Il Movimento Biologico
Umanizzare il Movimento di Stefano Spaccapanico Proietti edito daArmando Editore non è il solito manuale di esercizi su come fare il giusto movimento per entrare in sintonia con il nostro corpo. Umanizzare il Movimento di Stefano Spaccapanico Proietti è tutt’altro. Innanzitutto è un trattato, è qualcosa di ben più complesso che indaga il Movimento con la “M” maiuscola, quello a 360° che comprende oltre al nostro corpo, l’emotività, la comunicazione e l’espressività. Un viaggio affascinante nel Movimento Biologico, una “palestra di vita” che ci permette di raggiungere la consapevolezza di quello che per l’autore è una sorta di mantra: “come sto facendo quello che sto facendo, qualsiasi cosa stia facendo”.
Stefano Spaccapanico Proietti è docente di Teoria e Metodologia del Movimento Umano e di Metodi e Didattica del Movimento Umano per l’Età Evolutiva presso il corso di laurea in Scienze Motorie e Sportive dell’Università degli studi di Perugia. Da anni si occupa di studio e ricerca nell’ambito delle molteplici dimensioni della motricità umana e dei suoi legami con la corporeità . E’ Fondatore il Responsabile scientifico del Movimento Biologico.
Abbiamo avuto il piacere di fare alcune domande all’autore sul suo libro, soffermandoci anche sull’industria del wellness.
Umanizzare il Movimento di Stefano Spaccapanico Proietti
Partiamo dal titolo. Perché la sua ricerca si focalizza sul “Movimento Biologico”. Cos’è? Ci può spiegare meglio questo concetto?
La contemporaneità ci ha abituato all’idea di un Movimento fatto di esercizi, di sequenze meccaniche, di competizione, comparazione, individualismo, di orpelli da intrattenimento e di “certezze”, che negano, squalificano e disonorano la sacralità di un Corpo in Movimento.
Il Movimento è, oggi, l’ennesimo oggetto tra gli oggetti, strumento di espiazione per peccati calorici, mezzo per forgiare corpi ai canoni estetici del momento, prodotto commerciale da intrattenimento nei centri fitness e fenomeno da spettacolo nello sport.
Un Movimento privato del suo valore e, quindi, dei suoi valori.
Un Movimento con tanti scopi ma senza un senso.
Non che i meri scopi non siano utili, tuttavia è decisamente insensato considerare il movimento per queste sole finalità, rispetto all’ampio ventaglio di potenzialità che esso potrebbe manifestare.
Il Movimento – quello con la “M” maiuscola – è la più importante Funzione fisiologica del nostro organismo. È la funzione che ci permette:
• la sopravvivenza biologica (senza Movimento non potremmo nutrirci e respirare),
• la conoscenza e tutte le altre funzioni cognitive (la capacità di fare esperienza del mondo è legata alla nostra capacità di muoverci, esplorare, manipolare, interagire),
• la comunicazione (parlare è un atto motorio, come scrivere e leggere),
• l’espressività (i gesti che corroborano le parole e tutto il linguaggio del corpo, sono espressioni di movimento)
• l’emotività (le reazioni emotive si manifestano nel corpo attraverso parametri che modificano il movimento; è esperienza comune sentirsi “chiusi in se stessi” o “aperti al mondo”…chiudersi o aprirsi con il corpo che siamo, sono atti motori)
Quindi, il Movimento è qualcosa di molto più “complesso” dell’allenamento, dello sport, del fare pesi, del crossfit. Il Movimento è la matrice che genera tutte le sue parzializzazioni. Il running, il fitness funzionale, la zumba, lo spinning, le spartan race, e qualsiasi altro “fenomeno” dell’industria del “wellness” sono parzializzazioni del Movimento.
Il Movimento, correttamente concepito e proposto, in chiave integrale, è un processo pedagogico in grado di educare tutte le dimensioni della personalità: organica, cognitiva, espressiva, comunicativa, relazionale, emozionale, spirituale. È un processo in grado di farci “abitare il corpo che siamo”.
Questo è il Movimento Biologico: un progetto di Educazione alla Corporeità attraverso il Movimento.
