Antonia Arslan sabato 14 marzo alle 16 inaugura a Venezia, al Museo del Manicomio di San Servolo, una mostra dedicata al romanzo storico di Sebastiano Vassalli Marco e Mattio che ha al centro Venezia e le Dolomiti di Zoldo nel periodo napoleonico della caduta della Serenissima con uno dei primi tragici casi clinici della psichiatria italiana di Mattio Lovat, originario del Comune bellunese di Val di Zoldo che ha promosso il progetto di allestimento curato da Roberto Cicala e Valentina Giusti dell’Università Cattolica di Milano con catalogo Educatt. Il titolo della mostra, Il romanzo di una valle, fa riferimento proprio all’ambiente naturale dolomitico che, con Venezia, è descritto dallo scrittore nel noto libro, la cui vicenda creativa ed editoriale è ricostruita in modo originale attraverso appunti inediti, fotografie, bibliografia e documenti vari. La sede di San Servolo per l’allestimento è significativa perché là, all’epoca in cui era Ospedale Psichiatrico, si concluse nel 1806 la vita di Mattio Lovat, nato a Casal di Zoldo nel 1761 e ricoverato sull’isola veneziana dopo un malriuscito tentativo di autocrocifissione, con l’obiettivo di sacrificare se stesso per sconfiggere Napoleone Bonaparte, l’Anticristo.
Le «storie oscurate dalla Storia» hanno sempre interessato Sebastiano Vassalli, candidato al premio Nobel nell’anno della sua scomparsa, il 2015: lo scrittore, dopo il Seicento della Chimera, premio Strega 1990, sceglie nel 1992 l’epoca di Napoleone per raccontare la vicenda di Marco e Mattio tra le Dolomiti di Zoldo e Venezia. È il romanzo di una valle al centro della mostra che illumina per la prima volta le carte preparatorie conservate nell’archivio dell’autore, tra abbozzi, appunti di viaggio, libri consultati e corrispondenze epistolari. Venezia rende così omaggio a chi ha narrato la vicenda drammatica di Mattio Lovat, uno dei primi casi della psichiatria moderna, mostrando luci e ombre della montagna, della Serenissima e del carattere nazionale degli italiani, dando voce ai sogni di un folle e perdente eppure capace, nei momenti più difficili, di «alzare gli occhi verso il cielo stellato».
L’inaugurazione di sabato 14 marzo 2020 della mostra (Il romanzo di una valle. Il caso editoriale di Marco e Mattio di Vassalli tra le Dolomiti di Zoldo e Venezia. La caduta della Serenissima e il Manicomio), al Museo del Manicomio sull’Isola di San Servolo a Venezia, aperta poi fino al 30 aprile, prevede gli Interventi di Antonia Arslan dell’Università di Padova e Roberto Cicala dell’Università Cattolica di Milano, con saluti di Camillo De Pellegrin sindaco di Val di Zoldo, Angelo Santin curatore del progetto e Paola Todeschino Vassalli moglie dello scrittore. La mostra resterà aperta al pubblico (da lunedì a venerdì in orario 9-19) fino al 30 aprile 2020. Il progetto culturale è stato lanciato dal Comune di Val di Zoldo, grazie al patrocinio dei Comuni di Belluno e Longarone, della Fondazione San Servolo-Città Regionale di Venezia, del Ministero Istruzione Università Ricerca-Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, con la collaborazione del Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica, del Centro Novarese di Studi Letterari e di EDUCatt.
Come scrive lo stesso Vassalli, Marco e Matti «racconta la vicenda terrestre di Mattio Lovat, nato a Casal di Zoldo il 12 settembre 1761 e morto a Venezia l’8 aprile 1806: che per alcuni suoi comportamenti – diciamo così – inconsueti, e per i fatti strani e gravi che precedettero la sua fi ne, venne considerato uno dei primi “casi clinici” della psichiatria moderna e trattato come tale da diversi autori, in Italia e all’estero. Grazie alle nuove cognizioni della medicina e con il senno di poi, noi oggi possiamo dire che quel caso clinico, così come allora fu posto, era sbagliato, e che Mattio Lovat morì di un male antico e terribile chiamato pellagra: ancora molto diffuso, ai giorni nostri, in Africa e nelle regioni povere del pianeta. […] Mattio Lovat, ammalato di pellagra, fu dichiarato pazzo e finì i suoi giorni in manicomio, in quell’isola di San Servolo davanti a Venezia dov’era in funzione fi no dai tempi della Serenissima uno dei primi ospedali psichiatrici della storia d’Europa. […] Devo aggiungere che la vita di quel matto di due secoli fa è uno straordinario romanzo, per l’ambiente favoloso e tragico in cui si svolse e per l’interrogativo che ha lasciato sospeso, sulla sua stessa epoca e sulle epoche successive. Mattio credeva di dover salvare il mondo e morì per salvarlo: lo salvò? Chissà. […] L’altra storia che si racconta in questo libro, parallela e simmetrica rispetto a quella di Mattio, è la storia del misterioso don Marco: un uomo di cui ignoriamo la data di nascita e anche quella di morte (la sua leggenda, addirittura, lo vorrebbe immortale!), ma di cui conosciamo molte avventure passate, e su cui molto è stato scritto nel corso dei secoli. Questo personaggio, noto anche con i nomi di Cartafilo, Assuero, Joseph, Peter e altri che non sto a elencare, ha fatto parlare a lungo di sé, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, e poi è scomparso all’inizio del secolo scorso senza che nessuno più abbia dato notizia di lui: le sue ultime vicende, infatti, avrebbero potuto essere raccontate soltanto da chi avesse conosciuto e raccontato la storia di Mattio Lovat, che lo liberò dalla condanna a vivere in eterno e gli permise di morire. Don Marco – l’“Ebreo errante” di sette secoli di letteratura europea – negli ultimi anni della sua vita e nelle pagine del mio libro si contrappone al “folle” Mattio come il male si contrappone al bene, e però è anche colui che gli insegna a guardare il cielo stellato: perché sa – meglio di qualunque altro uomo al mondo! – che vivere entro orizzonti esclusivamente umani può venire a nausea, e che il rimedio migliore contro quella nausea è lasciar vagabondare lo sguardo e il pensiero tra i corpi celesti che stanno sospesi lassù sopra le nostre teste, senza un motivo apparente e senz’altra funzione che quella, appunto, di essere guardati e pensati… La curiosità per la vita al di fuori dell’uomo: nelle erbe, negli insetti, nelle montagne, nei mondi lontani, è il legame che unisce tra loro i protagonisti della mia storia ed è anche ciò che li unisce al loro autore, la ragione che mi ha spinto a cercarli e a farli rivivere».