Aveva otto anni quando la dottoressa con gli occhi azzurri era arrivata per aiutare il vecchio dottore nel Centro di Salute del suo villaggio. La camionetta aveva sollevato un nugolo di polvere fermandosi al centro dello spiazzo di terra battuta dove i bambini giocavano saltando con corde di canapa ben intrecciate.
Ayo non si era interessato come gli altri ai pacchi impilati nella camionetta che venivano scaricati nell’unica casa di mattoni del villaggio, quella dove i bianchi vivevano e curavano. Lui come tutti viveva con sua madre, sua nonna e le sue tre sorelle maggiori in una capanna all’estremo nord del recinto che li proteggeva dagli animali selvaggi. Suo padre era andato via tanto tempo prima, a stento lo ricordava.
Aveva percorso tanta strada per raggiungere il mare e imbarcarsi per una terra che si chiamava Italia. Li gli avevano detto che avrebbe trovato fortuna per sé e per la sua famiglia ma non era piu tornado come molti del villaggio che erano partiti con lui. Sicché in giro ormai si vedevano pochi uomini. Ayo sapeva di essere uno di quelli che erano restati e anche se piccolo, si sentiva il protettore della casa, sua madre glielo diceva ogni notte prima di addormentarlo con il suo canto dolce.
Il giorno dopo l’arrivo della dottoressa Ayo si mise in fila con gli altri bambini per essere visitato. Lei sorrideva a tutti, i suoi compagni tenevano la testa bassa ma lui fissò i suoi occhi d’ambra in quelli di lei, era come volare nel cielo o avvolgersi ridendo nei teli che sua madre dipingeva di quello stesso colore che gli metteva allegria.
-Mi chiamo Alba, e tu?”
Da quel giorno Ayo cercava ogni occasione per vederla, per toccare l’orlo dei suoi vestiti candidi. Sua nonna gli aveva detto che ogni uomo ha diritto a due madri, una, quella del corpo, la sceglie il destino e l’altra, quella dell’anima, ognuno se la trova da solo. Senza la seconda madre ogni bambino è incompleto, gli sussurrava
mentre pestava la manioca nel mortaio.
Ad Ayo piacevano le storie di sua nonna e quelle che si raccontavano nel villaggio seduti attorno al fuoco.
E gli piacque la storia che raccontò Alba quel giorno di dicembre in cui raccolse tutti i bambini nella sala dell’infermeria. Li fece sedere in cerchio intorno a lei e cominciò a tirar fuori da una cassa di legno piccole statue di gesso, una capanna come quelle del villaggio e una stella con una lunga coda luminosa e poi per ultimo un bambino bianco adagiato in un giaciglio di paglia.
“ Ho bisogno di voi per costruire un villaggio. Si chiama Betlemme e si trova in una terra lontana. Domani nascerà li in una capanna un piccolo bambino come voi, nel mio paese ogni anno ricordiamo la sua nascita, molti credono che con lui sia nato un dio, altri solo un uomo che parlava d’amore e di pace. Io voglio, ricordandolo, festeggiare con voi la speranza che ogni bambino viva una felice infanzia”.
Poi stese su una tavola un telo colorato e bambini cominciarono a costruirvi sopra il villaggio.
Ayo chiese ad Alba se potesse tenere la statua del bambino fino alla sua nascita. E lei, che lui aveva scelto come madre dell’anima, glielo depose tra le mani.
Quella notte Ayo adagiò il bambino di gesso nel suo giaciglio, lo guardò a lungo poi si addormentò sapendo che, anche un bambino povero come lui, sarebbe potuto essere una speranza per il mondo.
Foto di copertina generata con Copilot per Cinque Colonne Magazine