Il Movimento che è rilevatore, rivelatore e disvelatore di chi siamo.
Il Movimento che armonizza il corpo ai moti “esterni” (le relazioni, l’ambiente, gli sguardi, le parole, ecc.) e a quelli “interni” (i pensieri, le emozioni, i valori, ecc.), accogliendoli in quel flusso di continuità che chiamiamo realtà.
Il Movimento Biologico consente di annullare la separazione tra mente e corpo, tra esperienza e conoscenza, tra “oggettività” e biografia.
Il Movimento Biologico è una “palestra” privilegiata, protetta e sicura, per “imparare ad imparare” ma non ad un “mero” livello concettuale, razionale, “superficialmente” cerebrale, piuttosto a livello sensoriale, tissutale, “profondamente” cellulare.
Il Movimento Biologico può diventare un potente catalizzatore nel processo di raggiungimento della consapevolezza intesa come capacità di essere a conoscenza, costantemente e sistematicamente, di «come sto facendo ciò che sto facendo, qualsiasi cosa stia facendo».
Esso può operare una progressiva trasformazione della nostra personalità, una trasformazione che non lascia indifferente il quotidiano, anzi lo celebra come una costante tensione dall’agire all’essere perché, come amo affermare, «ciò che siamo dipende, anche, da come ci muoviamo».
Umanizzare il Movimento di Stefano Spaccapanico Proietti è un viaggio che accompagna il lettore nelle radici del Movimento che inizia con la nascita dell’uomo. Qual è la caratteristica del suo saggio? Possiamo considerarlo una guida pratica?
Le fragili convinzioni con le quali la nostra cultura ci ha insegnato a guardare il corpo, a reificarlo, omologarlo e spersonalizzarlo, sono uno strumento maldestro che non permette di comprendere i misteri infiniti della sua esistenza.
L’idea di un movimento fatto di esercizi e non di Esperienze, di adattamento e non di Adattabilità, di tecniche e non di personalizzazioni, basato sull’addestramento e non sull’Educazione, sulla “bio-meccanica” e non sulla “bio-grafia”, è una contraddizione ontologica, teleologica ed esistenziale sostanziale.
Non tutto il moto è Movimento.
Carlo Rovelli, con la mirabile ed icastica eloquenza che lo caratterizza afferma: «credo che uno dei grandi errori che fanno gli esseri umani quando tentano di capire qualcosa sia volere certezze. La ricerca della conoscenza non si nutre di certezze: si nutre della radicale assenza di certezze. Grazie all’acuta consapevolezza della nostra ignoranza, siamo aperti al dubbio e possiamo imparare sempre meglio. Questa è sempre stata la forza del pensiero scientifico, pensiero della curiosità, della rivolta, del cambiamento».
Questo Saggio è nato dal dubbio, dalla curiosità, dal desiderio di rivolta, di cambiamento: perché continuare a muovere l’uomo quando, invece, dovremmo Umanizzare il Movimento?
Perché continuare a pensare ai soli meccanismi biologici dell’organismo quando potremmo, anzi dovremmo, occuparci delle istanze integrali del Corpo Vissuto?
Perché continuare ad “allenare” muscoli, cuori, polmoni rischiando di “alienare” valori, dinamiche sensoriali e cognitive, abilità espressive e capacità intuitive?
«Il corpo si muove col muoversi della mente. Le qualità di un Movimento, qualunque esso sia, rivelano come la mente, proprio in quel dato momento, si sta esprimendo attraverso il corpo. Variazioni nella qualità del Movimento indicano che la mente sta spostando l’attenzione da un punto all’altro del corpo. Viceversa, indirizzando la mente, cioè la nostra attenzione, verso determinate parti del corpo e dando avvio al Movimento da ciascuna di esse, la qualità del Movimento cambia. Ecco allora che scopriamo come il Movimento può essere un mezzo per osservare, attraverso il corpo, l’espressione della mente, nonché una via di accesso per modificare la relazione corpo-mente».
“Umanizzare il Movimento” è certamente una guida pratica, anzi, lo definirei piuttosto un “flusso orientativo”, concreto, pratico e pragmatico, per raggiungere la piena consapevolezza di «come faccio ciò che faccio, qualsiasi cosa stia facendo».
