Un citofono, una domanda e una voce che risponde, per esempio su cosa si farebbe con un milione di euro. E’ una delle pressoché infinite questioni sollevate dalla mostra-laboratorio “999 – Una collezione di domande sull’abitare contemporaneo”, che Stefano Mirti ha ideato e curato per la Triennale di Milano. Un viaggio a tratti visionario a tratti in costante ridefinizione dentro questioni che vanno dalla quotidianità domestica all’accoglienza del diverso. Il curatore ha spiegato così la scelta del numero che dà il titolo alla mostra.
“Perché 999 domande? Avremmo potuto farla di nove, o di tre o di una sola domanda. 999 perché assumiamo questa idea che viviamo in un mondo dove ci sono tante persone diverse, con tante domande diverse, che a volte sono condivise, a volte no”.
Come le sale espositive chiaramente dimostrano, la sensazione immediata è quella di entrare in un hub di idee e proposte, in aggiornamento continuo e in dialogo con gli stessi fruitori delle domande. “Alcune vengono fatte dai curatori – ha aggiunto Mirti – alcune dai partecipanti, alcune sono fatte dal pubblico. Sono mesi che sui social invitiamo i futuri visitatori a farci la loro domanda per condividerla. È un grande gioco collettivo”.
Un gioco, certo, ma con lo sguardo puntato su una delle questioni cruciali del presente, non solo in ottica architettonica. Un progetto che nasce da lontano e dalla visione del precedente presidente della Triennale, che Clarice Pecori Giraldi, vicepresidente dell’istituzione milanese, ha voluto sottolineare in conferenza stampa. “Ci tengo a ricordare che questa mostra fu come concetto fortemente voluta da Claudio De Albertis, un progetto nel quale lui credeva moltissimo”.
A presentare la mostra – che è sostenuta tra gli altri da Edison, azienda partner della Triennale – anche l’assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, Pierfrancesco Maran.
“Nelle case, nell’edilizia – ha dichiarato– nel modo di costruire e di vivere quello che già è costruito ci sono dei cambiamenti in corso molto forti che vanno organizzati e che vanno messi al servizio di un miglioramento della qualità della vita di ognuno di noi”.
Un miglioramento che ha molti aspetti, molte sfaccettature, molti snodi problematici e interessanti. Nel quale la sensazione principale che si percepisce a pelle è quella di una polifonia.
“Come funziona una mostra generativa? – ha concluso Stefano Mirti – Sostanzialmente è come se fosse musica generativa. C’è la musica tradizionale nella quale Mozart o Beethoven scrive la partitura e chi la suona la segue pedissequamente. Nella musica generativa si stabiliscono degli ingredienti a monte e poi chi la suona segue le regole, ma suona ogni volta una musica diversa. Qui è uguale”.