“Non siamo ancora nella fase in cui possiamo dire che una lettera di infrazione è stata inviata” all’Ungheria per la legge anti-Lgbtq, “ma non resteremo a lungo senza agire. Una lettera di messa in mora richiede tempo, e faremo annunci quando sarà il momento” a dichiararlo è la portavoce della Commissione europea Dana Spinnant. Prosegue, dunque, il braccio di ferro tra Ungheria, tutt’altro che intenzionata a retrocedere sull’ultima legge approvata, e l’Ue che sta per emanare un procedimento di infrazione.
Il procedimento di infrazione Ue contro l’Ungheria
L’Unione europea può aprire una procedura di infrazione ogni qual volta uno Stato membro viene meno a un obbligo sancito dal diritto dell’Unione europea sia attraverso una mancata attuazione sia attraverso l’emanazione di una legge che risulta incompatibile. La procedura prevede lo svolgimento di due fasi:
- La Commissione invia una lettera di messa in mora al Paese membro venuto meno all’obbligo e questo ha due mesi di tempo per rispondere ai punti contestati. La prima fase è informale, ad opera della Commissione e può essere avviata d’ufficio o in risposta alla richiesta di uno Stato membro. Scaduto tale termine, in mancanza di risposta, la Commissione invia una diffida ad adempiere.
- La Commissione europea presenta ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Quando il Paese interessato non risponde alla messa in mora della Commissione europea nei tempi previsti, la competenza passa alla Corte. Questa, una volta esaminata la documentazione, se accerta l’inadempimento, commina al Paese in questione delle sanzioni.
I provvedimenti di infrazione non possono mai riguardare questioni inerenti al Patto di stabilità e crescita mentre quelle inerenti alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali vengono trasferite a un altro organo istituzionale europeo che è la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il Trattato di Lisbona
“La Commissione europea userà tutto ciò che è in suo potere per garantire che i diritti di tutti i cittadini dell’Ue siano tutelati. Non esiteremo ad agire, in qualità di guardiani dei Trattati” ha annunciato il portavoce dell’Esecutivo comunitario per lo stato di diritto, Christian Wiegand. La legge approvata lo scorso 15 giugno in Ungheria, nata per proteggere i minori dal fenomeno della pedofilia, nella realtà dei fatti discrimina le persone appartenenti alla comunità lgbt. In quanto tale, quindi, viola l’articolo 2 del Trattato di Lisbona. Il Trattato di Lisbona è uno dei documenti fondanti dell’Unione europea e all’articolo in questione riconosce i diritti e i principi fissati dalla Carta dei diritti fondamentali che diventa così parte integrante del trattato. La Carta riconosce, tra gli altri, i cosiddetti diritti moderni che riguardano, per esempio, il divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale.
Recovery Fund
Come annunciato dalla Spinnant, l’elaborazione della lettera di messa in mora sarà lunga. Se il braccio di ferro tra Ungheria e Unione europea continuerà ulteriormente è facile intuire che si arriverà alle sanzioni e, se queste non saranno corrisposte, potrebbe avviarsi una procedura di espulsione. Sul tavolo, però, ora ci sono anche i soldi del Recovery Fund. L’Unione europea, come già annunciato dalla von der Leyen, potrebbe decidere di non corrispondere le somme previste a un Paese, come l’Ungheria, che non tutela i diritti umani e le minoranze. Il Paese guidato da Orban aspetta 7 miliardi di euro: accetterà di fare un passo indietro per non perdere questa occasione eccezionale?
In copertina foto del Parlamento europeo