Un “flusso” non per trovare risposte, ma per ri-educarsi a farsi buone domande.
Un “flusso” in cui le neuroscienze incontrano la fenomenologia, la biomeccanica dialoga con la psicologia, la filosofia si applica alla sensorialità, l’espressività plasma la tecnica, la psicomotricità invade la performance, il respiro abilita il gesto, la voce suggella l’azione: corpo e mondo si tessono in un inevitabile intero. Il risultato è un compendio ontologico circolare, immaginifico e generativo. Che sento di poter definire “unico” nel suo genere.
Ho trovato particolarmente interessante un capitolo dedicato al fitness. L’industria del fitness e del wellness, in realtà, non contribuiscono a dare al corpo reale benessere perché esso viene considerato come una sorta di oggetto. In che senso?
Fitness, wellness, sport, per come sono concepiti attualmente, non hanno a cuore l’evoluzione dei praticanti, piuttosto il loro “intrattenimento”.
Direi che basta osservare la realtà per esserne persuasi.
Essere fit, dovrebbe significare, proprio per l’etimologia di questo termine, essere “adattabile”, plastico, plasmabile, capace di incarnare la soggettività che coincide con la corporeità.
Invece, purtroppo, il corpo che muove il fitness è un corpo che tende ad essere adattato: viene “costruito”, ri-costruito, modellato, iper-trofizzato, ri-composto…si pensi che quello che un tempo era chiamato dimagrimento, oggi è appellato con il termine di “ricomposizione corporea”.
Un corpo separato, non integrato, “scomposto”.
Una via senza uscita, che trova la sua più “naturale” evoluzione nella medicina estetica pronta a nascondere gli effetti del tempo; capace di togliere ciò che riteniamo sia in eccesso ed aggiungere ciò che è in difetto.
Nello sport, l’agonismo e la competizione hanno raggiunto livelli insostenibili, il corpo è una macchina da performance e nulla più.
Quando sento dire che lo sport educa, che il fitness crea benessere, mi chiedo come si faccia a non vedere il paradigma parziale e, a tratti, diseducativo che lo caratterizza. Dov’è “il buono” in un corpo da addomesticare ai canoni estetici del momento? Dov’è “l’etico” in un corpo-macchina che alleniamo ossessivamente per limare qualche minuto in una maratona? Dov’è “il sano” in un corpo incapace di sentire se stesso perché anestetizzato tra specchi, musica, corpi in mostra, narrazioni di record, immagini da inseguire? Dov’è “il vero”? Dov’è il ben-essere? Dov’è la salute, questa parola magica perennemente utilizzata per corroborare tali pratiche?
Possiamo “raccontarcela”, possiamo aprire un grande ombrello di belle parole e metterlo sopra la nostra testa per creare degli alibi a questa deriva oppure, come personalmente mi sento di fare, possiamo vedere le cose così come sono: il mondo del fitness e dello sport, non ha più al proprio “centro” l’Uomo e i suoi bisogni, è diventato un’industria che, come qualsiasi altro fenomeno capitalista, ambisce a creare consumatori di beni, servizi, abbonamenti. È un’industria che crea falsi bisogni e convinzioni al fine di vendere i propri “prodotti”.
La prima cosa che vedi quando entri in una palestra è una vetrina di barrette, aminoacidi, creatina, proteine in polvere che ti vengono proposte convincendoti che per “diventare muscoloso” o “dimagrire” ne hai bisogno. Poi, passeggiando negli stessi spazi, ti accorgi dell’omologazione “estetica” di quei corpi: leggins iper-aderenti per lei e canottiere per lui, abbronzatura costante anche d’inverno per lei e tatuaggio in bella vista per lui e allora, magari, ti persuadi che quella sia la “normalità”, ciò che devi diventare per sentirti realizzato.
Se invece di andare in palestra decidi di iniziare a correre, cambia poco. Avrai il tuo collega d’ufficio che, sedicente esperto di running, ti suggerirà l’ultima scarpa tecnologica con suola in carbonio a memoria variabile, ti farà scaricare l’app che monitora frequenza e ritmo di corsa. Poi, uscendo a correre, incontrerai altri podisti che ti suggeriranno calze compressive, magliette termiche, plantari e chissà quanti altri gadget.
