L’autore che intervistiamo oggi è Michele Nigro, nato nel 1971 in provincia di Napoli ma di origini lucane. Vive a Battipaglia (SA) dal 1978. Si diletta nella scrittura di racconti, poesie, brevi saggi, articoli per giornali e riviste, riflessioni e opinioni da blogger… Ha diretto la rivista letteraria «Nugae» (scritti autografi) fino al 2009 e attualmente cura il blog esperienziale «Nigricante». Ha partecipato in passato a numerosi concorsi letterari ed è presente con suoi scritti in antologie e periodici. Nel 2016 è uscita la sua prima raccolta poetica – che ama definire “raccolta di formazione” – intitolata Nessuno nasce pulito (edizioni nugae 2.0). Ha pubblicato Esperimenti, raccolta di racconti; il mini-saggio La bistecca di Matrix; nel 2013 la prima edizione del racconto lungo Call Center; nel 2018 la seconda edizione Call Center – reloaded. Scrive Davide Morelli, in una recensione a Poesie minori Pensieri minimi, le «composizioni di Nigro sono frutto di un “pensiero poetante”. Particolarmente originali sono l’uso di un linguaggio apparentemente quotidiano (mai totalmente ordinario) e l’utilizzo di quella che viene chiamata “intertestualità secondaria” in quanto fa riferimento spesso a testi di canzoni (ad esempio F. Battiato). Il poeta, citando canzoni, non ha timore di essere considerato anticulturale (per compiere certe operazioni è indiscusso il suo background). Non gli importa neanche di disquisire sulla vexata quaestio riguardante le differenze tra poesia e canzone d’autore».
Come ti sei avvicinato alla poesia? C’è stato qualcuno che devi ringraziare per averti dato, che so, dei consigli di come muoverti nel tuo percorso artistico?
Mio padre aveva un certo piglio poetico anche se non ha mai scritto vere e proprie poesie; al di là dei consueti input scolastici, e dei tanti amici poeti, non riesco a isolare una figura determinante. Mi sono avvicinato da solo, per soddisfare esigenze interiori in qualità di lettore: se la memoria non m’inganna la prima raccolta acquistata, a Napoli, in età adulta è stata Foglie d’erba di Walt Whitman.
Quali programmi hai in cantiere?
È in fase di pubblicazione, per i tipi delle Edizioni Kolibris curate dalla poetessa Chiara De Luca, una mia raccolta di poesie intitolata Pomeriggi perduti. Credo che buona parte dell’anno in corso sarà dedicata alla promozione del libro e alle tante occasioni culturali che scaturiranno da questa nuova “avventura” letteraria.
Come vivi la cultura, la poesia, nella tua città, nella tua vita? Trovi difficoltà e quali?
La vivo privatamente o quasi; le rare occasioni che vedo intorno a me non catturano il mio interesse. Un certo anti-provincialismo mi spinge sempre altrove.
Oggi, con la crisi dell’editoria, pubblicare un volume non è semplice: le grandi case editrici non ti filano se non sei legato politicamente o a risorse economiche, e le piccole ti chiedono contributi economici, spesso esosi. Per non parlare poi della poesia che, seppur prolificante, è rinchiusa in “cripte” elitarie. Hai riscontrato difficoltà editoriali durante il tuo percorso, e se sì, per quali motivi?
Non ho alcuna difficoltà ad ammettere di provenire da esperienze di self publishing: quanti autori dell’Otto-Novecento – oggi considerati “classici” – hanno cominciato con l’autopubblicarsi? Tanti. Non credo nell’EAP (editoria a pagamento) come sistema, ma quando sei esordiente un buon compromesso tra editoria di qualità e contributo può fare la differenza in termini di visibilità. L’obiettivo, credo, sia quello di iniziare a farsi leggere (e criticare). Le “cripte” le evito perché soffro di “claustrofobia letteraria”.
Se dovessi paragonare la tua poesia ad un poeta famoso, a chi la paragoneresti? Quali affinità elettive ci trovi con la tua poesia?
Difficile rispondere, perché il paragone può essere sia stilistico che contenutistico: potrei sentirmi vicino alla ricerca poetica di un autore ma esprimermi in una forma diametralmente opposta. O il contrario.
A questo punto parlaci della tua poetica, di come lavori. Qual è il tuo intento?
Come dico sempre: non cerco la parola, ma da essa mi lascio trovare. Almeno in una prima fase: poi, è chiaro, si ritorna sui propri versi utilizzando gli strumenti della ragione, ma ormai la struttura di base è già stata posta. Non “decido”, per intenderci, l’utilizzo di un enjambement in un dato momento. Il ritmo interiore detta, e io scrivo; le elaborazioni scientifiche del verso le lascio ai professori della metrica. Il mio intento è quello di essere una semplice antenna.
La soddisfazione maggiore – se c’è stata – che hai raccolto nel mondo letterario?
In passato ho partecipato a numerosi premi letterari di media importanza, raccogliendo qualche soddisfazione: “Concorsolandia”, tranne rari casi autorevoli, ha una funzione limitata; le presentazioni libresche e i reading servono ma non devono rappresentare il fine ultimo. Esiste, invece, “il mondo” in cui autore e lettore s’incontrano, a volte per caso, al confine tra silenzio e parola.
Cosa pensi dei libri digitali? Possono competere con l’editoria tradizionale, cioè con quella cartacea e perché?
Quasi tutte le mie passate pubblicazioni sono reperibili anche in formato digitale, quindi ne penso bene ma senza un eccessivo entusiasmo: le due forme devono convivere e non combattersi. La praticità non è tutto nella vita. La carta non morirà mai: alle spalle ha una storia troppo importante.
Qual è il tuo rapporto con la politica?
Sono un assiduo elettore: ho sempre votato. Seguo la politica ma non ne ho mai fatta. Si può essere “politici” in tanti modi indiretti: anche facendo poesia. E la storia della letteratura ce lo insegna.
Come vivi la tua quotidianità?
Oscillando tra insoddisfazioni esistenziali e ottimistici slanci costruttivi.
Oltre alla poesia, quali sono i tuoi interessi?
Amo i libri, passeggiare in montagna, andare in bicicletta…
Se potessi cambiare lo stato comatoso in cui vive oggi la nostra società, quali sarebbero le tue soluzioni, le proposte?
Comincerei a migliorare me stesso, a cambiare la mia vita: non credo nelle proposte generaliste. Forse anche per questo non ho mai fatto politica: non ho fiducia nel cambiamento dell’uomo e quindi della società. Cambiano le forme ma gli schemi sono gli stessi. Non si tratta di pessimismo: mi fido solo di esemplari cammini individuali.
Qual è la tua ultima fatica editoriale? Puoi parlarcene?
Poiché dell’ultima già ne ho parlato sopra, vi dirò della penultima: una raccolta intitolata Poesie minori. Pensieri minimi (edizioni nugae 2.0). Sottotitolo: materiali di risulta. Al confine tra prosa poetica e aforisma, a volte poesie… Forse.