C’è un concreta possibilità che siate arrivati a leggere queste righe attraverso un social network, probabilmente Facebook. Siamo fruitori di notizie che si affidano sempre più ai social per curare la propria informazione. Pensateci, è un fatto piuttosto evidente. Ma queste comunità virtuali – sono ancora virtuali, giusto? – stanno riconfigurando un numero sempre maggiore di aspetti delle nostre vite. Cosa, direte, il modo di conoscersi? No, già fatto. Trovare lavoro? Visto. Condividere interessi? Figuriamoci. E allora? Allora – anche – questo: il modo di elaborare un lutto.
Forse vi sarà capitato di leggere – o di scrivere – in seguito alla perdita di una persona cara, alcuni aggiornamenti di stato che esprimevano l’inevitabile senso di perdita provato dall’autore del messaggio. Tristezza, smarrimento, angoscia. Non in privato, né sul diario personale che forse qualcuno ancora avrà, ma nell’unica casa più o meno pubblica delle nostre vite: l’home di Facebook.
Il lutto è una reazione naturale alla perdita di una persona cara, che produce sofferenze mentali e psichiche. Internet sta cambiando il modo in cui alcune persone vivono questa esperienza? Un saggio pubblicato presso l’università di Elon, in North Carolina, approfondisce gli effetti che la modernità digitale ha avuto sul lutto. Un esempio importante è la pagina Facebook per le vittime dell’11 settembre 2001, questa. Con 456.692 likes, e con l’ultimo aggiornamento risalente ad oggi, è il più grande riferimento digitale per parenti, amici e conoscenti delle persone morte negli attentati alle Torri gemelle. Da 13 anni si condividono storie e foto di persone scomparse, si ricorda e ci si consola tra chi non necessariamente si conosce al di fuori di quello spazio virtuale.
Ci sono poi aspetti più diretti, meno legati alla sfera comunitaria. E’ il caso, ad esempio, della perdita di una singola persona che si aveva tra i contatti. Mantenere attiva la pagina di un defunto, inviare messaggi in bacheca, scorrere le sue foto, ripercorrere momenti insieme, è stato considerato (Fearon, 2011) come un modo, per chi resta, di sentire meno lontano chi vicino non sarà più. Oppure, altro caso, c’è chi avverte un bisogno di condivisione e una necessità di supporto difficilmente esprimibile dal vivo. Chi scrive una frase, chi copia una poesia, chi preme play ad una canzone. Hey voi, sono qui: mi aiutereste?
La velocità con la quale Facebook si è inserito nelle nostre vite non ha permesso di codificare in tempo un decalogo di consuetudini da osservare in numerosi casi, lutti inclusi. Un’esperienza come questa, tradizionalmente relegata ad una sfera privata e molto più impermeabile, si trasferisce in un perimetro più affollato, sollevando numerose domande.
In California, l’Ourhouse Grief Support Center si propone come centro di supporto per superare la perdita di una persona cara. Tra le pagine del suo sito c’è una sezione apposita per quanto riguarda i social media. Il sito offre alcuni suggerimenti per chi vive un evento del genere, come la condivisione più o meno dosata di informazioni personali o la creazione, pubblica o riservata, di una pagina memorial del defunto. Consigli anche per chi vuole mostrare vicinanza sui social network, proponendo di scrivere quanto basta per poi trasferire la propria presenza nel reale, di persona. Giusto o sbagliato è difficile da dire, e forse il punto non è questo. Forse bisognerebbe prendere atto di una trasformazione che non riguarda solo il modo di come alcuni vivono un lutto, ma di come e quanto il web stia incidendo sulle nostre vite in generale.
E forse sì, nonostante tutto la parola che meglio descrive Facebook non è un sostantivo, non è selfie. Forse, in fondo, è un verbo: to share.
Significa condividere, ed è puntato verso gli altri.