Davide Grasso si definisce una persona del tutto ordinaria, che da ragazzino ascoltava i Guns n’ Roses e i Doors e leggeva molto sull’America Latina, in particolare impressionato dalla vita e dal pensiero di Che Guevara. Sostiene sia questo ad averlo condotto, molti anni dopo, a fare la scelta di andare in Siria. “Sono partito in seguito agli attentati del Bataclan, a Parigi. Ho visto la mia generazione venire attaccata nel cuore dell’Europa nelle birrerie e ai concerti, da parte di individui che credono che ascoltare musica rock o bere alcol siano peccati che è giusto punire con la morte. Ero già stato in Kurdistan, nella parte turca, perché centinaia di ragazzi stavano combattendo nelle città orientali contro lo strapotere islamista di Erdogan, e già allora avevo avuto la tentazione di unirmi a loro, proprio perché avevo sempre affermato che Che Guevara era un esempio, ma io non avevo mai seguito quell’esempio davvero, fino al punto di imbracciare le armi. Dopo l’attacco che la mia generazione ha subito a Parigi, ho ritenuto di non avere più scusanti per tirarmi indietro”.
Come è organizzato al proprio interno il YPG? In che modo vengono prese le decisioni?
“Le Ypg, o Unità di protezione popolare, sono un esercito rivoluzionario e “comunalista”, che in Kurdistan vuol dire orientato alla costruzione di una società senza capitalismo e senza stato. Al loro interno non esistono gradi e lustrini, non esiste neanche il saluto militare. Queste sono cose che le Ypg definiscono “liberali”, cioè figlie delle gerarchie capitaliste. Le gerarchie esistono anche nelle Ypg, perché non si può combattere una guerra senza una catena di comando ma, se gli ordini vanno sempre eseguiti con una disciplina ferrea, sul piano umano i comandanti sono amici come tutti gli altri, che vivono come tutti gli altri, affrontano le stesse condizioni di disagio e mangiano, scherzano, e giocano a pallavolo insieme a tutti. L’unica differenza è che, a differenza di ciò che accade negli eserciti degli stati, il comandante è colui che sta in prima linea, che rischia di più e che di norma ha una speranza più breve di vita. Questo elemento è determinante nella diffusione di un’ammirazione profonda per le Ypg in Kurdistan, che è anche alla base del loro successo nel reclutamento. Infine, è importante ricordare che in quanto esercito socialista le Ypg si riuniscono continuamente in assemblea. Come si concilia questo con la catena di comando? È semplice: le assemblee non decidono ciò che avverrà, poiché questo è responsabilità del comando, ma criticano ciò che è avvenuto, discutono cosa è stato sbagliato da parte dei comandanti e dei combattenti, negli ordini, nella strategia. In questo modo persino in un esercito il popolo esprime direttamente il suo potere, perché i comandanti o i combattenti che ricevono critiche diffuse sono tenuti a fare autocritica e mutare il loro comportamento”.
– In che rapporti si trova il YPG con i principali movimenti politici curdi (PKK, PDK)?
“Le Ypg sono nate nel 2012 come sviluppo di un gruppo armato più piccolo, le Yxg (Unità di autodifesa popolare). Queste ultime, come le nuove Ypg, erano il braccio armato di un partito curdo siriano, il Partito di unione democratica (Pyd). Successivamente avrebbero allargato la loro responsabilità come espressione dell’intera rivoluzione, di un movimento più ampio. Il Pyd esisteva dal 2003 clandestinamente in Siria, nel Kurdistan siriano o Rojava. Era stato fondato seguendo il pensiero di Abdullah Ocalan, un curdo di Turchia che aveva fondato, assieme ad altri, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) nel 1978 e si trovava in carcere dal 1999, dove è tuttora. Proprio dal carcere Ocalan ha pubblicato numerosi scritti sotto forma di memorie processuali per il Tribunale di Strasburgo, in cui delinea la sua idea per costruire la pace e l’uguaglianza in Kurdistan e in medio oriente, parlando anche dell’Europa. Il Pyd e il Pkk (e quindi le Ypg e il Pkk) non sono la stessa cosa e non hanno legami diretti, anche perché il Pkk agisce in Turchia e in Iraq, ma hanno quindi la stessa fonte d’ispirazione politica.
Il caso del Pdk è diverso. È un partito presente in tutto il Kurdistan, ma è forte soltanto in Iraq. La sua visione è molto conservatrice, punta a mantenere le tradizionali gerarchie claniche del popolo curdo ed è guidato da Massud Barzani, che è al tempo stesso petroliere, capoclan, capo religioso e capo delle forze armate Peshmerga legate al suo partito. Il Pdk è un partito che ha legami stretti con la Turchia e l’Arabia Saudita”.
– Le grandi potenze internazionali (Russia e U.S.A. principalmente), rispetto voi come si pongono?
“La Russia intende avversare in primo luogo le forze islamiste in Siria, perché ha problemi con gli islamisti entro i suoi confini (nel Caucaso, ma anche a Mosca); inoltre intende preservare i suoi interessi in medio oriente ossia l’alleanza con l’asse sciita (Iran-Siria-Hezbollah lbanese). A questo scopo sostiene militarmente il regime di Assad. Tuttavia le Ypg hanno mostrato di essere una forza determinante contro gli islamisti, quindi la Russia ha più volte valorizzato la proposta di una Siria federale avanzata dal Pyd e chiesto che esso venisse invitato ai negoziati di pace nonostante l’opposizione turca. Al tempo stesso, però, la Russia vorrebbe convogliare le Ypg nelle braccia del regime, renderle suddite del regime. In questi ultimi mesi ha quindi allacciato rapporti con la Turchia e sta cercando di usare la violenza turca contro le Ypg sperando che queste ultime finiscano nelle mani di Assad; ma questo non accadrà.
Gli Stati Uniti, invece, hanno puntato a rovesciare il regime siriano fin dal 2011, perché l’interesse mediorientale di Usa e Ue è legato all’asse sunnita turco-saudita, nemico di Iran e Siria. Hanno rifornito di soldi e di armi migliaia di miliziani anti-Assad. Una parte di questi ultimi ha dato luogo all’Isis nel 2013 e ha attaccato anche l’occidente, allora gli Stati Uniti hanno attaccato l’Isis dal cielo, pur continuando a sostenere gli altri islamisti che sono del tutto analoghi all’Isis. In questo quadro, essendo le Ypg l’unica forza che si è mostrata in grado di sfidare l’Isis sul terreno, gli Usa hanno stabilito un’alleanza militare con esse. Le Ypg, dal canto loro, hanno formato le Forze Siriane Democratiche (Sdf) con migliaia di arabi e cristiani e da allora (2015) collaborano militarmente con la coalizione “occidentale” contro l’Isis. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno sempre chiarito di non appoggiare la rivoluzione confederale difesa dalle Ypg, ma di avere con esse un rapporto esclusivamente militare. Analoghe dichiarazioni sono venute diverse volte dalle Ypg. È un rapporto militare contro uno specifico nemico comune, né potrebbe essere diversamente, da cui sia le Ypg che gli Usa traggono beneficio”.
– E il governo di Assad?
“Come tutte le forze che cercano l’uguaglianza e la libertà, le Ypg sono contro il regime. Il progetto rivoluzionario della Confederazione della Siria del Nord, che esse difendono, d’altra parte, non è apprezzato dal regime, perché si regge sulla sovranità popolare diretta attraverso le comuni e sull’autogoverno tendenziale della popolazione. Il regime rappresenta invece l’opposto, una casta intoccabile di tipo familistico-militare, e anche settario (setta musulmana alawita). La Confederazione esiste proprio per voltare pagina rispetto all’odio settario, che è solo funzionale al controllo di potenze esterne sul medio oriente.
