Ricercatori Isasi-Cnr hanno sviluppato una nuova tecnica di ricostruzione olografica che produce immagini di qualità paragonabile alla fotografia digitale.
La parola “ologramma” viene spesso ed impropriamente associata a proiezioni virtuali tridimensionali. In realtà un ologramma è un’immagine, registrata su un sensore digitale, che contiene l’interferenza tra due fasci di luce laser alla stessa frequenza, di cui uno è usato per illuminare un oggetto reale. La luce che interagisce con l’oggetto viene modulata in funzione della forma tridimensionale dell’oggetto stesso, mentre l’altro fascio laser è usato come onda di riferimento. Entrambi i fasci vengono poi indirizzati sul rivelatore e la loro interferenza produce un’immagine chiamata appunto ologramma. Infine, solo tramite particolari dispositivi di proiezione, chiamati Spatial Light Modulators, è possibile “ricostruire olograficamente” l’oggetto. Tuttavia, ogni ologramma è intrinsecamente affetto da un disturbo, chiamato rumore speckle, legato all’utilizzo di sorgenti ad alta coerenza come il laser, che pregiudica la qualità delle ricostruzioni olografiche.
Un team di giovani ricercatori dell’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti (Isasi-Cnr), in collaborazione con l’Università del Connecticut, ha sviluppato una nuova tecnica di ricostruzione olografica in grado di eliminare quasi totalmente il rumore speckle.
Il metodo innovativo consiste nel far cooperare due distinti paradigmi di ottimizzazione delle immagini. Il primo consiste in una acquisizione programmata di più ologrammi dello stesso oggetto in cui il rumore speckle viene casualmente modificato. Codificando opportunamente questi ologrammi in un’unica immagine, questa viene elaborata digitalmente, usando un metodo numerico basato sulla correlazione tra vari pezzi dell’immagine stessa.
“Esistono tantissime tecniche e software per l’ottimizzazione di immagini, che producono risultati incredibili.”, spiega Pasquale Memmolo, ricercatore di Isasi-Cnr. “Spesso queste soluzioni non sono così efficaci sugli ologrammi a causa del tipo di disturbo di cui essi soffrono. Invece, il nostro metodo è stato concepito tenendo conto della specificità degli ologrammi e porta a ricostruzioni olografiche di qualità mai raggiunta”.
I risultati dimostrano come sia possibile ottenere ricostruzioni olografiche di qualità confrontabile con le attuali fotografie digitali. “Abbiamo utilizzato diverse metriche per stabilire quanto il nostro metodo ottimizzi una ricostruzione olografica”, aggiunge Vittorio Bianco, assegnista presso Isasi-Cnr. “Abbiamo misurato una diminuzione dello speckle del 98%, risultato mai ottenuto prima d’ora in olografia digitale”.
“C’è un enorme interesse, sia industriale che economico, a percepire un mondo tridimensionale artificiale in modo naturale”, afferma Pietro Ferraro, direttore di Isasi-Cnr. “La nostra ricerca rappresenta un lungo passo in avanti rispetto all’attuale stato dell’arte nel campo dell’olografia digitale. Essa potrà essere utile in molti campi di ricerca in cui l’olografia sta emergendo come tecnica di acquisizione e visualizzazione, come ad esempio lo studio del patrimonio culturale e l’intrattenimento, la realtà aumentata, la televisione tridimensionale”. La ricerca è stata possibile grazie alla natura fortemente interdisciplinare del team di giovani ricercatori costituito da fisici ed ingegneri delle telecomunicazioni”.