Ma davvero possiamo ancora credere che la Meraviglia che è il nostro Corpo possa essere ridotto a questo livello? Possiamo ancora alimentare il modello di corpo da “esibire” del fitness e di corpo da “performance” dello sport?
Possiamo ancora pensare che ci possa essere evoluzione in tutto questo? Possiamo ancora concepire luoghi in cui anziché educare le persone a stare bene con il proprio corpo così com’è, onorandolo, curandolo con empatia ed attenzione, abitandolo in ogni sua cellula, si persegua l’idea di “essere in forma”?
Possibile che non capiamo che rincorrere la forma allontana dall’essenza?
Possiamo ancora pensare di alimentare un’industria che anziché insegnarci come rendere il nostro piede più “intelligente” attraverso pratiche, esperienze, tecniche, ci vuole convincere che esista una scarpa “intelligente”?
Possibile che non capiamo che non esiste una scarpa intelligente per un piede instupidito dall’involuzione prodotta dalla scarpa stessa?
Possiamo ancora pensare di dire ai nostri giovani che lo sport educa? Come può un fenomeno basato sulla competizione educare? Come possiamo non vedere i prodotti di questa competizione? Come possiamo voltarci dall’altra parte per non guardare il doping dilagante tra gli sportivi amatoriali, la violenza dei genitori sulle tribune durante le partite dei propri figli, il bullismo verso i propri compagni “incapaci” di performare in allenamento?
Possibile che non capiamo che è la cooperazione che dobbiamo insegnare, non la competizione?
Credo che, se vogliamo davvero riappropriarci della possibilità di evolvere come Esseri Umani, dobbiamo contaminare il fitness e lo sport di valori più etici, più biologici, più “veri” e creare un modello pedagogico differente, quello attuale è assolutamente insostenibile e, se non facciamo qualcosa, siamo complici di una deriva culturale già, purtroppo, dilagante. Dobbiamo portare in questi contesti la relazione empatica tra corpi, l’educazione alla sensorialità e all’ascolto, dobbiamo togliere oggetti, macchine, orpelli e rimettere al centro l’Uomo, formandolo, attraverso il Movimento consapevolmente vissuto e praticato, all’armonia dei gesti, all’ascolto del flusso di energia cinetica delle azioni, al piacere sensoriale del Movimento, in un processo spirale che lo porti dall’apparire all’agire e poi, dall’agire all’Essere.
Nel suo saggio c’è un intero capitolo dedicato alla voce. Ci può raccontare per sommi capi che attinenza c’è con il Movimento?
Per Movimento Biologico la voce è moto, azione, dinamismo e deve necessariamente essere educata, ri-educata, appresa e compresa se si vuole ambire ad “essere la miglior versione di se stessi”.
La voce evoca l’immagine della vita. Tuttavia, essa rappresenta un grande tabù per la maggior parte delle persone. Senza dubbio lo è in gran parte dei contesti di educazione attraverso il Movimento.
La voce viene considerata “altro” dal corpo, una dimensione separata dal Movimento.
In realtà, come evidenzia Ivano Gamelli, la voce è «un gesto antropologico del corpo».
In questa tensione evolutiva, Movimento Biologico arricchisce i propri laboratori esperienziali di pratiche, tecniche, esercizi e strategie didattiche che incorporano la vocalità.
Ambisce, in un processo che arriva alla voce dal corpo e torna al corpo attraverso la voce, a far esperire alle persone la propria autentica e sana vocalità, in armonia con le funzioni biologiche e con le istanze psico-emotive individuali.
Vocalità che è vibrazione, emozione, respirazione, anatomia, comunicazione tra il “mondo di dentro” e il “mondo di fuori”, catalizzatore di trasformazioni, memoria e biografia.
