La Dott. Alma Arzillo è Dirigente Medico Pediatra presso il Distretto 33 – ASL Napoli 1 che abbraccia i quartieri di San Lorenzo, Vicaria e Poggioreale di Napoli.
Il consultorio è rivolto alle fasce socialmente deboli che, troppo spesso disinformate sui servizi a loro disposizione e sull’opportunità di una buona prevenzione per i figli, vi ricorrono solo in presenza di un problema più evidente. Il Consultorio è aperto ai nostri bambini e a quelli provenienti da ogni paese ed alle loro famiglie, ed è condotto con competente fermezza e amorevole partecipazione .
La Dott. Arzillo ne ha visti di bambini lungo il corso degli anni, li ha curati, seguiti, indagato anche, arrivando, se dovuto, a conseguenze estreme verso genitori troppo giovani o irrequieti. Per lunghi anni ha fatto parte del progetto: “Sostegno alla genitorialità”, un supporto alle famiglie più fragili, perché per prendersi cura di un bambino bisogna sostenere prima di tutto la sua famiglia; progetto chiuso tre anni fa per mancanza di fondi.
A chiacchierare con lei ci si rende conto della sua passione, della non comune capacità diagnostica e soprattutto dell’esperienza umana accumulata nel tempo. E’ entrata in tante case, conosciuto e seguito nuclei appartenenti a tutte le etnie presenti nel suo Distretto. Ne conosce le peculiarità ed è testimone dei loro cambiamenti culturali e sociali rivolti, ora, ad una maggiore integrazione, l’altra, ad una perdita identitaria con conseguente stravolgimento dei codici morali d’appartenenza.
Non si smetterebbe di ascoltarla, ci si appassiona alle vicende di ragazze e bambini mai conosciuti e che si vorrebbero “in salvo” dai rischi aggiunti a quelli che si trovano ad affrontare per nascita; leice li presenta senza enfasi come fratelli di cui prendersi amorevole cura.
Nel suo Distretto si è sempre occupata di bambini immigrati?
“Sì, già prima del progetto di Sostegno alla genitorialità, e grazie ad un passaparola, mi venivano portati, oltre ai bambini napoletani, i bambini delle prime comunità di immigrati: Cinesi, Albanesi, Polacchi che, non avendo il medico di base assegnato, afferivano al consultorio. Poi fu varato il progetto e fu possibile organizzarci in maniera più organica.”
Cosa prevedeva il progetto di “Sostegno alla genitorialità” e chi lo finanziava?
“Si trattò di un progetto nazionale finanziato dai Comuni e dalle ASL di competenza. Era inizialmente rivolto ai nostri bambini e soprattutto al primogenito, con l’intento di far partire col piede giusto le famiglie a rischio, poi si pensò di estenderlo agli immigrati.
I rischi furono individuati nella famiglia monoparentale, nella tossicodipendenza, nella coabitazione, anche con i nonni, nella condizione di immigrati e nell’inserimento scolastico.
I bambini appartenenti a queste categorie ci venivano segnalati dagli ospedali che accoglievano le partorienti, e noi, periodicamente, ci recavamo a casa loro, previa telefonata, per capire la relazione madre figlio, poi li invitavamo a venire al consultorio. Si era formata una rete l’ETI: Equipe territoriale integrata, formata da un pediatra, uno psicologo, un sociologo, un’assistente sociale ed una maestra, se il bambino veniva segnalato dalla scuola materna. Ci si incontrava ogni 15 giorni per relazionare e decidere in merito ai casi. Il progetto del Comune prevedeva anche l’accompagnamento della madre dal ginecologo, dallo psicologo, se necessario, o presso il Sert per eventuali problemi di tossicodipendenza. Se il caso lo richiedeva, ma solo in extrema ratio, interveniva il Giudice competente.
Al progetto si erano interessate anche delle associazioni che fornivano i Tutor, una figura che veniva assegnata a tutta la famiglia e si occupava dell’accompagnamento dei bambini a scuola o ai giardinetti e dava una mano in casa.
