(Adnkronos) – Dopo molti mesi i ministri delle Finanze dell’Ue hanno trovato ieri l’accordo, dopo molti mesi, sulla riforma del Patto di Stabilità. L’intesa prima che venga disattivata la clausola di salvaguardia, a partire dall’inizio del 2024. Il parere è stato “unanime”, ha detto la ministra spagnola Nadia Calvino: anche l’Italia ha dato il suo assenso, in uno “spirito di compromesso”, come ha detto durante la videoconferenza dell’Ecofin il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Accordo unanime su nuovo Patto Stabilità
Il nuovo patto, ha aggiunto, è “più realistico” di quello precedente. Il ministro ha sottolineato, inoltre, che “l’Italia ha ottenuto molto e, soprattutto, quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese, volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito, mentre dall’altra guarda agli investimenti, specialmente del Pnrr, con spirito costruttivo”. Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, considera “importante che sia stato trovato tra i 27 Stati membri della Ue un compromesso di buonsenso per un accordo politico sul nuovo Patto di stabilità e crescita”.
“Nonostante posizioni di partenza ed esigenze molto distanti tra gli Stati, il nuovo Patto risulta per l’Italia migliorativo rispetto alle condizioni del passato” si legge nella nota di Palazzo Chigi. L’accordo sul Patto di stabilità prevede ”regole meno rigide e più realistiche di quelle attualmente in vigore, che scongiurano il rischio del ritorno automatico ai precedenti parametri, che sarebbero stati insostenibili per molti Stati membri”. L’accordo, raggiunto in Consiglio sulla posizione negoziale, si basa sulla proposta avanzata dalla Commissione in primavera, ma la complica parecchio.
Meloni: “Intesa migliorativa per l’Italia”
L’obiettivo di semplificare il quadro della governance economica non viene raggiunto: era complicato e resterà complicato, essenzialmente per motivi legati alle esigenze di politica interna di ciascun governo. Per il commissario Paolo Gentiloni, se la riforma aggiunge “complessità” alla proposta della Commissione, ne conserva però “il cuore”, in primis “l’equilibrio tra stabilità nella finanza pubblica e riforme e investimenti”. L’Europa, aggiunge, “ha bisogno di regole comuni, non di nostalgie dell’Austerity” e “penso che questo compromesso ci aiuterà in questa direzione”.
Quella concordata nell’Ecofin non è la versione definitiva delle regole, che dovranno ora essere negoziate nei triloghi con il Parlamento Europeo, che dovrebbero concludersi prima di fine legislatura: si tratta, tecnicamente, di tre proposte legislative. Per la ministra spagnola, la riforma è “equilibrata”, dato che prevede ben “quattro salvaguardie: sul debito, sul deficit, sulla controciclicità e per proteggere gli investimenti”. Restano due bracci del patto: quello correttivo e quello preventivo. La procedura per deficit eccessivo non cambia (cambiano le sanzioni, che vengono abbassate in modo che sia più facile infliggerle ai ‘reprobi’), ma cambiano le condizioni cui dovranno sottostare i Paesi sotto procedura.
Maggiore spesa per interessi?
Per evitare che gli Stati che finiranno in procedura la prossima primavera, tra cui quasi sicuramente l’Italia e la Francia, debbano tagliare gli investimenti in un momento in cui devono essere fatti (quelli per la transizione climatica vanno fatti “ora”, rimarca una fonte di Bercy), viene introdotta nel testo, tramite un ‘considerando’, una forma di flessibilità, per cui la Commissione Europea tiene conto della maggiore spesa per interessi valutando il percorso di rientro da concordare con il Paese (piani di aggiustamento basati su una traiettoria di spesa, di 4 anni estendibili a 7 tenendo conto di riforme e investimenti), limitatamente al periodo 2025-27.
In particolare, la Commissione terrà conto dei Pnrr nella decisione sull’estensione del piano, un punto che stava a cuore sia alla Francia che all’Italia. Il parametro che conta è quello della spesa netta, il rispetto del quale verrà controllato tramite un apposito conto: al superamento di determinate soglie di scostamento (0,3% di Pil di deficit annuo, 0,6% cumulativo nel periodo di piano), la Commissione redige un rapporto e può lanciare una procedura per deficit.
Il conto viene azzerato alla fine del periodo di piano.
