Vanessa Pellegrino è un analogista, counselor e pedagogista analogica.
Autrice del blog “Emotionsophia” racconta con maestria e professionalità le delicate complessità dell’animo umano.
Vanessa aiuta le donne a ritrovare il proprio percorso, perchè ingabbiate in blocchi emotivi che non le consentono di progredire.
Vanessa Pellegrino fa parte della community LeRosa , un progetto benefit che si occupa di creare collaborazione e sostegno tra le donne. Sul loro blog scrive di bambini grazie al suo ruolo di pedagogista analogica. In questa intervista Vanessa ci spiega gli obiettivi di questa professione forse ancora poco conosciuta.
Vanessa qual è la tua formazione professionale ?
Mi sono laureata in scienze pedagogiche. Durante gli anni universitari, specificatamente con l’esame di filosofia morale, ho scoperto il counseling filosofico. Me ne sono innamorata, come ero già innamorata di un concetto fondamentale nelle relazioni d’aiuto quale quello dell’empatia.
Sei all’università e ti dicono che bisogna mettersi dalla parte dell’altro, del dolore dell’altro, del sentire dell’altro. E ricordo che nella mia mente c’era sempre una domanda che ritornava: ma come si fa?
Dopo la laurea triennale mi sono sposata ho avuto subito il mio primo bambino e ho continuato gli studi. Dopo un anno del bambino sono rimasta nuovamente incinta con l’università da completare. La forza non mi è mancata così a Febbraio del 2011 mi sono laureata con un bambino di due anni e un altro di tre mesi.
Ho vinto una borsa di studio regionale e a ottobre ho incominciato il master in PNL, mediazione familiare e counseling. Da qui non ho più abbandonato i miei studi. Ho continuato sempre alla ricerca di strumenti nuovi che mi permettessero di aiutare le persone a risanare le proprie ferite emotive.
Nel 2018 ho intrapreso una nuova scuola, l’università delle discipline benemegliane, in cui viene utilizzato e insegnato come metodo principale dell’ipnosi dinamica diventando nel 2020 analogista.
Ci racconti di cosa si occupa un analogista ? Questa professione forse poco conosciuta
L’ analogista è un professionista olistico delle relazioni d’aiuto. Non è uno psicologo, né un medico, quindi non prescrive assolutamente farmaci né fa diagnosi. A me piace raccontarlo come un mediatore, il quale interpreta i linguaggi dell’inconscio, della parte emotiva. Individua le dinamiche comportamentali della persona; fino ad aiutarlo a raggiungere un benessere emotivo, che si traduce sostanzialmente nel trovare la strada della propria felicità e dello stare bene.
L’analogista è un ponte tra la parte logica e la parte inconscia. Purtroppo, a volte, tendiamo a soffermarci sulle parole dell’altro dimenticandoci che c’è una parte anche analogica da interpretare; fatta di segni, gesti, tono di voce, ritmi, respiro attraverso i quali l’inconscio si esprime e sta dicendo realmente cosa la persona prova in quel momento. Diciamo che le parole a volte, possono mascherare o essere menzognere degli stati d’animo che la persona prova.
Qual è l’obiettivo di una pedagogista analogica e a chi si rivolge?
Pedagogista analogica è un termine che ho volutamente coniato io per definirmi, perché ho messo insieme i miei studi da analogista con quelli di pedagogista.
Il pedagogista analogico è colui che mette insieme i suoi studi con le tecniche emotive, che si possono utilizzare all’interno della famiglia e con i bambini.
Grazie a questo metodo, il bambino viene considerato nella sua totalità. Non solo come persona da educare ma come persona che esprime se stesso, i suoi sentimenti, la sua emotività attraverso gesti e comportamenti.
Un bambino lancia gli oggetti quando è arrabbiato, piange quando è triste, in questi casi gli adulti tendono a etichettarlo come monello, cattivo…mentre è il suo modo naturale di esprimere quello che sente dentro. I bambini hanno solo il cervello limbico ancora sviluppato, sono molto emotivi e non riescono a parole, a trasferire quello che sentono dentro.
Il pedagogista analogico fa proprio questo, traduce in linguaggi emotivi di ogni bambino senza giudicare il gesto, il comportamento, ma prendendo atto di quello che in quel momento sente.
Tu sei una counselor qual è la differenza tra questa professione ed un coach?
Il coach e il counselor condividono l’obiettivo comune.
Promuovere, sostenere la persona nella propria realizzazione e mettere fuori le risorse che possiede in maniera acritica, secondo il suo modello di mondo.
Anche in questo caso non ci sono diagnosi, né problemi, solo disagi che la persona vive e che non le permettono di essere in quel momento serena.
Il coaching è focalizzato soprattutto sull’obiettivo, sulla performance della persona in relazione a quell’obiettivo.
Invece, nel counseling, il cliente ha la possibilità di esplorare, consapevolizzare, integrare nuove modalità che gli permetteranno di affrontare la vita da quel momento in poi.
