care International e organizzazioni della società civile siriana come The Syrian-American Medical Society (SAMS), Big Heart e Syria Relief and Development, attraverso il rapporto Siria: benzina sul fuoco rilanciato in Italia nel quadro della campagna #WithSyria, che fotografa il caos e la frammentazione in cui è ulteriormente piombata la Siria a cinque anni dall’inizio del conflitto.
Il quadro umanitario all’indomani del peggior anno dall’inizio della crisi
Nonostante il fragile cessate il fuoco, entrato in vigore a fine febbraio, la situazione umanitaria dell’ultimo anno in Siria appare sempre più drammatica:
- oltre 50 mila vittime, anche per effetto degli attacchi aerei dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza; (esclusa la Cina), che secondo le Nazioni Unite hanno portato alla morte di circa 2.300 persone solo lo scorso novembre;
- la distruzione parziale o totale di oltre 200.000 abitazioni (con un aumento del 20% rispetto al 2014), che ha costretto oltre 1 milione di persone ad abbandonare le proprie case;
- oltre 1,5 milioni di persone in più dipendenti dagli aiuti umanitari;
- un aumento del 44%, rispetto al 2014, degli attacchi contro ospedali e strutture sanitarie;
- oltre 500 mila civili costretti a vivere in zone sotto assedio, secondo le stime più recenti dell’ONU;
- oltre 400 mila bambini che non possono andare a scuola, portando il totale ad oltre 2 milioni;
- circa 500 mila persone costrette a vivere in aree sotto assedio (la comunità assediata più estesa è quella di Deir Ez Zor, con 200 mila persone ancora intrappolate senza alcun aiuto);
- un blocco pressoché totale degli aiuti umanitari: le Nazioni Unite, per esempio, sono riuscite a garantire assistenza sanitaria soltanto al 3,5% della popolazione in zone assediate, mentre meno dell’1% è riuscito, nell’ultimo anno, a ricevere cibo.