Un sindaco tifoso è quello che tutti accettano con sguardo benevolo e compiaciuto. Un tifoso sindaco non è solo un gioco di parole rispetto alla frase di prima ma la descrizione di un sentimento opposto perché tifoso è sinonimo di partigiano e nel politically correct oggi tanto di moda non funziona bene.
La foto che oggi campeggia sui giornali del prof. Manfredi – candidato sindaco di Napoli per PD e M5S oltre alla solita pletora di partitini, movimenti e giannizzeri vari – che regge e mostra la maglia con il numero dieci del D10S è icastica di un modo di fare politica che, seppure piace molto a tanti, a noi lascia molto perplessi in verità.
“Sarò il Sindaco di tutti quanti i napoletani” si affretterà a dire il prossimo inquilino di Palazzo San Giacomo, chiunque esca vincitore dalla contesa elettorale autunnale. Si, perché questa frase ormai di rito è la ricerca tangibile dell’inclusività ad ogni costo e rivela la premura che tutti gli eletti hanno di ammantare di pax il loro futuro cammino amministrativo e politico.
In realtà, la foto incriminata nasce da un peccato originale molto pesante che il prof. Manfredi si dovrà portare sulle spalle: essere dichiaratamente tifoso a strisce bianco nere che, diciamolo senza celarci dietro il classico dito, è quanto di peggio possa essere rivelato ad un napoletano.
Ovviamente, questa nostra affermazione avrà già fatto saltare dalla sedia i benpensanti che esclameranno: “ecco il solito tifoso napoletano travestito da giornalista”, lasciateci fare una precisazione che non è solo linguistica ma di contenuto.
Sgombriamo subito il campo da ogni ragionevole dubbio: chi scrive non è tifoso del Napoli è molto di più; un ‘patuto’ vero. Non arricciate il naso per l’uso del napoletano perché la dignità della lingua napoletana sta proprio nell’espressione di alcuni vocaboli meglio dell’italiano danno la raffigurazione delle cose. Patire e tifare sono due verbi che a Napoli vanno a braccetto, qui nessuno ci ha mai regalato nulla e questa è la nostra fiera consapevolezza.
Ecco, il calcio è una cosa molto seria vissuto così. La fede calcistica, al pari di qualsiasi altra, non è mai un sentimento che unisce solo, anzi, è molto ma molto divisiva.
Sempre chi scrive si sente ancora molto fieramente figlio del ‘900 con tutte le sue contraddizioni ma anche con tutte le sue nette separazioni.
Farsi scattare una foto con la maglia di Diego Maradona a Napoli da non tifoso napoletano è una scelta poco, ma molto poco lungimirante. Sa di finzione, sa di presa in giro, sa di opportunismo sa di tutto ma non di napoletanità. Certo qualcuno già paventa: “figuriamoci se non lo avesse fatto, se avesse rifiutato…” sarebbe stato tacciato di lontananza dalla cittadinanza.
Una sola domanda: non è meglio essere autentici rischiando di essere antipatici ma non cadere nell’oleografia da cartolina illustrata? La foto, poi, denota tutto il disagio del professore che tiene la maglia proprio con la punta delle dita facendo trasparire il pensiero “facciamo presto per favore”.
Bando alle riflessioni da tifosi, ritorniamo alla politica; se così si può definire quella che si perpetua con questa campagna elettorale che – probabilmente – il prof. Manfredi vincerà sedendo sullo scranno più alto della città. Di fatto, finora, al di là dell’eterogeneo caravan serraglio che lo appoggia, nessun segno tangibile di uno straccio di programma politico o amministrativo che si possa definire tale tranne a considerare quella richiesta di una legge speciale per Napoli che sarebbe l’unico epigono da cui ripartire azzerando i debiti per editto reale.
Attenzione, non vogliamo attaccare nessuno in modo preconcetto. Stiamo guardando a sinistra ( se ancora il campo di PD e M5S si può definire tale) e l’espressione dello stimatissimo prof. Manfredi sembra sempre più una decisione – al solito – calata da Roma ma poco incline a comprendere la complessità della situazione cittadina e di certe parti della città più di altre.
Manfredi, e chi lo consiglia, avevano pensato che fosse divisiva la fede calcistica e bisognava inventarsi qualcosa per colmare il gap di uno juventino candidato sindaco di Napoli e la foto con la maglia è sembrata loro una bella occasione; in realtà lo è stata ma un’occasione perduta però. L’occasione di essere se stesso e presentarsi ai cittadini per quello che è: ex rettore di una delle più storiche Università italiane, ex ministro ed uomo di cultura. Cedendo a quell’impulso eterodiretto di mostrarsi con quella maglia non sua fra le mani ha perso una grande occasione.
Permetteteci di chiudere con due sguardi altri. A destra, dove il magistrato (l’ennesimo prestato alla politica dopo l’attuale sindaco) in aspettativa Catello Maresca viene alle cronache politiche con sperticate lodi dell’ex Cavaliere nazionale auspicandone una copia anche a Napoli con un colpo di spugna sul suo recentissimo passato di Magistrato e le vicende giudiziarie di colui che erge a mito della vita politica italiana lasciando un po’ basiti più i suoi stessi sostenitori che gli avversari. Anche lui, ma non solo, dovrà fare i conti con i nomi scomodi che popolano la sua parte politica di appoggio per non dimenticare ( al pari della juventinità di Manfredi) la pesantezza dell’ombra salviniana e dei suoi cori contro i napoletani che puzzavano come i cani; cosa con cui al netto degli equilibrismi del padano e dei suoi seguaci (?!) napoletani alla fine l’ex magistrato dovrà fare i conti.
La variabile Sergio D’Angelo e tutto il portato del terzo settore che coagula intorno a se, l’altra data da tutto il movimentismo intorno ai centri sociali che tanta parte ha avuto anche nell’amministrazione attuale e ultimo ma non per ultima la variabile Antonio Bassolino – fra l’altro l’unico che parla di programmi, caso più unico che raro, e che può mettere in campo la necessaria esperienza di queste competizioni – che sembra non essere considerato da nessuno ma che oggi da politico di razza sceglie di non andare per pizzerie e cortei d’improbabili tifosi ma rispolvera il caro vecchio comizio di piazza nel centro di Napoli.