Parlare di uomini, donne, e violenza, violenza subita e praticata dai generi è come attraversare un campo minato, un labirinto del quale non si possiede il filo salvifico che conduce alla luce. Voliamo con ali di cera, sapendo che potranno sciogliersi al sole e chiedendoci da dove iniziare visto che le domande sono tante e poche le certezze e le opinioni condivise dal movimento femminista stesso.
Un aspetto ci sta più a cuore degli altri, in questo periodo, il livello di incomunicabilità raggiunto tra i generi.
Proprio non ci capiamo più, diffidiamo reciprocamente l’una dell’altro e gesti di ordinaria gentilezza generano sospetto.
Il cammino che le donne hanno intrapreso, i risultati raggiunti dal movimento femminista nel mondo occidentale sono sacri, intoccabili, indiscutibili, necessari.
Cambiamenti epocali che hanno generato sperdimento, timori e insicurezza, talvolta nelle donne stesse, quasi sempre nell’uomo che se inizialmente ha provato a mettersi in discussione, successivamente ha sviluppato una silente resistenza, arrivando a nutrire sentimenti d’odio e d’intolleranza nei confronti di chi un tempo riteneva e desiderava fosse il gentil sesso passivo, l’angelo del focolare, la madre e la moglie santa.
Il binomio santa-puttana è tutt’ora ben vivo ed usato a piene mani dai rappresentanti di tutte le generazioni e generi. Se è vero che i grandi cambiamenti hanno investito un paio di generazioni cresciute secondo schemi antichi e rigidi che assegnavano precisi ruoli e comportamenti a donne e uomini imprigionandoli in cliché soffocanti, bisogna tristemente riconoscere che le nuove generazioni non se ne sono di molto allontanate se non per quel che riguarda una maggiore libertà nei costumi sessuali. Il corpo femminile è tutt’ora merce di scambio, oggetto atto a pubblicizzare ogni bene commerciale, utero da affittare per coppie sterili o gay, carne da esporre e di cui abusare nel teatrino del potere politico e lavorativo.
Il rapporto di potere uomo-donna fondato sull’idea di possesso è il motore della violenza agita all’interno delle mura domestiche e nei rapporti sociali. E’ questo potere identitario e rassicurante che gli uomini si rifiutano di mollare e che, a nostro avviso, nei momenti di crisi economica diviene motivo di ulteriore frustrazione maschile. Se la compagna lavora viene meno l’ultimo tassello della scala sociale utile all’autostima virile. E non vogliamo qui analizzare i legami d’amore malato che richiedono un discorso a parte.
Ricordiamo solo che nella civilissima Gran Bretagna, fino all’800, la donna era considerata alla stregua di una proprietà da trasferire dalla tutela paterna a quella maritale e che in caso di divorzio ogni bene portato in dote veniva assegnato al marito stesso così come la tutela dei figli. Alla donna non era riconosciuto uno status giuridico!!!
Oggi gli uomini sempre più arrabbiati e incattiviti nei confronti delle donne soprattutto delle ex mogli o compagne, non sanno più reagire in maniera sana, né accettare separazioni nate dalla volontà femminile. E’ l’autodeterminazione femminile a non essere riconosciuta, è questo il movente dei femminicidi, questo il senso del termine, in altri casi si parlerà di omicidi. Il significato di tale neologismo è per estensione definito come: “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.”
Il termine maschicidio, da contro, non è stato ancora definito nei dizionari. I femminicidi rappresentano solo la punta dell’iceberg della violenza che le donne subiscono quotidianamente in casa e fuori, da sposate o single, uno stillicidio psicologico che ne fiacca la volontà e ne mina anima e corpo.
Ma la violenza è solo appannaggio dei maschi?
E’ vero che se a reggere gli equilibri mondiali ci fossero le donne vivremmo in una società fondata sulla non violenza e l’accoglienza?
E’ vero che la donna rappresenta l’eccellenza tra i generi, il primo e il più potente essere dal punto di vista biologico? Ci sono studi in merito tesi a dimostrarlo, quelli del gruppo “La Comune”, ad esempio.
Noi diffidiamo di tali teorie, né nutriamo certezze, tranne una che riguarda la fede in una comune natura umana, che non fa di ogni uomo un nemico violento, e nel riconoscimento delle sacre differenze biologiche. Differenze che da più parti si tenta di appiattire in un’unica marmellata priva di identità sessuale e sganciata dall’accoppiamento a fini procreativi.
Né ci piace il tentativo di vittimizzazione e neosantificazione della figura femminile. Esistiamo in quanto donne e non come vittime, e come tali vogliamo essere riconosciute. E come tali siamo tutto e potenzialmente capaci di tutto, violenza compresa, la cui natura, difensiva o offensiva, ci pacerà indagare nei prossimi articoli.
La ridefinizione dei rapporti tra donne e uomini deve passare dall’accettazione profonda dei mutamenti degli equilibri e dei ruoli tra i sessi, dalla parità nei diritti, dall’accettazione della nostra umana comune natura, e non da un malinteso senso d’uguaglianza che ha condotto le donne ad abbracciare stile e valori di una società patriarcale e neoliberista. “Una troppo rigida visione femminista ha spesso impedito di vedere la connessione tra l’oppressione delle donne e quella basata sulla razza e sulla classe” (Angela Davis).
La politica, la finanza, i rapporti di potere tra gli stati, il mondo tutto è coniugato al maschile, la stessa ricerca scientifica che concerne i rapporti sessuali ha “inventato” la pillola anticoncezionale per la donna e il viagra senza effetti collaterali per l’uomo. Cos’altro vogliamo aggiungere?
Che anche gli uomini sono vittime di tali equilibri, di violenze e abusi agiti soprattutto da altri uomini, vorremmo sentire le loro voci, sapere delle loro denunce, continuare insieme.