Un’estate del secolo scorso da ‘Mia stella caduta” di Maria Antonietta Macciocu – CE Golem 2021
La smania di vedersi grandi conviveva coll’illusione di trasformarsi per magia in maliarde bellissime e irraggiungibili come le dive dei rotocalchi, rincorse da paparazzi, emiri, principi, attori hollywoodiani tra bagni nelle fontane e serate in via Veneto. Un modo per sviare il disappunto di non essere visibili nemmeno agli acneici della porta o della classe accanto.
Successe mentre erano lontane. Gilda tornò dalle vacanze, un mese al paese e uno al mare, che sembrava un’altra. Si era alzata e riempita. Non la maggiorata dei desideri, ma ben accentuati e morbidi i fianchi e il seno, assottigliate la vita e le caviglie, allungate le gambe. Il vestito Vichy largo di gonna e un po’ scollato, le scarpe con un accenno di tacco, i capelli in su e cotonati. Una signorina.
Fiorenza ci rimase male. Le sembrò, quel cambiamento a sua insaputa, un dispetto personale, un tradimento. Tanto più che si erano sentite per telefono, poco e in fretta in verità, perché il vicino del duplex ci metteva niente a bussare per far liberare la linea, ma un accenno, un piccolo accenno di preavviso che le sarebbe costato? E dire che ne aveva sentito la mancanza e aveva pensato di confidarle gli intrugli che le bollivano dentro, non appena l’avesse rivista.
«Che bello, sei cresciuta anche tu» l’abbracciò Gilda.
«Oh, io.»
È vero, era cresciuta ma di poco, e sempre come una pianta con poca acqua e cattiva terra. Uno stelo nodoso e ruvido, con le gemme bloccate da un’estate arida di giornate tutte uguali, i suoi che davano ripetizioni dal mattino alla sera, il gelato delle domeniche, il pranzo di ferragosto con la madre lamentosa per la fatica di cucinare con quel caldo, le ore che non passavano nemmeno con musica e libri.
E a quelle cinque giornate al mare meglio non ripensarci, che sembravano villeggianti felici e non lo erano neanche un po’, suo padre in spiaggia vestito con la giacca perché tanto non sapeva nuotare, sua madre vestita anche lei che pure sapeva nuotare e le sarebbe piaciuto, ma quando mai mostrare a tutti nudità intime, anche se con abiti prendisole vedo non vedo dava più nell’occhio che in costume come le altre.
E le tensioni latenti di troppe occhiate, accentuate dall’atmosfera sovreccitata e confidenziale dei vacanzieri sul pullman del rientro, sarebbero esplose in accuse e litigi appena sulla porta di casa.
Fiorenza il costume lo metteva giusto per scottarsi, perché l’acqua era lì, a due passi, ma lei doveva entrarci con parsimonia, appena arrivata no perché sudata dal viaggio, poco prima di pranzo no perché si mangia ben asciutti, dopo sarebbero dovute passare almeno tre ore di digestione ed era il momento di partire. E poi doveva bagnarsi dove si tocca, mentre le sarebbe piaciuto inoltrarsi e sentirsi avvolta e appiattirsi lieve e saltare i cavalloni, come vedeva intorno, stai in riva, non sai nuotare, non farci preoccupare, voglio imparare, non ne vale la pena, io in acqua avevo sempre freddo e battevo i denti, la madre, io non ne sento la mancanza, il padre. Ricordati che hai avuto la polmonite.
E poiché il tempo dei castelli di sabbia era finito e sul pattino non poteva andarci da sola, stava la maggior parte del tempo sull’asciugamano ad arrostire al sole che almeno avrebbe ristretto i pori e fatto sparire brufoli e punti neri (ci mancavano solo quelli), a dondolarsi coi twist e i cha cha cha che gridavano dal jukebox, anche se poi si perdeva nel palpitare di Cuandocalienta el sol e nella magia di Moon River. Colazione da Tiffany non l’aveva visto, ma le piaceva l’attrice magra magra magrissima pochi fianchi poco seno, che riempiva le riviste quanto le maggiorate ed era una speranza di charme anche per le minorate piallate paperine come lei.
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine