Un nuovo welfare per un nuovo lavoro? Un nuovo mondo del lavoro, un nuovo modo di concepire il lavoro, da qui bisogna partire per ripensare il mondo del lavoro del futuro che possa essere diverso e modulato sulla modernità. Basato sulla meritocrazia e che possa essere inclusivo sempre senza lasciare nessuno indietro.
Solo un concetto del genere che ridisegna complessivamente il mondo del lavoro, anche alla luce delle nuove tecnologie, può far pensare che possiamo cercare di vedere una luce in fondo al tunnel e che non sia l’ennesimo treno che ci piomba in piena faccia a tutta velocità.
Costituzione Italiana – Art. 1
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
Quante volte l’abbiamo sentito richiamare questo articolo negli ultimi decenni? Un’infinità di volte sicuramente. Tutte quelle volte in cui si è eroso un pezzetto di quel diritto inalienabile al lavoro che lì viene sancito in maniera sacrale come pilastro fondante dell’Italia repubblicana.
Un nuovo welfare per un nuovo lavoro o solo un’era nuova?
Si, perché per favore non ce lo scordiamo da dove veniamo: l’Italia repubblicana ha vissuto il boom economico a metà del secolo scorso che ha sancito l’inizio delle lotte sindacali per l’affermazione dei diritti dei lavoratori. Siamo arrivati al 1970 per avere la Legge 300 conosciuta come Statuto dei Lavoratori.
Una legge cardine che ha fissato le regole attraverso cui vivere il mercato del lavoro negli anni successivi. Abbiamo attraversato gli anni di piombo e poi successivamente tutte le varie crisi cicliche classiche dei mercati capitalistici più o meno maturi. Siamo passati per la fine della Prima Repubblica e del sistema solidaristico nato in tanti anni di compromesso.
Intanto, avevamo creato uno dei sistemi di welfare più avanzati per quell’epoca con punte di vera eccellenza come quelle del visionario Olivetti. Unico neo si continuava troppo a pensare agli occupati e molto poco ai disoccupati, il sistema cominciava a scricchiolare.
Il mondo cambia
Siamo rimasti ancorati, forse, per molto tempo ad una visione del mondo del lavoro molto “romantica” in un contesto keynesiano puro dove inflazione e disoccupazione facevano gara a se. Ci siamo svegliati un giorno di brutto perché era caduto il mito del posto fisso. Ci siamo dovuti adeguare al precariato, a tassi di disoccupazione a due cifre che sfioravano la seconda decina.
Il processo di modernizzazione e di digitalizzazione delle imprese ha cominciato a galoppare e tutti gli strumenti, anche di welfare che avevamo approntato non hanno retto al cambiamento dello scenario. E’ arrivata la globalizzazione ed ha scompaginato tutto. Sono arrivati nuovi lavori e tanti ne sono scomparsi. Bisognava adeguare le nostre strutture e sovrastrutture al nuovo mondo.
Abbiamo attraversato la più grande crisi economica dal 1929 in poi e successivamente ci siamo infilati nella più grande Pandemia da un secolo a questa parte. Il mondo intorno a noi non è più lo stesso.
E’ arrivato il momento di sedere tutti gli attori economici e politici nazionali, internazionali, mondiali per disegnare un mondo del lavoro che tenga conto di tutto. Nuove frontiere, scambi di uomini e merci, fenomeni migratori, mercati globali, sostenibilità ambientale.
Le sfide da vincere
Queste sono le sfide del futuro imminente e non da affrontare e vincere mettendo al centro lavoro e dignità dell’uomo che sono estremamente legate fra loro. Un nuovo welfare va affermato che possa accompagnare i lavoratori nei nuovi ritmi dettati da smart working e nuove tecnologie.
Nuove esigenze per nuovi lavoratori non perdendo mai di vista i diritti acquisiti ma aprendo la porta a quanti nel mondo del lavoro ancora non sono entrati o ne sono stati espulsi ed hanno bisogno di riqualificarsi e mettersi in gioco. Non è più gioco economico ma sostenibilità sociale. Le epoche dei conflitti le abbiamo vissute ora è tempo di costruire e le occasioni devono nascere dalle avversità come questa pandemia.
Ce la possiamo fare a regalare ai giovani un futuro migliore?