(Adnkronos) –
L’Unione Europea punta decisamente ad espandersi verso est, rispondendo compatta all’imperialismo russo, risorto sotto Vladimir Putin. Il Consiglio Europeo, a sorpresa, ha dato il via libera nel tardo pomeriggio ai colloqui di adesione con l’Ucraina e la Moldova, entrambe ex repubbliche socialiste sovietiche. Ha garantito lo status di Paese candidato alla Georgia, altra ex repubblica dell’Urss, che diede i natali a Giuseppe Stalin.
E guarda all’avvio dei negoziati di adesione con la Bosnia-Erzegovina, sulla base di un rapporto della Commissione atteso nel marzo 2024. La svolta è arrivata a sorpresa a Bruxelles, in un Consiglio Europeo che nei briefing preparatori era stato invariabilmente descritto come “difficile” e probabilmente molto “lungo”.
Invece, sono bastate poche ore ai capi di Stato e di governo per mettere all’angolo l’ungherese Viktor Orban, che minacciava il veto.
Il leader magiaro, da politico “pragmatico” qual è (definizione del premier polacco Donald Tusk), davanti ai 26 colleghi compatti ha scelto di non partecipare alla decisione, lasciando la stanza. Nessuno, quindi, ha obiettato alle conclusioni sull’allargamento. Soddisfatto il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che, sceso in sala stampa in mezzo ai cronisti, ha salutato il “momento storico”, che dimostra la “credibilità” dell’Ue.
Orban, dal canto suo, stamani aveva sottolineato che l’Ucraina non rispetta “tre criteri su sette” individuati dalla Commissione. Alla fine, ha nicchiato, ma parlare di sconfitta è eccessivo, se non sbagliato: il leader magiaro porta comunque a casa lo sblocco di 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione, grazie alla riforma della giustizia.
Sui veri obiettivi del leader ungherese, le opinioni divergono. Per una fonte diplomatica, “voleva solo i soldi”. Per un’altra fonte, “voleva compiacere la sua opinione pubblica”. Quale che fosse il suo intento, il leader ungherese non ha partecipato a quella che ritiene essere una decisione sbagliata, senza bloccarla. Michel, dal canto suo, porta a casa un successo politico: l’avvio dei colloqui di adesione, sottolinea “è un segnale politico molto potente. Penso al popolo ucraino: siamo al loro fianco”.
Diversi leader hanno sottolineato che l’avvio dei negoziati di adesione non significa che questi Paesi entreranno presto nell’Ue: al contrario, occorreranno “anni”, ha sottolineato tra gli altri il premier olandese Mark Rutte. Ma quello che conta è il segnale politico: come ha detto il primo ministro portoghese Antonio Costa, non era possibile negare agli ucraini, che da due anni combattono contro i russi per potere un giorno aderire all’Unione, questa prospettiva.
Tanto più ora che il Congresso Usa, come ha ricordato Rutte, ha “rimandato” lo stanziamento di nuovi aiuti militari. Il premier belga Alexander De Croo ha spiegato che Orban, di fronte a 26 colleghi, tutti decisi a dare il via libera all’avvio dei negoziati, ha deciso di “non usare il suo diritto di veto”. L’Ucraina, ha aggiunto, “è un Paese in guerra da quasi due anni: la popolazione ucraina ha fatto enormi sacrifici. E’ anche un messaggio molto importante per Mosca: l’Europa non abbandona l’Ucraina e questo messaggio dice che siamo qui insieme, siamo uniti in Europa e che vogliamo tenere l’Ucraina dalla nostra parte”.
Il premier sloveno Robert Golob ha ricordato, ad una giornalista georgiana, che la decisione è soprattutto “simbolica” e che Tbilisi deve “lavorare duramente” per rispettare i criteri. Ma ha anche sottolineato quello che sanno tutti, cioè che c’è una situazione “geopolitica” che non si può ignorare e che potrebbe accelerare il processo di adesione.
Michel ha spiegato che il successo si deve al lungo lavoro svolto in preparazione del summit. E probabilmente anche ad una sapiente gestione delle aspettative, visto che era stato paventato un Euco ‘monstre’, evocando addirittura il precedente del Consiglio del luglio 2020 che dette il via a Next Generation Eu, che durò ben quattro giorni e quattro notti. In ogni caso, l’Ue manda un messaggio chiaro all’Ucraina e soprattutto alla Russia di Putin, non rinnegando le aperture fatte a Kiev, fin dall’accordo di associazione entrato in vigore nel 2017.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, reduce da una missione negli Usa dalla quale non ha ricavato molto, riceve un segnale politico chiaro dall’Unione Europea, che non lo abbandona, malgrado l'”affaticamento di cui parlano tutti”, come dice la presidente del Parlamento Roberta Metsola (“è nostra responsabilità evitare che prenda piede”, rimarca). Per Zelensky, “la storia è fatta da coloro che non si stancano di combattere per la libertà”.
Ora il Consiglio Europeo deve decidere sulla revisione dell’Mff 2021-27: il pacchetto è in mano agli sherpa, che dovrebbero trovare una soluzione all’interno della ‘negobox’ presentata da Michel. Il negoziato resta “difficile”, ma i 50 miliardi di euro per l’Ucraina (17 miliardi di trasferimenti e 33 miliardi di prestiti) non sono messi in forse da nessuno dei 26. Forse gli ucraini, alle prese con un duro inverno e con i bombardamenti degli invasori russi, da ieri sera si sentiranno un po’ meno soli.
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