Nuovo appuntamento con “Astradoc – Viaggio nel cinema del reale” la rassegna cinematografica a cura Arci Movie Napoli, Parallelo 41 Produzioni, Coinor e Università degli Studi di Napoli Federico II.
Sarà proiettata la pellicola “Un altro me” di Claudio Casazza (Italia 2016 – 83 minuti) vincitore del Premio del Pubblico al 57° Festival dei Popoli, – Menzione speciale al 15° Ischia Film Festival e Premio del pubblico a “Il Mese del documentario”, un anno intero di lavoro tra l’equipe dell’Unità di Trattamento Intensificato per Autori di Reato Sessuale del CIPM e i detenuti ‘abitando’ i luoghi delle riprese. Sergio, Gianni, Giuseppe, Valentino, Carlo, Enrique, sono tra i condannati per reati sessuali, definiti ‘infami’ nel gergo carcerario, che, una volta usciti dopo anni o mesi di isolamento in carcere, rischiano di commettere nuovamente lo stesso crimine.
Un’equipe di psicologi, criminologi e terapeuti sta portando avanti anche con loro il primo esperimento in Italia per evitare il rischio che le violenze siano compiute ancora. Un anno accanto a loro per capire chi sono, cosa pensano e quali sono le dinamiche profonde di chi ha commesso un reato sessuale. E mostrare che un cambiamento è possibile.
“Ho deciso di fare questo documentario – dice Casazza – dopo aver assistito a un incontro aperto di due ore tra i condannati e gli operatori che fanno parte del progetto e aver visto, da entrambe le parti, l’incredibile materiale umano che avevo di fronte. Per le riprese, ho scelto di non sapere che tipo di reati avevano commesso i detenuti che filmavo nel percorso di trattamento per restare il più possibile aperto, senza pregiudizi e senza avere già delle sentenze in mano. E volevo che questo atteggiamento si riflettesse nel film. Credo che il documentario non rappresenti solo un dialogo a due che si instaura tra condannati e terapeuti, ma è costantemente un dialogo anche con lo spettatore perché ciascuno possa farsi delle domande, avere il proprio percorso di consapevolezza e trarne le considerazioni che vuole. Pur non potendo evitare di trattare realtà dure e dolorose, ho voluto togliere qualsiasi dettaglio che potesse apparire voyeuristico, per costruire un territorio aperto nel quale ciascuno possa riflettere su un reato che sebbene sembri sotto gli occhi di tutti, rimane per lo più sommerso, taciuto e troppo poco compreso”.