Sì, urge una riqualificazione delle periferie italiane ed anche in tempi molto stretti visto il degrado in cui versano la maggior parte dei quartieri periferici delle nostre città, specie quelle metropolitane che annoverano nel proprio territorio porzioni di città dormitorio, nel migliore dei casi, che diventano palcoscenico di fatti criminosi in maniera del tutto naturale.
I giorni dopo le elezioni comunali, con un po’ di tempo a disposizione e tanta curiosità e pazienza per scavare in milioni di numeri, sfogliando i dati dell’affluenza al voto, uno risalta su tutti ed è trasversale a Napoli, Milano, Roma, Bologna, Torino: le periferie hanno portato al voto percentuali ancora più basse di quelle già di per se bassissime registrate in generale.
35 – 38% il range in cui si trovano un po’ tutte le città appena nominate. Un risultato che ci ha fatto sobbalzare dalla sedia e ricercare le motivazioni di tanta disaffezione verso la politica e l’amministrazione che vengono sovrapposte e rese indistinte agli occhi dei cittadini aventi diritto di voto.
Quello che traspare palesemente è che evidentemente la gente non ci crede più e non crede non già in una proposta politica precisa; cosa che ci starebbe abbondantemente, ma non crede proprio in nessuna forza politica e nessun politico. Non c’è alcuna attrattiva per questa gente verso tematiche che sentono lontane e che non traducono affatto i problemi quotidiani che sono costretti a vivere.
Riqualificazione delle periferie: un problema sociale
Non diciamo nulla di nuovo quando parliamo di problema sociale delle periferie urbane già preesistente alla pandemia che esce rafforzato ed anche inasprito da condizioni economiche divenute vieppiù difficili e precarie per tanti che prima erano fuori dalle soglie di povertà ed oggi ricadono pienamente in quegli scaglioni indicatori.
La povertà, però, non è solo un dato statistico che guardato in maniera obiettiva già da paura di per se; la povertà è una condizione sociale che spesso sfocia in atti e comportamenti che poi vogliamo esaminare solo sotto l’aspetto criminologico dimenticando il sostrato sociale che li ha determinati.
Il problema delle periferie è talmente annoso che chi scrive qui lo ricorda fin dai tempi dell’Università partecipando a lezioni e seminari di professori ed urbanisti come Alessandro Dal Piaz, Vezio De Lucia, Uberto Siola e tanti altri con i quali già allora ci si confrontava e si cercava di assimilare disamine, approfondimenti e proposte.
Tanti studi, tante proposte ma sta di fatto che: Scampia o Ponticelli a Napoli, Tor Bella Monaca o San Basilio a Roma, Quarto Oggiaro o Lambrate a Milano, Porta Palazzo o Le Vallette a Torino, Bolognina o San Vitale a Bologna e tanti altri in tante altre città sono luoghi con problemi che si trascinano da decenni e decenni senza un accenno di soluzione urbanistica e sociale.
Non è questo il luogo adatto a sceverare le problematiche di ogni singola realtà di quelle citate ma serva solo dire che il problema di questi quartieri è trasversale e non è solo di carattere deviante e criminale ma economico, politico e sociale.
Le Vele di Scampia sono l’esempio più lampante di quanto andiamo dicendo: simbolo di degrado pluridecennale, sempre sull’orlo di un reset totale con abbattimento di quelli che ormai sono solo scheletri fatiscenti e maleodoranti in cui sono costretti ad abbruttirsi centinaia di famiglie, eppure ancora lì in piedi senza che una sola soluzione sia stata messa in piedi veramente al di là di fiumi di parole ed inchiostro versati.
Riqualificazione delle periferie: informazione e riflettori
Un bel mea culpa dovremmo farlo anche noi operatori dell’informazione cui piace tanto raccontare gli efferati fatti criminosi che spesso investono queste porzioni di territorio ma ci guardiamo bene dall’accendere i riflettori li quando il fatto di cronaca (spesso nera) ha fatto il suo corso.
Ci sono persone per bene per bene che vivono, nonostante tutto lì. Famiglie di onesti lavoratori che nulla hanno a che fare con gli ambienti deviati della criminalità più o meno organizzata che impera in quei posti che convivono con quelle situazioni perché non hanno alternative, perché non vengono offerte loro alternative.
Anche chi ha sbagliato, poi, non ha diritto ad una seconda chances? Ci riempiamo la bocca di paroloni e concetti sociologici di recupero e poi continuiamo a lasciare, imperturbabili, queste persone da sole al loro ineluttabile destino?
I dati statistici sono solo una sintesi perfetta di persone che stiamo perdendo alla vita civile, cittadini che dopo mille promesse ogni mattina si svegliano senza alcun paracadute sociale spinti in un caos del quale non sanno venire a capo ma in cui si devono destreggiare e ci si ricorda di loro solo quando gli si chiede di votare.
Riqualificazione delle periferie: appello ai nuovi sindaci
L’appello che ci sentiamo di porgere ai nuovi sindaci ha il suo fulcro proprio nel ragionamento che abbiamo appena tentato di svolgere: prendete in serissima considerazione il problema delle periferie una volta per tutte e cominciate a porre in essere le basi per trovare proposte di soluzioni che siano al contempo tali da investire contemporaneamente i livelli economic e sociali producendo effetti reali nelle vite delle persone in termini di miglioramento della qualità.
Le periferie sono bombe ad orologeria che continueranno a dare cenno di se con fatti di cronaca ma senza un piano organico per affrontare il degrado sociale che ristagna in esse non se ne uscirà mai incancrenendo situazioni ancora per qualche verso affrontabili, anche se questo costerà tanta fatica.
E’ una scelta quella che i sindaci sono chiamati a fare: riappropriarsi delle periferie e cominciare proprio da lì la propria azione di amministrazione dei territori o condannare inesorabilmente alla morte civile quei cittadini e poi lamentarsi alle prossime consultazioni perché a votare ci andranno in tre?