Ci ricordiamo ancora di un vedovo al quale era stata assegnata una tutor che lo aiutava nella cura del bimbo e della casa, ma poiché era di bell’aspetto dopo un po’ fu rifiutata per evitare i pettegolezzi nati nel quartiere!!! Accadeva anche questo.”
Quanti Distretti furono coinvolti nel progetto e quale assistenza è possibile oggi in assenza di finanziamenti?
“ Erano 10 i Distretti interessati sul tutto il territorio cittadino. Oggi quasi tutti i pediatri sono andati in pensione e non sono stati sostituiti. Io sono, credo, l’ultima ancora in servizio.
I concorsi sono bloccati per mancanza di fondi e mi chiedo chi si prenderà cura dei bambini a rischio. Con la chiusura del progetto non vado più a casa loro per gli abituali controlli, tranne quando ci sono famiglie che non si presentano più in ambulatorio.
Naturalmente continuo a seguire e vaccinare i bambini presso il Consultorio, io sono il loro medico “prescrittore”, come se fossi il pediatra di base. Sono il “dirigente unico pediatra con infermiera” e seguo due modalità di ricevimento: per accesso libero accolgo i bambini tutti i giorni, se hanno un problema di salute, o fisso un appuntamento ed, in questo caso, assicuro la mia presenza una volta a settimana.”
Per gli immigrati adulti che tipo di assistenza sanitaria è prevista oggi?
“Per gli adulti è previsto un servizio ambulatoriale, se non sono cittadini europei non hanno un medico di base ed afferiscono al consultorio, hanno una tessera per persone non regolari, la SPT: stranieri temporaneamente presenti, e non pagano ticket a meno che non lavorino in dipendenza. Una volta a settimana è presente un medico per stranieri presso le ASL o possono recarsi all’ospedale Ascalesi.
Il servizio è nazionale ma molti si trasferiscono dal nord a Napoli, lasciando il loro lavoro, perché trovano più comodo vivere qui, si sentono meglio accolti. E questo è un dato che va riconosciuto alla nostra città.
Per i cittadini europei è prevista la tessera sanitaria ENI: europei non iscritti (al servizio sanitario), pagano il ticket e seguono il nostro iter.
Ci sono tanti casi ed ognuno diverso dall’altro, sia chiaro, non si possono fare pericolose generalizzazioni ma capita, molto spesso, che alcune persone appartenenti ad una stessa comunità acquisiscano modi comuni nell’approcciare all’iontegrazione sanitaria.
I Rom, rumeni europei, ad esempio, di rado richiedono la tessera sanitaria, non abbiamo un tasso alto di vaccinazioni nella loro comunità e tendono a venire a controllo solo se stanno male. In presenza di una patologia particolare sono più assidui visto che viene loro attribuito un codice che consente di usufruire anche di varie agevolazioni.”
Lei ha avuto modo di conoscere ed osservare famiglie appartenenti a tutte le etnie presenti nel suo Distretto seguendone i mutamenti, ha notato differenze di comportamento tra loro?
“Sicuramente, e ciascuno si relaziona con noi diversamente. I Rom sono una comunità a parte, hanno tre campi a Gianturco ed uno a Scampia , vivono in vere baraccopoli e non hanno certo acqua corrente ma solo una fontanina comune a tutti. Ecco, direi che fare discorsi di igiene e prevenzione in queste condizioni è almeno anacronistico.
I bambini vengono portati in ambulatorio, 20 alla volta, dalla scuola. Sono puliti e curati e bravi nello studio, ma hanno difficoltà ad integrarsi, raramente hanno amici napoletani. A Scampia, paradossalmente, le cose vanno un po’ meglio.
Se fino ad ieri l’attività prevalente era quella dell’elemosinare ora è in auge la prostituzione. Spesso anche ragazzine dai 12 anni in poi vengono indotte al mestiere, e non è difficile nemmeno trovare i ragazzini addirittura ai semafori. Sono assurte alle cronache diverse situazioni in cui questi sottratti dalla polizia ed inviati in una casa famiglia dal Giudice, spesso si rifiutano di tornare dai genitori.
