Taranto prima di tutto
Giovedì Santo, wind day. Il maestrale investe la fabbrica e sposta le polveri sottili. Lucrezia Saniva, fotografa per passione e commessa in una cartoleria per sbarcare il lunario, vive sola in una casa degli spiriti e dialoga col fantasma del commissario Maigret. A mezzanotte, prima della processione dell’Addolorata, un attentato all’Ilvaferma la città, i riti della Settimana Santa e colpisce alcuni membri della famiglia Volk, simbolo del gruppo siderurgico. Le indagini del dottor Iacovelli, col quale Lucrezia collabora, si indirizzano prima verso il gruppo che negli anni Settanta aveva fallito un attentato all’Italsider, poi verso esponenti di associazioni ambientaliste. Tra rigurgiti di terrorismo, un furto al Museo e un’antica narrazione collettiva, si snodano semplici storie personali sullo sfondo di una città complicata e bellissima.
In Winday di Daniela Stallo edito da Armando editore, l’autrice approfondisce un legame, quello con la città di Taranto, che è croce e delizia, un abbraccio sempre desiderato ma a volte soffocante, addirittura tossico e, nonostante ciò, nuovamente anelato. Tra le bellezze della città si muove Lucrezia Saniva, una fotografa per passione, che collabora alla soluzione di un giallo.
Realtà e finzione si fondono in un racconto che sfiora la vita dell’autrice, ci ricorda i grandi classici della letteratura, ripercorre fatti di attualità da dimenticare e parla di persone, tante persone con le loro vite e le loro emozioni.
Daniela Stallo è nata a Taranto nel 1966. Giornalista pubblicista, ha collaborato a quotidiani locali, occupandosi di questioni politico-amministrative e di cultura. Vive a Pisa, dove insegna nelle scuole secondarie superiori. Ha pubblicato La città sul mare (2011) e Bruciati vivi (2021).
Winday di Daniela Stallo: intervista all’autrice
Prima di Winday lei ha scritto La città sul mare nel 2011 e poi Bruciati vivi nel 2021. Tra il primo e il secondo romanzo sono passati diversi anni. Come mai questo ritorno alla scrittura di romanzi dopo tanto tempo?
In questi anni ho continuato a scrivere, a lavorare sulla scrittura e a studiare. Non ho mai smesso di scrivere, ho scritto questi due romanzi e altri due attendono la revisione profonda. Quella che è mancata è stata la pubblicazione. Vorrei dire per una scelta personale, volontaria. È vero solo per i primi tre anni. Poi ho ricominciato la ricerca dell’editore. Se non si hanno santi in Paradiso e non si è nessuno non è facile pubblicare. Non sempre abbiamo il controllo sugli eventi, poco dipende da noi. L’editoria è un mondo complicato, che segue meccanismi rigidi che ho dovuto imparare a conoscere, ad accettare, mi ci sono mossa dentro in maniera prima riluttante, poi più leggera. Le cose sono successe, due case editrici, la pubblicazione, ma nulla è stato facile, e i libri già scritti hanno dovuto essere ripensati, aggiornati. Il tempo passava, io cambiavo, la mia maniera di scrivere, e anche i personaggi chiedevano vite diversa.
La protagonista indiscussa del libro è la città di Taranto, la sua città, la città dov’è nata e con cui ha un rapporto di amore e odio. Ci può dire perché?
È una malattia, lo scrivo nel libro, un male che appartiene a ogni tarantino. Non è accertato se sia nata prima o con la città, di sicuro ogni tarantino è infetto. E ciascuno lo accoglie in maniera diversa, come se la reazione dipenda dalla categoria di corpi a cui appartiene, capelli, altezze e scheletro. Abbiamo un amore folle verso la città, nessun forestiero può toccarla, parlarne male, la teniamo nelle viscere, e al tempo stesso proviamo per lei una sorta di ira, di fastidio, spesso la biasimiamo, ci è insopportabile l’immobilità, la sua inedia, il nostro stesso carattere. E così molti sperano di andarsene, e io sono andata.
Adesso la guardo da lontano, non vedo l’ora di tornarci e appena arrivata fremo per andare via. Un prototipo anch’io, di quel male particolare, l’altalenarsi se andare o restare; una volta distanti, la voglia di rientrare e, appena tornati, l’impellenza di fuggire. Una maledizione.
Taranto è la città dei ricordi, che confondo, che si modificano, diventano abnormi o talmente piccoli che non riesco più a vederli. È il desiderio, quello che avrei voluto fosse stata, e mi avesse dato. La amo, un amore irrazionale, e non la sopporto
La protagonista di Winday è Lucrezia Saniva, una fotografa che collabora alle indagini sull’attentato all’Ilva. Ci può anticipare qualche stranezza della sua protagonista?
Parla con Maigret, innanzitutto. Io parlo con Maigret e ho trasferito a Lucrezia questa stranezza. Ho iniziato a leggere Simenon a dieci anni, quando trovai nello studio dei miei genitori l’intera collezione dei suoi gialli nell’edizione Mondadori. Li ho letti e riletti, negli anni ho comprato altre edizioni, li colleziono, a casa ho scaffali dedicati, altari, proprio come Lucrezia nel romanzo. Mi piace Simenon, ma ho un rapporto personale con Maigret, ho negli anni immaginato la sua Parigi, il suo ufficio, la brasserie Dauphine. Così è diventato un amico immaginario.
Lucrezia è malata come tutti i tarantini, vive lì, ma vuole andarsene, stava a Milano, ma poi è tornata, è una fotografa, ma di foto ne scatta poche, vive sola e osserva la città, pensa. Non è un personaggio semplice, nessun personaggio lo è, in questo libro.
Nel suo libro la realtà è un’unica maglia stretta con la finzione. Cos’è che l’ha appassionata di più nel processo creativo? Ricostruire la storia o lasciarsi trasportare dalla fantasia per modificarla?
Questo libro ha diversi livelli narrativi e più vite che si relazionano. Ricostruire gli eventi storici su cui si basa il romanzo è stata un’operazione molto interessante, cercare le fonti, cercare come sono diventate, oggi, le persone di quei fatti. Poi ho dovuto creare una finzione, far diventare i fatti verosimili, ma credibili. Meno appassionante. Mi diverte invece scrivere dei personaggi, non sono mai del tutto fantastici, ci metto molto di chi incontro per strada, del vicino, di un conoscente perduto di vista. Non sono mai leggiadri, però, hanno vissuti impegnativi, e la narrazione si muove nella stessa direzione. Se si cerca un giallo con commissariati leggeri, non è questo il posto dove cercare.
I tre libri che ha scritto sono di genere diverso. Esiste una sorta di filo rosso (anche inconscio) che li lega oppure ha scelto volutamente argomenti diversi per esplorare nuove strade?
Ci sono molte donne, in tutti e tre i libri, raccontate o voci narranti. Anche la fabbrica è donna. E poi, di certo, il filo che lega tra il secondo e il terzo libro, è la follia nascosta, l’animo malato che non si rivela.