La dislessia agisce creando difficoltà nell’apprendimento dei soggetti che ne sono affetti, in particolare, non nella lettura veloce e corretta e nella elaborazione di concetti derivanti dalla lettura stessa. Esistono diverse tipologie di disturbo che possono essere suddivise in due macro gruppi.
Dislessia di origine fonologica o logopedica: si tratta, in questo caso, di una disabilità dell’apprendimento che ha origini neurobiologiche. Questo tipo di dislessia provoca difficoltà nella lettura, in particolare nello svolgimento di una lettura accurata e fluente nonché nella scrittura (disortografia). Le difficoltà nel leggere e scrivere derivano da una ulteriore componente fonologica del linguaggio che appare, altresì, deficitaria. Criticità secondarie e derivate possono, poi, essere legate a problemi di comprensione del testo; criticità, che a loro volta impediscono un’ adeguata crescita del vocabolario e della conoscenza del soggetto.
Dislessia di origine visiva che, contrariamente a quanto si possa pensare, non è causata da un difetto di tipo refrattivo, bensì, dalla difficoltà a riconoscere l’immagine proiettata anche se di buona qualità. In questi casi non si appurano problematiche legate all’espressione linguistica, diversamente, il soggetto non riesce a distinguere i grafemi e non ne individua le differenze. Questo sposta l’attenzione dal significato delle parole alla lettera che si tenta di distinguere, fatto che abbassa notevolmente la possibilità di acquisire il significato di quanto si legge.
Ci sono poi, delle forme di dislessia genetica. Alcuni geni situati su diversi cromosomi possono rappresentare fattori a rischio dislessia. Circa il 40% dei bambini dislessici ha in famiglia persone con difficoltà nell’apprendimento o dislessie acquisite. Una recente ricerca italiana ha individuato, a tal proposito, il legame fra dislessia, un’alterazione del gene DCDC2 e criticità della percezione visiva.
Lo studio, condotto da Guido Marco Cicchini dell’Istituto di Neuroscienze del CNR di Pisa, Maria Concetta Morrone dell’Università di Pisa e Daniela Perani dell’Università Vita- Salute del San Raffaele di Milano, è stato pubblicato su “The Journal of Neuroscience.
La ricerca, potrebbe rappresentare un primo imponente passo in avanti per lo studio e la diagnosi preliminare del disturbo che, nonostante i grandi progressi della scienza, viene ancora analizzato fra i banchi di scuola in seguito alle segnalazioni degli insegnanti o ai disturbi lamentati dal ragazzo, questo, nei casi più fortunati.
Il gene DCDC2 ha un ruolo peculiare durante lo sviluppo embrionale del cervello, fa parte di una famiglia di geni le cui alterazioni possono provocare disturbi dislessici. Circa il 20% dei soggetti dislessici presenta delle varianti del suindicato gene, questi soggetti, come osservato nella ricerca condotta, hanno presentato alterazioni psicofisiche nella percezione del movimento legate a probabili modifiche anatomiche di sistemi visivi fondamentali anche alla lettura .
I test sono stati condotti su un gruppo di soggetti portatori di dislessia con questa alterazione genetica. E’ stato osservato che in taluni test i ragazzi non avevano alcun problema, diversamente, nei test dove si doveva giudicare il movimento di piccole asticelle sullo schermo presentavano notevoli deficienze sino, addirittura, ad arrivare a rispondere a caso. I soggetti, sempre dislessici, ma non portatori dell’alterazione del gene, invece, rispondevano correttamente. Chi ha questo disturbo non percepisce il movimento, comprende forma, colore e quanto altro riguarda l’oggetto osservato ma non ne percepisce, o lo fa in maniera confusionaria, il movimento. Questo disturbo visivo chiaramente inficia la lettura se si considera che questa è un continuo intersecarsi e scorrere di righe e lettere.
La ricerca condotta è molto importante e consentirebbe di intervenire già dai primi anni del bambino piuttosto che attendere i primi anni di scuola.