I Rom non sono censiti, tranne che a Scampia, e non possiamo vaccinare e seguire i bambini né controllare se vanno a scuola. Se qualcuno, ammalato gravemente, viene sottratto alle cure, noi siamo impotenti, non abbiamo strumenti per rintracciarli. Censirli forzosamente potrebbe essere percepito come un atto ostile, ma io non sono più riuscita a rintracciare un bambino con una grave forma di epilessia e che la madre ha deciso di non curare più. Probabilmente vivono tutto, morte compresa, con una maggiore fatalità.”
Cinesi e nordafricani con i loro negozi, sudamericani, cittadini dell’est, indiani, col loro lavoro di supporto alle famiglie napoletane, una piccola Babele. Chi è più integrato ed attento alla salute dei figli?
“Gli Ucraini sono molto medicalizzati, pretendono visite di tutti i tipi anche senza che ve ne sia reale bisogno, più vaccinazioni di quelle previste per legge e somministrano antibiotici di continuo. Non è un atteggiamento che assumono qui, sono cosi anche in patria dove fanno più vaccinazioni di noi italiani. Ti lanciano, poi, coloriti improperi se ti rifiuti , e ti additano se ti incontrano per strada, in realtà non si fidano. La solitudine è uno dei prezzi più alti che pagano gli immigrati.
I domenicani sono tranquilli e molto ben integrati nella zona del Borgo di Sant’Antonio, fanno tutt’uno con i napoletani che si prestano ad aiutarli con i bambini e ci sono stati molti matrimoni misti. E’ una comunità aperta e tollerante che ben accetta nuovi partner e figli degli ex consorti.
Tra i Nordafricani i Senegalesi sono la comunità più tranquilla, vengono in Italia in coppia, imparano l’italiano e si sono molto ben integrati nella realtà della zona della Duchesca.
Quella dei Cinesi, infine, è una comunità piuttosto chiusa, ma che ha fiducia nella nostra medicina.
Qui da noi i Cinesi sono parecchio prolifici e dopo il parto la mamma resta a letto per un mese intero, deve riprendere le forze in vista del rientro al lavoro, dove non sarà risparmiata. E’ il padre, quindi, che porta il bambino a controllo, di solito è molto attento e quasi mai riesco a conoscere la madre perché presto il bambino viene affidato ad una famiglia napoletana che lo segue anche nei controlli. Il bambino mangia napoletano ed inizia a capire ed a parlare la lingua, un piccolo napoletano a tutti gli effetti che, compiuti i due anni, viene prelevato e spedito in Cina dove conoscerà i nonni, imparerà il cinese ed andrà a scuola. Ritorna dai genitori intorno ai 5-6 anni. Da noi frequenta le elementari e impara l’italiano ma si esprime poco e non risponde alle domande che gli rivolgo. Nonostante o grazie ai continui cambiamenti, il bambino cinese cresce bene, è forte ma capita, a volte, che rifiuti le sue origini, la famiglia, il cibo avendo una specie di rigetto verso i suoi parenti. Vorrebbe sentirsi uguale ai compagni, essere napoletano fino in fondo. L’integrazione non è sempre facile soprattutto per un membro di una comunità dall’identità così forte e protetta“.
Le risulta fondata la voce secondo cui gli immigrati hanno diffuso da noi malattie ritenute scomparse come la tubercolosi?
“No, direi piuttosto che gli immigrati adulti, nel primo anno di vita trascorso qui, sono più esposti a contrarre malattie da noi debellate come la tubercolosi, spesso per le precarie condizioni di vita, dopo l’incidenza è uguale.
Non di rado, si è gridato all’untore a sproposito alimentando la diffidenza nei confronti dei nuovi arrivati“.
La Dott. Arzillo è laureata in Medicina con specializzazione in Endocrinologia e Pediatria.
L’anno scorso ha maturato gli anni per il pensionamento ma ha deciso di continuare, di restare al suo posto di…frontiera.