Grazie a questa maggiore consapevolezza, conosce se stesso in maniera approfondita. E’ capace di trasformare i suoi stati d’animo, i pensieri limitanti, le convinzioni che non gli impediscono di raggiungere determinati obiettivi.
Le persone che si affidano a te nella maggior parte dei casi che esigenze hanno? Cosa vogliono cambiare, migliorare o affrontare della propria vita?
Io mi occupo principalmente di aiutare tutte quelle persone, che sentono il peso di una relazione di coppia insoddisfacente a realizzare una vita affettiva intima, serena, in cui sentirsi amate, apprezzate.
Sono per la maggior parte donne e mamme che a causa di ripetuti litigi, hanno perso quel forte amore che sentivano all’inizio. Hanno perso anche la passione e non sanno se continuare ad amare il proprio marito o compagno, oppure mettere fine alla propria storia. Sono in uno stato confusionale, in cui non riescono a vedere la strada.
Il miracolo più bello è che mentre lavorano, durante il mio percorso di 12 settimane, incominciano anche a cambiare la relazione con i propri figli, oltre che col proprio marito, con i propri i colleghi di lavoro e anche con i loro genitori.
C’è chi invece ha anche cambiato lavoro, perché quando avviene una trasformazione profonda della persona e viene messa sulla strada giusta da sola, capisce cos’è bene.
La cosa che più mi rende felice è vedere il loro sorriso, il loro volto tornare a splendere in modo da fare scelte del cuore.
Come si può aiutare gli altri attraverso l’ipnosi, ci dai qualche informazione su questo tema?
L’ipnosi è uno strumento che viene spesso considerato un male, dato anche l’utilizzo da palcoscenico che si è fatto in televisione.
L’ipnosi, invece, è uno strumento che permette alla persona di capire il proprio passato, la propria storia.
Grazie anche ad una linea del tempo che l’ analogista crea e che permette di capire a che età è avvenuto quel blocco, quella ferita che oggi ancora è aperta.
È una comunicazione molto profonda che considera, come ho già detto prima, il linguaggio verbale e soprattutto il linguaggio non verbale . L’analogista, infatti, cerca di capire qual è l’analogia che c’è tra il presente e il passato.
Devi sapere che per l’inconscio non c’è un tempo passato, presente e futuro, l’inconscio vive sempre nel presente, quindi anche se qualcosa è accaduto ieri lui lo vive oggi a livello energetico. Ti faccio un esempio.
Se un bambino è stato rifiutato alla nascita perché i genitori erano troppo giovani e non erano pronti a riceverlo, a diventare genitori, questa sua ferita rimane e nel tempo si “aggancerà”.
Termine che viene utilizzato da noi analogisti, a persone che spesso lo rifiuteranno e che alimenteranno quella ferita.
Sembra assurdo ma l’inconscio si nutre di quell’energia. Finché quella ferita è lì, non vissuta, non elaborata, la persona continuerà a vivere e a crearsi quella realtà. Attraverso l’ipnosi dinamica si ha la possibilità di lavorare sul rifiuto, in quello specifico momento, perché è l’inconscio che porta indietro nel tempo e fa rivivere alla persona anche il momento in cui era nella pancia della mamma appunto.
Vanessa ci racconti un episodio o una storia di vita di un tuo paziente, che ti è rimasta particolarmente impressa ?
Lei è una ragazza gioviale, allegra, profonda. Insegnante di yoga, mamma di due bambini. È venuta perché non era soddisfatta della sua vita. Sentiva di perdere tempo e non sapeva quale fosse la sua strada, sia in ambito relazionale che lavorativo.
La situazione con il marito era assolutamente pessima, non c’era più dialogo se non per organizzare i bambini. Andava al lavoro in ufficio, ma non la gratificava, perché scelto da suo padre che aveva messo su un’agenzia per il lavoro.
Lei dentro è una leader, ha una grande capacità di accogliere, di guardare nel cuore e di mettere insieme le persone, non è fatta per un computer, o per stare dietro una scrivania.
È arrivata da me che voleva separarsi. Ha lavorato molto sul rapporto genitoriale. Ha imparato a dire di no a tutto quello che la sua famiglia ancora cercava di imporgli e piano piano ha ricostruito il suo legame sentimentale e intimo col proprio marito. Oggi è diventata coach, ha lasciato quel lavoro e ha la sua famiglia unita. È rinata.
Quali sono i tuoi progetti futuri ?
Non ho tanti obiettivi futuri, tranne quello di continuare ad aiutare sempre più persone, che vogliono tornare a credere nell’amore, credere che esiste un amore e un rapporto basato sulla fiducia affettivamente, intimamente profondo.
Quando sogno in grande mi immagino di aprire una sede, in cui poter aiutare le donne vittime di violenza a sganciarsi da tutti quei mariti che, con il loro subdolo egoismo, vogliono tenere per sé. Le rendono dipendenti emotivamente da loro, le insultano e maltrattano. Voglio dare a queste donne una nuova possibilità e fargli credere che una nuova vita è assolutamente possibile.