Nel Movimento Biologico non approcciamo alla voce come “veicolo della parola”, bensì, percorrendo le strade aperte da Demetrio Stratos, pioniere di una vocalità corporea utilizzata nel lavoro educativo e formativo, come un linguaggio non verbale composto da suoni e rumori con i quali si manifesta la vibrazione psicocorporea. Si tratta di una sensibilizzazione all’ascolto, un modo trasversale di ascoltare se stessi e gli altri in un abbraccio totale; ma anche un sistema per vivere le emozioni, per elaborarle, e sulle quali lavorare a fini educativi.
Nel suo libro lei specifica che il Movimento Biologico non è un metodo ma un Meta-Metodo. Può chiarirci questa definizione?
Il Metodo esprime, per definizione, un modo, una via, un singolo procedimento seguito nel perseguire uno scopo, secondo un ordine e un piano prestabiliti in vista del fine che s’intende raggiungere.
Il concetto di metodo evoca, quindi, un nemmeno troppo velato orientamento al protocollo; una sorta di ricetta in cui, noto l’ordine degli ingredienti ed il procedimento operativo, sia raggiungibile lo scopo per il quale il metodo viene applicato.
Questo non è l’orientamento di Movimento Biologico.
Movimento Biologico integra al proprio interno coordinazione, flessibilità, mobilità, equilibrio, forza, respiro, espressività, vocalità, gioco, individualità e relazione, alimentando la sua formazione di “integrazioni e contaminazioni”: assume, il piacere senso-motorio dei vissuti della psicomotricità e lo completa con le arti espressive, plasma la ginnastica naturale con il radicamento terreno della danza contemporanea ed etnica, guarda con interesse al teatro, alle filosofie orientali, alla somatica, alla giocoleria, alle pratiche respiratorie e all’antiginnastica…in un dialogo aperto, scevro da metodi ed etichette.
Partendo da questi fermi pilastri concettuali, Movimento Biologico, non si configura quindi come un metodo, ambisce piuttosto ad essere un Meta-Metodo, uno studio libero ed aperto di più metodi che abbandona il mito del “personalismo” per tendere all’integrazione tra approcci, stili, epoche, filosofie.
Movimento Biologico, è l’erede di tutto ciò che lo ha preceduto, è la concretizzazione contemporanea delle intuizioni dei grandi Padri e delle grandi Madri del Movimento Umano corroborata di scienza e parole “nuove”. Non è, come niente di ciò che l’Uomo crea, un’invenzione: è semplicemente un’evoluzione.
Il sistema di pensiero attuale basato sul “brand”, suo concetto di “mio” metodo, di “mia” invenzione è un delirio egoico che beneficia solo il sedicente inventore, non la collettività. Per questo Movimento Biologico non prevede approcci pre-confezionati, laboratori protocollati né una didattica standardizzata, perché tutto è plasmato sul singolo individuo, sul gruppo, in relazione alle molteplici e mutevoli variabili in gioco.
Per il raggiungimento della “consapevolezza consapevole” attraverso il Movimento, è necessario appoggiarsi a strutture specifiche oppure è un percorso che si può provare ad intraprendere da soli?
Come tutti i Percorsi di “evoluzione”, di “sviluppo personale”, di “fioritura” del proprio “seme”, inizialmente è fondamentale la supervisione di un insegnante, un educatore, un mentore che sappia accompagnarci nelle esperienze e guidarci, non tanto per “plasmare” la nostra Pratica, quanto, piuttosto, per farci comprendere i principi che la animano, gli elementi che la caratterizzano, i processi che dobbiamo perseguire, gli “ostacoli” che potremmo incontrare e gli “antidoti” che possiamo utilizzare per non disperdere energie e risorse.
In questo senso, Movimento Biologico, come ogni altro Percorso “iniziatico” alla consapevolezza, andrebbe vissuto, almeno inizialmente, in un contesto “guidato”.
Sono molteplici le occasioni e le modalità attraverso le quali si può “imparare ad incarnare” il Movimento Biologico: Corsi Intensivi, Estensivi, Laboratori Esperienziali, Lezioni settimanali, Webinar, … Chi fosse interessato ad approfondire le nostre Pratiche può consultare il sito www.movimentobiologico.eu, trovare l’elenco delle nostre attività e molte risorse video.