“Buonasera. Scusate l’intromissione, sono il regista di questo spettacolo. Prima di cominciare volevo raccontarvi due piccole storie legate alla Cavalleria rusticana. Un giorno camminavo in un paese abbandonato in Sicilia, un paese che era stato distrutto da un terremoto molti anni prima. In quel paese tutto era rimasto uguale, fermo, immobile, come se il tempo si fosse fermato là […]“
Inizia così la recita della Cavalleria Rusticana andata in scena ieri, 9 luglio, presso il teatro San Carlo di Napoli, nell’ambito del programma culturale organizzato per le Universiadi di Napoli 2019.
Ospiti italiani e stranieri hanno potuto apprezzare la maestosità del teatro lirico partenopeo, il primo a essere costruito in Europa nel 1737 grazie al Re Carlo III di Borbone, e l’intensità dell’opera di Pietro Mascagni. Un atto unico su libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci, tratto dall’omonima novella di Giovanni Verga, per la regia di Pippo Del Bono.
In questa Cavalleria Rusticana, Pippo Del Bono, ha volutamente eliminato tutti gli elementi folcloristici, che rimandano a una sicilianità forse stereotipata, per dare una connotazione più novecentesca dell’opera.
L’allestimento, premiato con l’Abbiati nel 2013 per le scene di Sergio Tramonti, ha una scena unica e fissa, una struttura lignea che ripropone la sagrestia di una chiesa con intorno le sedie per il coro. Al centro del palcoscenico c’è un fuoco che brucia, è il fuoco della veglia di Pasqua. In questa solenne ambientazione si consuma la vicenda di amore e gelosia di Compare Turiddu, Compar Alfio, Santuzza e Lola.
Una storia antica quanto il mondo e attuale più che mai che fa emergere nei suoi protagonisti pulsioni ancestrali, istinti che possono sfociare nel solo rituale possibile, quello più cruento e sanguinoso.
I personaggi, vestiti con costumi in stile metà Novecento realizzati da Giusi Giustino, fanno vibrare nell’aria i suoni della rabbia, della paura, del tradimento e dell’abbandono sostenuti da un coro che interpreta arie di assoluta suggestione.
Una tragedia, quindi, che si consuma sotto l’occhio, potremmo dire paterno, del regista, spesso presente in scena e che tavolta interagisce con i personaggi. È in scena all’inizio dell’opera, a lanciare petali di fiori sui cantanti del coro, è presente durante il confronto tra i due “compari” a gustare del buon vino, assiste al dolore delle donne che presagiscono l’imminente funesto epilogo, prende la croce dalle mani del chirichetto, un ragazzino “arruolato” dal corpo di ballo.
Questa presenza costante, in realtà, contrasta con quella che è l’istanza verista di rendere invisibile l’autore per far parlare i personaggi, donando a tutto il lavoro un tocco di orginialità.
Splendide le interpretazioni di Veronica Simeoni, nel ruolo di Santuzza; Elena Zilio in quello di Mamma Lucia; Leyla Martinucci splendida frivola Lola; Marcelo Àlvarez nei panni di Turiddu e George Gagnidze un imponente Alfio. Le luci sono state affidate ad Alessandro Carletti, la direzione d’orchestra a Juraj ValÄuha mentre il Coro è stato preparato da Gea Garatti Ansini.
Lo spettacolo del San Carlo ha arricchito, così, il vasto programma ideato per affiancare agli appuntamenti agonistici momenti culturali. Napoli si è confermata ancora una volta una perfetta padrona di casa in grado di regalare ai suoi ospiti momenti indimenticabili.