Progressismo. Questo sembra essere, per antonomasia, il tema del governo renziano che dalla sua nascita vive un conflitto tra vecchio e nuovo, in una dicotomia conservatorismo-progressismo che ritorna più forte di prima sul tema delle riforme, in questo caso quella del Senato e del nostro sistema bicamerale.
Ma quale l’approccio che il governo Renzi sta seguendo? A parer di molti, l’atteggiamento renziano sembra quello del “so tutto io”, sottovalutando opinioni e punti di vista che provengono dalle file dei sapienti, dei costituzionalisti “professoroni” come Rodotà, Zagrebelsky e “la compagnia cantante” come il premier ha dichiarato. Critiche spesso infondate secondo lui che proverrebbero dai vecchi conservatori, provinciali, come qualcun’altro ha aggiunto.
Ed è allora in una baraonda generale, dallo stile italiano, che si tenta di approvare con una certa fretta il ddl Boschi, che rivede il nostro assetto parlamentare, per poi andare tutti in vacanza l’8 agosto. Un pò di Francia e un pò di Germania, di certo gli esempi in Europa non mancano, ma non sembrano servire poi a molto qui da noi. Intanto con l’art. 4 della riforma costituzionale approvato ieri si modifica l’art 60 secondo cui la Camera dei deputati sarà l’unica elettiva e il mandato dei senatori sarà legato alla durata dei Consigli regionali che li eleggeranno. La riforma inoltre vede un Senato che non avrà più alcun rapporto fiduciario con il governo e tantomeno competenza riguardo alla legge di bilancio.
Secondo il governo è un disegno che rispecchia il Bundesrat tedesco con i suoi 69 componenti nominati dalle maggioranze di governo di ciascun Land. Non sembra però della stessa idea Jörg Luther, giurista e costituzionalista all’Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro” secondo il quale nel Bundesrat, «i governi regionali rappresentano anche le esigenze delle autonomie locali, mentre nel modello italiano si affianca al federalismo regionale quello municipale, sperando forse che uno neutralizzi l’altro». Alto anche il rischio di deficit di rappresentanza se consideriamo che la Valle d’Aosta dovrebbe avere lo stesso numero di senatori della Lombardia, mentre se fosse uguale al Bundesrat dovrebbe richiedere un riequilibrio a favore delle grandi Regioni che avrebbero più rappresentanti o voti, oltre ad avere come presupposto essenziale una vera e propria struttura federale dello Stato.
Per quanto riguarda il Senato francese è eletto in forma indiretta, ma è anche inserito in un contesto semipresidenziale, in cui i deputati vengono eletti con un sistema elettorale a doppio turno in collegi uninominali; in particolare, il Senato viene eletto da parte di un collegio elettorale composto da deputati, senatori, rappresentanti regionali, dipartimentali e locali (una platea di poco meno di 150.000 elettori, quindi difficilmente manovrabile dai vertici dei partiti) con metodo misto (proporzionale con parità di genere per la maggior parte, maggioritario a due turni per il resto).
L’elemento della territorialità non è però indispensabile, uno degli esempi migliori che abbiamo in Europa di democrazia parlamentare è quello della Gran Bretagna, dove la Camera dei Lord ha un collegamento minimo con il territorio, composta da 764 Lord ereditari o di nomina reale.
Guardando agli esempi citati generalmente la camera alta riveste un ruolo di garanzia sulle istituzioni, di controllo sui governi, di equilibrio nei confronti delle camere basse e di riflessione sulla legislazione. Qui in Italia cosa e come si sta copiando non si è ben capito. Quello che è chiaro è che per decenni si sono attribuiti al Parlamento italiano difetti che appartengono alla politica, ai rapporti tra i partiti e alla loro capacità di essere tempestivi rispetto alle aspettative dell’opinione pubblica. Più volte è stato dimostrato – vedi Berlusconi con leggi ad personam e riforma dell’art. 81 Cost. in tema di vincoli alla legge di bilancio e all’indebitamento approvata in cinque mesi o il governo Monti e Renzi ora – che quando c’è volontà politica e sufficiente consenso dei partiti, le cose si possono fare, ed anche in fretta. Da noi invece sembra che il bicameralismo sia diventato sinonimo di inefficienza, bè ricordiamolo, escludendo la Cina 4 miliardi di persone su 5,5 sono rappresentati da sistemi bicamerali, e 30 dei 40 paesi più popolati al mondo (sopra i 30 milioni di abitanti) sono bicamerali.
I “professoroni” snobbati da molti continuano a dire che, se proprio si vuole modificare, perchè non copiare interamente l’uno o l’altro sistema riportando anche gli equilibri necessari al suo funzionamento. In Italia però si preferisce fare un bell’impasto con il rischio tangibile di non dare più voce al pluralismo della società italiana con una Camera eletta con un sistema maggioritario peggiorato da alte e differenziate soglie di sbarramento ed un Senato i cui componenti derivano, in un modo o nell’altro, da elezioni locali anch’esse maggioritarie, aumentando così drasticamente la sfiducia nelle istituzioni.