Eccoci al Padiglione “O” della mostra, dedicato al corpo umano e alle disabilità. Abbiamo incontrato la docente di sostegno Palmili Katuscia che ci racconta come, dalla necessità di aiutare un proprio alunno autistico, sia nato poi un progetto sorprendente che potrebbe aiutare tanti bambini a comunicare meglio con il mondo che li circonda.
Guardiamo il progetto incuriositi. E’ una piccola scatola rettangolare su cui vanno poste tante immagini ritagliate. Si tratta di un comunicatore. Ci facciamo spiegare cos’è e com’è nato il progetto.
A chi è venuta l’idea di realizzare un sistema di supporto per questo ragazzo autistico che, con un nome di fantasia, chiamate Marco?
L’idea è partita da me, perché ci stavo più a contatto. L’ho proposto ad alcuni alunni di quarta dell’anno scorso e loro sono stati felicissimi di creare qualcosa di concreto, di pratico che qualcuno potesse utilizzare e ovviamente sono stati anche felici di aiutare il loro compagno.
Mi racconta in cosa consiste questo progetto che avete realizzato e che esponete?
In pratica, diciamo innanzitutto che uno degli approcci con cui si lavora con i ragazzi autistici è quello della comunicazione alternativa-aumentativa che si basa sull’utilizzo delle immagini. I ragazzi autistici comunicano toccando delle immagini. Molti di loro utilizzano ipad, computer e ci sono dei software che poi permettono loro di costruire le frasi. Il nostro alunno invece non è in grado di utilizzare questo tipo di comunicazione così avanzato anche perché ricordiamoci, che ognuno di questi ragazzi è un caso a sé, qualcuno ha capacità più evolute altri meno, quindi ognuno di loro utilizza strumenti e metodi diversi. Ogni sussidio deve essere pensato a diversi livelli.
Tornando al vostro progetto, qual è stato il vostro obiettivo?
Noi abbiamo pensato di poter associare un suono all’immagine che hanno su un quaderno. In pratica la comunicazione aumentativa funziona così: c’è un quadernone abbastanza grande su cui ci sono tutte le immagini; l’operatore le mostra al ragazzo e lui le indica. Allora avevo pensato: il quaderno pesa, se riesco ad ottimizzare e a rendere la cosa più pratica utilizzando l’elettronica, a queste immagini posso dare anche un suono, una voce. L’operatore sostituisce le immagini sulla scatola e fa la domanda al ragazzo che a sua volta risponde toccando l’ immagine che poi produce il suono. Ecco quindi che associamo il suono all’immagine. Peraltro, noi abbiamo collaborato anche con l’equipe medica che segue il ragazzo, e gli operatori medici sono stati entusiasti di questa cosa e ci hanno proposto un percorso didattico utilizzando proprio questo strumento perché l’associazione suono-immagine permette un reale evoluzione nel ragazzo.
In che senso si parla di evoluzione? Da che punto di vista?
L’immagine che identifica alcune azioni è ad esempio la foto del ragazzo che compie quelle determinate azioni quindi “mangiare”, è il ragazzo che compie quell’azione, cioè è lui che mangia un panino. Questo significa che associando il suono all’immagine, si può poi via via sostituire la sua foto con un panino e più avanti magari sostituirla proprio con la scritta “panino”.
Il vostro alunno si riconosce nelle foto? È così per tutti i ragazzi autistici?
No, non tutti si riescono a riconoscere nelle foto. Il nostro alunno si. Ogni azione ha la sua foto. Anche per i luoghi è così. Cioè c’è sempre lui in un determinato luogo: c’è lui davanti alla macchinetta delle merendine, davanti alla porta del bagno e in qualsiasi luogo della scuola. Questo è importante perché si può fare un passaggio verso l’astrazione, distogliere l’attenzione da se stesso e vedere il luogo come un’altra cosa distante da lui.
Ringraziamo la professoressa Palmili e guardiamo il comunicatore. Effettivamente è molto piccolo e maneggevole, le immagini sono una quindicina ed è un buon inizio per pensare di poter personalizzare questo strumento ed adattarlo alle esigenze dei singoli ragazzi.