Un G7 straordinario per l’Afghanistan non significa, o meglio non dovrebbe, significare solo un bel consesso delle sette superpotenze mondiali per parlare dell’Afghanistan ma un momento d’intesa politica e pratica per far fronte all’ennesimo disastro della politica internazionale e delle diplomazie che dopo venti anni di occupazione lasciano le chiavi del Paese a coloro che essi stessi avevano dichiarato di combattere: i Talebani.
La discussione è stata sicuramente articolata perché, come al solito, se c’è una cosa su cui tutti gli Stati del mondo sono d’accordo e che sono in disaccordo su tutto. Non è una facile boutade o, peggio, un calembour buttati lì per farsi una bella risata. E’ la fotografia della consistenza del consesso delle potenze mondiali attualmente: un caravanserraglio che ospita tutto ed il contrario di tutto.
Sette Paesi che si sono presentati con sette posizioni diverse ed ognuna valida a suo modo per se stessi. La coesione pari a zero nell’affrontare un dramma umanitario autoprodotto da molti di questi Paesi lascia ancora una volta sconcertati.
Su una cosa, una sola, tutti d’accordo: il termine del 31 Agosto per l’evacuazione di tutti coloro che desiderano andare via dall’Afghanistan è assolutamente astruso e sicuramente entro quella data non si riuscirà nell’intento di portare in salvo chi lo chiede. Il problema è che i Talebani, che già mal sopportano questa situazione, potrebbero decidere di chiudere l’aeroporto di Kabul rendendo vano ogni tentativo di ponte aereo verso l’Europa o il resto del mondo.
G7, discutere su tutto e decidere niente
La situazione lasciata soprattutto dalle armate americane che hanno semplicemente abbandonato ogni cosa sul suolo afghano, compreso armi e armamento bellico, hanno rifornito le fila talebane che possono ora contare su equipaggiamenti di tutto rispetto oltre la proverbiale capacità di convincimento e la capillarità di distribuzione sul territorio.
I corridoi umanitari ed i ponti aerei dovrebbero la residuale arma di civiltà che i Paesi G7 dovrebbero far valere da ora in avanti. L’idea di dialogare con il nuovo governo che s’instaurerà a Kabul è sicuramente affascinante per le diplomazie ma sicuramente di scarsissimo appeal per chi nel Paese dovrà rimanere giocoforza, perché se è vero che tutti si stanno preoccupando di poter mettere in salvo chi ha collaborato con l’occidente nulla o quasi è dato sapere rispetto a chi si ritroverà a rimanere in Afghanistan da dissidente.
Naturalmente la bagarre più grossa – ed indecente – è quella che si è aperta sull’accoglimento dei profughi che arriveranno nei Paesi Occidentali rispetto ai quali la posizione del consesso internazionale rimane sempre quanto mai ambigua e latitante lasciando troppa ‘libertà di coscienza’ ai singoli Paesi.
G7: le notizie certe
Unica notizia certa annunciata è l’incremento del budget degli aiuti umanitari dell’UE a favore degli afghani da 50 a 200 milioni di euro come detto dalla Presidente della commissione Ursula von der Leyen.
Charles Michel presidente del Consiglio ha, invece, rilasciato un’articolata dichiarazione che riportiamo di seguito.
L’UE e i suoi Stati membri non risparmiano alcuno sforzo per evacuare i cittadini dell’UE e coloro che hanno collaborato con fiducia con noi. Siamo preoccupati per la loro capacità di raggiungere in sicurezza l’aeroporto di Kabul. Chiediamo alle nuove autorità afghane di consentire il libero passaggio a tutti i cittadini stranieri e afghani, che desiderano raggiungere l’aeroporto.
In primo luogo, l’Unione europea farà la sua parte, per sostenere la sicurezza e le condizioni di vita adeguate degli afghani, che fuggono dal loro paese. Lavoreremo con i paesi della regione, in particolare Iran, Pakistan e Asia centrale, per rispondere alle diverse esigenze.
Sarà necessaria una protezione internazionale per coloro che sono perseguitati e per altri afghani vulnerabili. E gli Stati membri dell’UE contribuiranno a questo sforzo internazionale.
Secondo punto: siamo chiari, non permettiamo la creazione di un nuovo mercato per contrabbandieri e trafficanti di esseri umani. Siamo determinati a tenere sotto controllo i flussi migratori e le frontiere dell’Unione europea.
Oggi è troppo presto per decidere che tipo di relazioni svilupperemo con le nuove autorità afghane. Chiediamo una soluzione politica inclusiva e, se vogliamo rimanere un’influenza positiva per il popolo afghano, soprattutto nel sostenere le sue esigenze fondamentali, dovremo trattare con le nuove autorità.
Infine, sulle implicazioni geopolitiche di questi eventi: porre fine all’operazione militare in Afghanistan non è la fine del nostro impegno a promuovere lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti umani nel mondo. Al contrario, dovremmo essere più determinati che mai. Questo deve essere chiaro agli attori che stanno cercando di approfittare della situazione attuale. L’UE continuerà a proteggere e promuovere con fermezza i propri interessi e valori.