Le Ypg hanno cacciato le forze dello stato dal Rojava nel 2012, forze che del resto si stavano già parzialmente ritirando per contrastare gli islamisti in altre aree. Da allora sia il regime che le Ypg hanno dovuto combattere gli islamisti, quindi in diverse occasioni c’è stata collaborazione militare. Ancora una volta, la collaborazione militare non è alleanza politica: può essere difficile da comprendere per noi che viviamo in pace, ma la logica di guerra impone di tenere spesso separati, almeno parzialmente, i due aspetti, perché in guerra esistono solo la vittoria o la sconfitta. In ogni caso, rispetto agli islamisti e alla barbarie che hanno portato in Siria, le Ypg sono consapevoli che persino la società modellata dal regime – che pure è orribile, e i curdi l’hanno subita a caro prezzo – è preferibile.
Tuttavia le Ypg e la Confederazione hanno il loro percorso, che rappresenta una terza via rispetto agli islamisti e al regime, e anche con quest’ultimo talvolta ci sono stati duri scontri armati”.
– C’è un’ala dell’esercito composto da sole donne, l’YPJ. Ce ne puoi parlare?
“Le Ypj (Unità di protezione delle donne) esistono per proteggere le donne e assicurare che le donne abbiano la giusta centralità nell’autodifesa, oltre che in tutti gli ambiti della società. Le Ypj vivono in edifici autonomi e hanno una catena di comando autonoma che è tutta femminile. Organizzano i propri seminari e la propria formazione, hanno piena autonomia nella vita quotidiana. In battaglia, ovviamente, si coordinano con la catena di comando maschile e con i combattenti maschi.
Nell’operazione Rabbia dell’Eufrate per la liberazione di Raqqa dall’Isis la comandante è donna, Rojda Felat. Lei è stata anche la mia comandante sul fronte di Raqqa, l’estate scorsa. Si tratta di figure onestamente impressionanti. Le Ypj ritengono di avere un compito storico, riconosciuto anche dalle Ypg: quello di avviare la liberazione rivoluzionaria dell’umanità. Questo compito, secondo l’ideologia delle Ypj-Ypg, deve essere affidato alle donne, che nella storia hanno lavorato più degli uomini e sono quindi meno toccate dalla cultura patriarcale e capitalistica del parassitismo e della vita alle spese degli altri.
Per questo le Ypj sono sempre molto severe con sé stesse e con i combattenti maschi, molto serie e disciplinate, pronte a intervenire in assemblea con le critiche più profonde, e attaccate indissolubilmente ai principi rivoluzionari, anche più degli uomini. Ho potuto vedere tutto questo con i miei occhi, ed è bellissimo”.
– Come è al momento attuale la situazione del nord della Siria? L’unificazione dei cantoni del Rojava, ora controllati dall’Unità di Protezione Popolare, è riuscita a impedire almeno in parte l’arrivo di foreign fighters dell’Isis in Siria dalla Turchia?
“A partire dall’offensiva che abbiamo condotto l’estate scorsa a nord di Aleppo, a ovest dell’Eufrate (città di Manbij), non esiste più la possibilità, per i foreign fighters dell’Isis, di raggiungere il califfato. Anche il sostegno logistico e di armamenti da parte della Turchia, che proseguiva da anni, è stato interrotto. Questa offensiva è costata centinaia di morti e migliaia di feriti, due mesi e mezzo di combattimenti. È stato orribile, ma l’inizio della fine dell’Isis è stata quella. Ora altri combattenti italiani e internazionali stanno contribuendo all’atto finale, la liberazione di Raqqa”.
– Adesso che hai vissuto la situazione dall’interno, una volta tornato in Italia, pensi che i media ufficiali diano un ritratto veritiero della situazione?
