Sul terrazzo-eliporto atterrò col suo grillo saltante
Fusto Stagno, il noto antropofapsicopolitologo
col profilo effigiato sul retro di varie monete
e poi Mos Tral-Hasta, architecningegnere podalico
ginecobernetilico, critico di turcherie
a bordo di un cervo vagante, vero e proprio cimelio.
Manovrando una tortora verde di tipo inflativo
lui espose ai due vip il motivo del loro intervento
indicando pindarici voli ad altezza d’antenna.
Si trattava di far ritornare a livello di strada
certi ometti voluti, brillanti e dagli occhi decisi
sempre pronti a farsi spiegare un’idea vincente,
certe belle donnine spiglaite e un po’ spregiudicate
dalle fronti aperte alle idee sviluppate nel petto.
(da La caduta di Milano, Edizioni Tracce, 1999, p. 34)
Francesco Mandrino, alias Gunter La Bonne D’Ambourg, nasce nel 1948 a Confienza (PV) dove ha vissuto fino all’età di 15 anni, per poi trasferirsi a Milano. Dal 1983 si stabilisce nel modenese e prende contatto con differenti gruppi e artisti, partecipando a diverse iniziative. Incomincia a scrivere poesie nel 1969. Co-fondatore di MMA Multimediarte, redattore di «Alla Bottega» e collaboratore anche con articoli critici, delle riviste «Punto di Vista», «L’Ortica», «Tracce», «Origini», «Art & Life», «Nuove Lettere», «Offerta Speciale», «Private», «La Clessidra», «Risvolti», dal 1995 si attiva anche nel circuito della mail art, con opere di poesia visuale. Nel 2004 inizia la diffusione di “Agile gramma”, foglio d’informazione poetica. Alcuni suoi testi vengono musicati da Irlando Danieli in una composizione per pianoforte e soprano. Pubblica le seguenti raccolte poetiche: I bordi della notte (1992); Conta il sambuco, all’alchechengi (1995); Kiosa (1998); La caduta di Milano (1999); Audio/video (1999); Boulevard. Dente di sega (2004); M’innamorai lo riconosco (2005); Nel buio, nel fumo e nelle canzoni (2005); Lettere dal sogno (2007, con immagini di M. Diotallevi). Ha pubblicato anche alcune cartelle verbovisuali: Geometrica (2007, con immagini di P. Mondrian); Estetica del rigore (2007, con immagini di P. Dorazio); 4 stagioni (2007, con immagini di F. Piri Focardi).
Mandrino è stato un poeta che ha amato la ricerca linguistica che non si è esaurita soltanto nella scrittura ma in un campo totalizzante di proposte libere da stereotipi e anarchiche, costruttivamente anarchiche, delegittimando l’ambiguità della forma fluens dei linguaggi odierni per un punctum fluens di barthesiana memoria. E a tal proposito, sosteneva che la: «parola deve essere usata come strumento dell’ambiguità che si vuole insinuare, alla quale non ci si deve contrapporre per enfatizzarla, per farla risaltare; fare ciò vorrebbe dire limitarsi a suscitare un effetto ironico-sarcastico teso a valorizzare una eventuale posizione contrapposta, difficile da individuare e che comunque risulterebbe condizionante, il che non è certo lo scopo della poesia. L’ambiguità va invece fiancheggiata, spalleggiata fino ad indurre una sensazione di ribaltamento tale da trasformare ogni affermazione in una possibile negazione che renda impossibile ogni rifiuto o accettazione preconcetta anche e soprattutto a chi si era predisposto ad una delle due eventualità. Svelare successivamente questo uso, o lasciarlo intuire, serve a delegittimare la parola stessa. La parola delegittimata, dicendosi si scopre come tale, ripetendosi si inflaziona, smette di aderire al proprio significato e può contribuire a costituirne uno nuovo nella complessità del verso tramite una certa dose di allusività. Quindi si finisce per non trasmettere più il senso evocato dallo scritto bensì, attraverso una opportuna lettura dello stesso, si può indurre alla ricezione di un senso diverso, a volte perfino contrapposto…».
