Un posto al sole è la storica, ormai, fiction tutta italiana della Rai che da pochi giorni ha festeggiato il suo venticinquesimo compleanno ma l’aria di festa è stata guastata da una notizia abbastanza indigesta: l’orario di messa in onda della soap potrebbe essere spostata dal preserale al pomeridiano (18.30) – anche se questa cosa dalle ultime news sembra sia scongiurata- facendo, però, presumere un certo ridimensionamento della stessa all’interno del palinsesto di rete.
“Una follia, un suicidio“, per di Giovanni Minoli, ex direttore di Rai3 ai tempi dell’inizio della serie tv da lui fortemente voluta nel quadro di un rilancio forte del Centro di Produzione Televisivo della Rai di Viale Marconi a Napoli che da tempo non ospitava più produzioni di grande rilievo nazionale dopo che per anni era stata la casa di tanto intrattenimento, soprattutto musicale, di mamma Rai.
Non basta, la questione assume rilevanza ancora più grande facendo dire a qualcuno in tono scherzoso che la cosa ora passa da Palazzo Palladini (sede immaginaria della serie) a Palazzo Montecitorio fino al premier Mario Draghi perché il deputato grillino Luigi Iovino ha già presentato un’interrogazione in merito addirittura anche al Presidente del Consiglio.
Parafrasando Ennio Flaiano potremmo dire che ” la situazione (politica e non ) è grave ma non è seria “
Un posto al sole cambia orario?
Certo, uno spostamento di questo tipo nelle gerarchie di messa in onda televisive manifesta una vera e propria diminutio non da poco e non figlie di una svista della dirigenza ma per una volontà ben precisa.
Viene da chiedersi se c’entra qualcosa l’audience ma anche in questo caso lo spostamento di orario sembra una soluzione fantasiosa.
I dati sono abbastanza chiari e dichiarati. Un posto al sole che conta ormai più di seimila puntate ogni sera ottiene circa il 7% di share con un pubblico fedelissimo di 1.6 milioni di telespettatori con punte che superano anche di tanto i due milioni in diverse puntate. In casa Rai batte spesso l’approfondimento del TG2 Post che va in contemporanea ma anche la seguitissima Lilli Gruber su La 7.
Considerazioni di carattere qualitativo se ne possono sicuramente fare: la storia della serie sicuramente vive fasi di stanca, anche perché seimila e passa puntate non sono certo poche.
Per quanto bravi siano soggettisti, sceneggiatori, attori e registi, oltre tutte le maestranze che vi lavorano quotidianamente, lo sbiadirsi dei personaggi e delle storie si nota, eccome.
Come rinnovare?
Rinnovare una soap così non è affatto facile, si è infarcita la stessa di riferimenti alla vita reale e si sono testimoniati anche momenti particolari per il Paese come il caso lampante della pandemia, da qui, però, a dire che la serie tenga alto il feeling dei primi anni sarebbe chiedere un po’ troppo.
Un posto al sole è stata comunque una produzione che ha posto una svolta epocale nella storia della televisione italiana e questo bisogna riconoscerlo.
Siamo passati con UPAS ad una vera e propria produzione industriale del prodotto televisivo, al di là di ogni cognizione di broadcasting esistente fino ad allora.
Una serialità così longeva non ha precedenti e che possa volgere ad esaurirsi non è da porre fuori dalla grazia di Dio.
Resta, però, una doppia problematica, cogente e non di secondario ordine, sia di carattere prettamente economico sia di carattere aziendale.
UPAS, come dicevamo, è un’industria e come tale non va dimenticato quanti posti di lavoro ruotano intorno ad essa da quelli artistici e autorali fino a quelli degli operai e dell’indotto che una produzione di questo tipo porta con se creando una piccola ma significativa economia di scala locale.
Il CPTV di Napoli
Al di là di questa questione strettamente economica si staglia quella aziendale: il CPTV di Napoli non può e non deve essere svuotato di ogni contenuto, un’operazione già iniziata anni fa con la chiusura di un’altra serialità molto amata: “La Squadra”, pian piano smantellata mattone su mattone fino a farla scomparire.
Il CPTV Rai di Napoli è una risorsa fondamentale per l’azienda e per il territorio e non si può decidere di metterlo in subordine né a Roma né a Milano o, peggio, essere relegato a sede interna per i giochini preserali oggi tanto in voga.
Andrebbe, invece, valorizzato e maggiormente rilanciato anche come polo culturale per la città, il mezzogiorno, l’Italia.
Che cosa si deciderà? Aspettiamo le risposte, magari chiederle al Parlamento può sembrare un po’ troppo pretenzioso e forse lo è ma almeno l’azienda qualcosa dovrà renderlo noto.
Foto di Copertina da Raiplay.it