Uno degli sport in cui l’Italia, rispetto alle altre Nazioni continentali europee, è indietro come numero di praticanti, nonostante i successi olimpici di qualche decennio fa dei fratelli Abbagnale, di Davide Tizzano, di Antonio Rossi e di Josefa Idem nella canoa (per fare qualche nome) abbiano alzato l’asticella della popolarità, è il canottaggio.
Se la velocizzazione delle notizie è riuscita a dimenticare campioni, per es., Rossano Galtarossa (classe 1972, uno dei pochi canottieri italiani di sempre ad essere riuscito a salire sul podio in quattro edizioni delle Olimpiadi estive), la storia è riuscita a sua volta a dimenticare un’impresa d’altri tempi, portata a compimento dal cap. Vincenzo Sorrentino durante il regime fascista.
Un’impresa dimenticata, come d’altronde il suo protagonista, giovane canottiere stabiese, forse perché appartengono ad un passato che celebrava il mito dell’ideologia fascista. Il 2 giugno 1930, partendo dal galleggiante sul Tevere del “Reale Circolo Canottieri Aniene” di Roma, Sorrentino si avventurò su una canoa battezzata “Espero”, costruita a Lussinpiccolo, località dell’isola di Lussino, in Croazia, e modificata nei cantieri stabiesi, in una traversata solitaria fino a Tripoli.
L’armo fu varato alla presenza del generale Giorgio Vaccaro, presidente della “Canottieri Aniene” (società che ha lanciato la nuotatrice Federica Pellegrini), futuro presidente della FIGC (nel 1933 subentrò a Leandro Arpinati) e uomo politico (fu membro del Partito Nazionale Fascista), tenuto a battesimo da Adelaide Ausiello, moglie del podestà di Castellammare di Stabia, Achille Nodari (in carica dal 1928 al 1930, poi sostituito dal Regio Commissario Carlo Pagani).
D’altronde il suo protagonista, giovane canottiere stabiese, forse perché appartengono ad un passato che celebrava il mito dell’ideologia fascista. Il 2 giugno 1930, partendo dal galleggiante sul Tevere del “Reale Circolo Canottieri Aniene” di Roma, Sorrentino si avventurò su una canoa battezzata “Espero”, costruita a Lussinpiccolo, località dell’isola di Lussino, in Croazia, e modificata nei cantieri stabiesi, in una traversata solitaria fino a Tripoli.
L’impresa, ritenuta ridicola e improbabile da molti, suscitò un grande interesse e fu enfatizzata in un cinegiornale dell’Istituto Luce, all’interno del cantiere navale romano. L’armo «Inalberava, a prua, il guidone del Circolo Nautico Stabia, e quando giunse nelle acque di Castellammare fu scortato sin quasi fino a Sorrento dall’otto jole dello Stabia. L’impresa destò notevole ammirazione e contribuì a far conoscere il nome del Circolo Nautico Stabia a livello nazionale. Al cap. Vincenzo Sorrentino, un uomo piccolo di statura ma di un dinamismo eccezionale, fu conferita una grande medaglia d’oro dello speciale conio federale e diploma della Reale Federa-zione Italiana di Canottaggio dal suo presidente ammira-glio Luigi di Simbuy» (Giusep-pe D’Angelo, Circolo Nautico Stabia 1921-1996).
Al regime fascista l’impresa dello stabiese Sorrentino portò gloria e notorietà al di là dei confini italiani, in quanto rappresentava l’uomo l’ideale della propaganda politica fascista: impersonava le due figure più gradite al duce: quella di soldato e di atleta. «… si guadagnò l’atten-zione di tutta l’Italia per un’impresa davvero indi-menticabile: il raid Roma-Tripoli in canoa. Aiutato solo dai suoi muscoli possenti e da un cuore d’acciaio, Vincenzo Sorrentino partì per la fantastica impresa il 2 giugno, sospinto dall’entusiasmo dei suoi ammirati consoci. Egli si servì di una canoa regolamentare da passeggio, del tipo romano, adattata per l’impresa con piccole modifiche. Furono infatti creati, all’interno, per mezzo di paratie stagne, cinque compartimenti per far sì che gli indumenti e il materiale di scorta non fossero in pericolo.
Abolito il posto del timoniere, fu sostituito con un cassone capace di contenere un serbatoio di 22 litri di acqua e al di sopra di questo fu installata una bussola illuminata da un lanternino (in modo da renderla visibile ventiquattro ore su ventiquattro). A prora fu anche applicata una lanterna ed ai lati dello scafo due alette tali che quando negli approdi di fortuna fosse stato costretto a tirare a terra da solo l’imbarcazione, avrebbero protetto il fasciame dallo strofinio contro il terreno evitando così possibili e facili avarie […] Giorni e giorni vissuti circondato da un silenzio quasi mistico, Sorrentino affrontava se stesso combattendo una battaglia terribile non solo sul piano fisico ma anche mentale. […] Il giorno successivo tutti i giornali parlarono della grande vittoria di questo canottiere dell’Aniene »
Ma dopo le entusiastiche accoglienze di quel periodo, chi si ricorda oggi dell’impresa di Vincenzo Sorrentino? Una specie di crociera sul Mediterraneo che toccò varie città: Roma, Ostia, Anzio, Terracina, Mondragone, Napoli, Castellammare di Stabia, Amalfi, Agropoli, Palinuro, Scalea, Marina di Santo Stefano, Tropea, Santa Saba, Sant’Agata, Cefalù, Palermo, Terrasini, Trapani, Mazzara, Isola di Pantelleria, Ras el Mustafà, Hammamet, Susa, Mahdia, Mzarak, Mahares, La Skhirra, Gabes, Zarsis, Ras Agir, Zuara, Tripoli. La storia spesso dimentica i suoi figli migliori!