La poesia di Mandrino possiamo definirla “poesia civile”, ma sarebbe più giusto dire un’osservazione della realtà che determina una serie di accadimenti: «Il futuro doveva essere / un’oasi per noi / il nostro nido dietro l’angolo / con gli elettrodomestici; / fumo negli occhi per coprire / i tuoi piaceri illeciti, / ed ora fai l’offeso / ed offri al piede della lampada…»1.
La poesia di Mandrino è soprattutto alimentata da quella inquietudine e dubbi che sono il sale della poesia, sospesa tra “il fuori” e “il dentro”, un’analisi transitoria che si sposta da un “raccontare” all’altro situazioni, stati d’animo «a cui abbandonarci per lenire / ogni nostro pensiero come un male»2, che incalzano con lucida abilità sulla pagina bianca, un lungo respiro, a volte furioso, che si
dipana tra un ordine e un disordine quotidiano: «Spesso ad alta voce il mare e il sole / pronuncia-
mo, ma così strettamente / che neanche noi non comprendiamo più…»3.
Si tratta di un percorso anche lungo la memoria, questo di La caduta di Milano, dove non viene a mancare la curiosità, alla ricerca del bei tempi andati, di «una casa con siepi di sambuco / nel cuore, di sera, quando ci sembra / di riconoscere una porta, quando / guardiamo immagini televisive / di cui non comprendiamo le parole…»4.
Una ricerca di un canto erotico, irriverente per certi aspetti, ma non usato come un’arma, né come peccato («solo segnali oscuri / che ci lasciano indecisi / sui dubbi, reazioni / d’insofferenza minime / al pungolo ostinato. / Tanto vale entrare / e cercare sollievo / nelle cosce e nei seni / come in un analgesico…»)5; piuttosto come amore-odio di un’avventura umana, prodotta «da un dettato scorrevole ma mai scontato, particolarmente significativo»6, tra immagini e coscienze ipnotizzate dagli stereotipi cittadini, carica di sottile ironia, di metafore pungenti e allegorie che tendono a sconvolgere, appunto, uno scenario destinato al fallimento, che invitano – secondo Gio Ferri ‒ «alla meditazione visiva, nello strascicare delle code sdrucciole che frequentemente immobilizzano i versi, insieme agli enjambements [entro] I campi semantici sacrificano i loro sensi contingenti entro i sensi, le sensitività, universali, cosmologiche », con uno stile, ci dice Ubaldo Giacomucci, «attuale e ben definito, in cui i simboli non sono mai arbitrari, ma ben calibrati in un discorso poetico unitario.
Poesia fatta anche di metafore che evidenziano una vena pessimistica di fronte a un realismo, anch’esso tragico come la realtà degli sfruttati e dei derelitti (già nota, per fare due nomi, in uno Scotellaro o in un Sinisgalli), che si sofferma sugli aspetti di una vita che, sia pure soccombente di fronte al fato del nulla, si rafforza e trova vitalità e speranza, comunque, nelle potenzialità inespresse dell’umanità, arricchendosi di «rimandi ironici e da uno spirito caustico, temi e propositi esistenziali [che] non sono appesantiti da riflessioni etiche, pur coinvolgendo il lettore in riflessioni che toccano anche il sociale»7.
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1 F. Mandrino, Relazioni industriali, da La caduta di Milano, op. cit., p.
44.
2 Id., III°, da La caduta di Milano, op. cit., p. 16.
3 Ibidem.
4 Ivi, p. 17.
5 Id., Dissolvimento, da La caduta di Milano,op. cit., p. 20.
6 U. Giacomucci, Postfazione a La caduta di Milano, op. cit., p. 60.
7 Ibidem.