Vengono introdotte nel braccio preventivo, per volontà soprattutto della Germania, due salvaguardie ‘orizzontali’, valide per tutti, una sulla riduzione minima del debito annua (1% del Pil per i Paesi sopra il 90%, 0,5% per quelli tra il 60% e il 90%), l’altra sul deficit, più complessa, che era particolarmente problematica per l’Italia. La salvaguardia sul deficit, fortemente voluta dal tedesco Christian Lindner, prevede un obiettivo di deficit dell’1,5% strutturale, con un margine di 1,5% del Pil rispetto all’obiettivo del 3%, per i Paesi con debito sopra il 90% del Pil; il margine è dell’1% per i Paesi al di sotto del 90% (quindi l’obiettivo di deficit strutturale è del 2%).
Per mitigarne l’impatto, si è deciso che il ritmo di convergenza verso questo obiettivo sarà graduale, con un aggiustamento minimo strutturale primario dello 0,4% annuo, che si riduce allo 0,25% annuo nel caso di estensione del periodo di piano (sono soglie leggermente superiori a quelle incluse nella bozza dell’ultimo Ecofin, rispettivamente 0,3% e 0,2%). Per l’Italia, e per la Francia, rispetto alle regole attuali, irrealistiche, si tratta di un guadagno netto: rispetto all’Mto, Parigi guadagna oltre un punto di Pil, Roma ancora di più.
E l’aggiustamento minimo, dello 0,25% strutturale primario, è assai più dolce di quello previsto dalle regole attuali (minimo di 0,5% di saldo strutturale ogni anno). Per una fonte di Bercy, “non si può dire” che le nuove regole portino l’austerità, perché, paragonandole a quelle vecchie, il miglioramento è netto. E per l’Italia si tratta di “un buon accordo”, sottolineano da Parigi.
L’annuncio dell’Intesa sul Patto di Stabilità
L’intesa è stata annunciata ieri sera dai ministri francese, Bruno Le Maire, e tedesco, Christian Lindner, dalla capitale francese, in una conferenza stampa congiunta, ma secondo fonti di Bercy il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, e la presidenza spagnola, sono stati costantemente informati e tenuti al corrente. Del resto, secondo la fonte, era indispensabile che Francia e Germania si accordassero tra loro, per arrivare ad un accordo a 27, concetto che avevano trasmesso a Parigi “molti Stati membri”.
L’accordo risponde alle necessità politiche di ciascun ministro: ognuno può rivendicare qualcosa, in un pacchetto complessivamente “equilibrato”, come l’ha definito Nadia Calvino. In particolare Christian Lindner, che lotta per la propria sopravvivenza politica (il suo partito, l’Fdp, balla intorno al 5% nei sondaggi, la soglia di sbarramento del Bundestag, rispetto all’11% del 2021), porta a casa regole “severe”, come ha rivendicato ieri, mentre quelle del vecchio patto di stabilità erano severe “solo sulla carta”.
Che poi questo quadro di governance economica, oltre ad essere ‘tarato’ sulle esigenze di politica interna dei singoli governi, sia anche quello che davvero servirebbe all’Ue nel suo insieme, per recuperare gli enormi ritardi accumulati rispetto agli Usa e alla Cina in particolare dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2008 e i danni autoinflitti con le politiche di austerity, è da vedere.
Crescita
Come notava lo European Council on Foreign Relations, nel 2008, anno del fallimento di Lehman Brothers, l’economia dell’Ue, che ha molti più abitanti del colosso d’Oltreatlantico, era leggermente più grande di quella americana: 16,2 trilioni di dollari, contro 14,7 trilioni di dollari. Nel 2022, l’economia statunitense era cresciuta fino a raggiungere i 25mila miliardi di dollari, mentre l’Ue e il Regno Unito insieme avevano raggiunto solo i 19.800 miliardi di dollari.
L’economia americana è ora quasi un terzo più grande ed è oltre del 50% più grande dell’Ue, senza il Regno Unito. Si vedrà se il quadro di governance economica è quello che serve ad una Ue che si vuole “geopolitica”. Per contrastare la rinascita dell’imperialismo russo sotto Vladimir Putin, che pare determinato a ridurre l’Ucraina, grande esportatore di derrate alimentari, ad un Paese pressoché privo di sbocchi sul mare, affidarsi solo alla mano invisibile del mercato rischia di non bastare.
Per non parlare della transizione verde e digitale. Serviranno investimenti pubblici, e non pochi. E se le regole non li incoraggeranno, come ammoniva Mario Draghi da premier, semplicemente non verranno fatti. Con quali conseguenze, lo si vede già oggi, con la promessa di consegnare 1 milioni di munizioni d’artiglieria all’Ucraina entro fine marzo 2024, clamorosamente disattesa dall’Ue.
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