Secondo l’ISTAT sono circa 6 milioni in Italia le donne che dichiarano di aver subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza. Nei primi 10 mesi del 2016, sempre in Italia, è stata uccisa più di una donna ogni tre giorni. La maggior parte degli abusi è compiuta da parte dell’attuale compagno o di quello precedente.
Questa è la storia di F., una donna coraggiosa che ha avuto la forza di denunciare l’uomo che diceva di amarla ma la picchiava, fino a ridurla in fin di vita. Adesso si occupa nel tempo libero di portare la sua testimonianza alle persone perché altre donne come lei abbiano lo stesso coraggio di porre fine a storie di violenza domestica.
Quando hai conosciuto il tuo compagno ti aveva dato l’impressione di essere un uomo violento?
“Assolutamente no, anzi, mi dava l’impressione di un principe azzurro. Bellissimo, educato, pieno di attenzioni: semplice innamorarsi di un uomo cosi! Mi ritrovai ad esserne innamoratissima nel giro di pochi mesi e infatti ci sposammo nel giro di un anno”.
Quando sono iniziati i maltrattamenti?
“Premetto che prima della violenza fisica ci si trova coinvolte nell’essere complicI di un amore malato, si scambiano situazioni che denotano una personalità patologica per semplice gelosia. Invece poco per volta ci si isola da tutti, poco alla volta ci si annulla da tutti e da tutto, in fin dei conti la vita ruota solo intorno alla persona che ami… Quando si arriva a perdonare il primo schiaffo ormai il narcisista egocentrico ha il dominio completo e su di noi vittime vige quello stato di colpa, perché lui ha lavorato bene nell’avere la propria vittima sotto controllo e si va avanti così. Ogni scusa è buona: qualche volta la minestra e troppo calda, altre volte troppo fredda”.
Che cosa ti faceva?
“Bastava magari non rispondere subito a una telefonata o salutare qualcuno che secondo il suo pensiero era un mio potenziale amante e mi trovavo in pronto soccorso con due costole rotte o con il braccio rotto. Mi ha anche tenuto sequestrata 4 giorni ,ero ormai in preda ad una grave forma di terrore nei suoi confronti e nonostante avesse avuto già delle restrizioni, appena mi chiedeva scusa piangendo, promettendo che non sarebbe più successo, io perdonavo, mi sarei sentita in colpa se non lo avessi fatto, mi sentivo io “cattiva” se non gli avessi dato l’opportunita di cambiare. Ma quel cambiamento non avveniva ed era sempre peggio. Sempre più aggressivo, sempre più dominante e la paura, la vergogna di essere giudicati intanto si era impossessata della mia anima… A un certo punto sei sola contro il male”.
Quando hai preso finalmente la decisione di lasciarlo e di denunciarlo?
“La mia storia è lunga. E’ stato denunciato in 4 procure diverse… Mentre mi operavano a un braccio per un’ulna rotta da lui, mi risvegliai dall’anestesia e mi accorsi che in camera avevo una guardia armata. Pensavo fosse per l’episodio della mattinata o del giorno prima, in quanto subii violenza anche durante il ricovero. Poi un infermiere con un carabiniere mi invitarono a seguirli, mi portarono dentro un sala con un enorme tavolo e lì ad aspettarmi avevo carabinieri dell’anticrimine, primario, direttore sanitario, assistenti sociali e fui messa al corrente di come durante l’operazione stessa lui fosse riuscito a entrare infierendo contro gli operatori. Ero sua moglie e nessun uomo poteva toccarmi”.
A quel punto cos’è successo?
“Dopo innumerevoli agressioni, ricoveri, finalmente fu arrestato. La prima volta rimase dentro due giorni e poi liberato, la volta dopo venne trattenuto in carcere ma dopo circa due mesi finse un tentato suicidio, riuscì a convincere un giudice del suo totale pentimento e fu messo agli arresti domiciliari nel paese a circa 10 km da dove vivo io. Cercò più volte di contattarmi e di cercare in tutti i modi di convincermi ad aiutarlo, ogni volta ero terrorizzata e con tono pacato cercavo di calmarlo suggerendogli di farsi aiutare da specialisti e dicendogli che magari un giorno, vedendolo cambiato, le cose sarebbero potute andate come desiderava. Una notte si strappò il bracialetto elettronico ed evase dagli arresti. Verso l’una di notte mi sfondò la porta e fu per me la notte più lunga della mia vita. Più volte gli chiesi di finirmi. Ero esausta: troppe ossa rotte, troppo dolore, troppo di tutto. I carabinieri arrivarono al mattino e riuscirono a fargli mollare la presa dal mio collo: anche questa volta riuscii a vivere ma ormai ero come una costruzione di Lego da ricomporre”.
Hai trovato appoggio in qualcuno in seguito alla tua decisione?
“E’ difficile che ti rimanga qualcuno vicino: rimani sola, la gente si allontana. Chi per paura, chi per comodo, chi perche si sente in dovere di giudicarti senza soffermarsi a chiedere, chi solo perché é piu facile. Sono arrivata per una semplice banalita al MAI+SOLE (associazione costituita da donne che si occupano di violenza intra – ed extrafamiliare alle donne, n.d.r.) e da lì ho capito che avevo toccato il fondo in tutti i modi, mi sono fatta prendere per mano e mi sono fatta aiutare, mi sono resa conto che il mondo non è tutto cattivo: esistono persone che senza giudicarti, senza sapere chi sei vorrebbero solo la tua serenità”.
Quali sono secondo te le motivazioni che spingono un uomo a comportarsi così e quelle che portano tante donne a subire in silenzio anziché reagire?
“Uomo o donna che sia, sono solo dei gran narcisisti e cattivi, credono di poter manipolare il prossimo come un oggetto, considerarlo di loro proprietà e quindi di farne cio che vogliono. Molto probabilmente i segnali vengono già dati in adolescenza con atti di bullismo o denigrazione del prossimo e lasciati morire come ragazzate. La vittima viene sopraffatta dalla paura, dalla vergogna di ciò che altri possano pensare e quindi si isola piuttosto che chiedere aiuto. E qualche volta questo aiuto lo chiede troppo tardi”.
In cosa consiste adesso ciò che fai per cercare di arginare il fenomeno delle violenze domestiche?
“Vorrei convincere chiunque sia vittima o assista a qualche episodio di non esserne complici ma di parlare, di chiedere aiuto, di non permettere a nessuno di spezzare la vita al prossimo per la sola fame di sentirsi onnipotente”.
Cosa consigli a una donna che si trovasse nella stessa situazione in cui eri e cercasse aiuto?
“Contattare immediatamente il centro anti-violenza e lasciarsi aiutare e assistere da professionisti. Le vittime di violenze domestiche hanno diritto di assistenza psicologica e legale. Di questo sono venuta a conoscenza solo tramite il centro, perché dalle istituzioni territoriali l’unico consiglio avuto è stato di scappare in un’altra città e che loro non potevano aiutarmi.
Denunciate: non aspettate che la vostra vita sia in grave pericolo… Oggi il mio ex-marito è ancora in carcere e io non potrò dire che questa storia sia finita fin quando non uscirà. Fra qualche mese riuscirò a capire se il mio grido di denuncia lo portera a vergognarsi. Dovrà tornare libero, io non sono nessuno per limitare la sua vita ma non permetterò più che nessuno si impossessi della mia”.