“Assolutamente no. La disinformazione sulla Siria in Italia è scandalosa, anche perché non è frutto di ignoranza o superficialità, ma è volontaria. L’Italia non vuole dire quel che accade e qual è il suo ruolo, perché nessuno in Italia lo accetterebbe. In Siria sono stati introdotti e armati migliaia di fanatici tagliagole, ispirati dall’idea salafita, che vorrebbe riportare la Siria e il medio oriente tredici secoli indietro, all’epoca dei primi quattro califfi. Questa gentaglia è stata appoggiata da Turchia, Arabia Saudita e Qatar, che sono alleati dell’Italia, dell’Ue, degli Usa, che hanno chiuso entrambi gli occhi pur di rovesciare Assad per ragioni economiche. Il nostro paese non ha avuto nulla da ridire su questo, e per questo i nostri tg non hanno sempre fatto finta di informare sulla Siria.
Fateci caso: ci dicono sempre che ci sono i “ribelli”; ma chi sono questi “ribelli”? Non dicono che sono gli islamisti che decapitano i bambini e violentano le donne, perché altrimenti gli italiani si chiederebbero: siamo certi che il nostro governi stia facendo tutto il possibile per aiutare chi combatte contro queste forze? Invece gli italiani scoprirebbero che gli alleati dell’Italia, Usa in testa, hanno armato e finanziato questi gruppi, ancora durante la battaglia di Aleppo. Scoprirebbero che questi gruppi usano un’organizzazione basata in Turchia come ufficio politico e di propaganda in occidente, la Coalizione Nazionale Siriana (Cn). La Cn è disprezzata da chiunque in Siria, perché non rappresenta nessuno, lo posso testimoniare, e persino gli islamisti la disprezzano e la usano soltanto come ufficio di propaganda con l’occidente. Ebbene, nel 2012 l’Italia ha riconosciuto la Cn come “legittimo rappresentante delle aspirazioni del popolo siriano”, coma hanno fatto Usa, Francia, Turchia, Arabia saudita. È scandaloso, ed è scandaloso che non si sappia. Non fidiamoci mai quando i tg dicono “ribelli siriani”. Dietro quel nome si nascondono i peggiori crimini siriani.
Non fidiamoci, tra l’altro, neanche quando dicono “curdi”: non dicono “Ypg” e non spiegano che le Ypg sono una forza socialista, femminista, egualitaria che lotta per un autentico comunismo, dicono “curdi” per far credere che siano i soliti “Peshmerga” di cui parlano i tg. E perché? Perchè quei Peshmerga (iracheni tra l’altro, e che in Siria non ci sono neanche) sono i pretoriani del dittatore Barzani del Pdk in Iraq, con cui l’Italia fa affari con il petrolio.”
– Che cosa ti ha lasciato a livello umano questa esperienza?
“È difficile dirlo. Inutile dire che non sono più la stessa persona. Viaggiare per quelle terre, parlare con le persone e intervistarle (inizialmente ho realizzato un reportage da Iraq, Palestina, Turchia e Siria) ha accresciuto enormemente le mie conoscenze e la mia sensibilità umana e politica. Ho visto una rivoluzione, e questo agli altri italiani non è successo, se non forse qualche persona molto anziana che aveva visto la guerra di Spagna. Per fortuna la rivoluzione della Siria del Nord sta resistendo più a lungo della rivoluzione spagnola.
Tuttavia, tutto è cambiato con la mia partecipazione alla guerra, con l’essere al fronte ed esserne parte. In una simile esperienza non c’è nulla di positivo, sebbene la guerra rivoluzionaria sia giusta e necessaria. Il costo pagato da quelle persone è immane, chiede più della vita. Giustamente un altro italiano che è stato nelle Ypg ha detto che la sua maggiore preoccupazione non era morire, ma restare senza braccia e senza occhi. Questo è ciò che succede a tanti laggiù. A me non è accaduto, e non potrò mai sapere perché; però non sarò mai lo stesso che ero prima”.