Ucraina: la guerra fra diktat e censura sembra il brutto titolo di un best seller non il sunto di una situazione internazionale che stiamo amaramente conoscendo da più di due mesi. Certo la nostra conoscenza si limita ad immagini e news. Possiamo solo lontanamente immaginare e non compiutamente che significhi stare lì.
Ad un approfondimento più spinto, però, non possiamo non fermarci a cercare di capire quale narrazione ci viene proposta e quali letture ci arrivano dal territorio teatro di guerra. È indubbio che una parte della guerra si svolga anche in campo strettamente mediatico.
La comunicazione – o meglio la propaganda di una parte e dell’altra – e l’informazione, come abbiamo già sottolineato in altra sede, stentano a scindersi. Questa unione tende ad essere così univoca che rende difficile spartire i fatti dalle opinioni.
Censura e diktat
Ci sono, allora, censura e diktat sulla guerra che subiamo in maniera più o meno conscia? Possiamo affermare che l’informazione dai teatri di guerra è pregiudizievolmente falsata? Ci arrivano fake news e chiunque non è allineato viene fatto fuori dal flusso di notizie ed approfondimenti?
Diciamo che il complotto, le tesi che postulano questo, non ci piacciono in nessuno ambito. Non perché per noi non esistono complotti, anzi, ma perché siamo convinti per esperienza fatta che spesso non ci sono linee imposte deliberatamente ma comportamenti indotti e massificati che portano, in maniera anche non proprio conscia, ad uniformarsi alla scia.
È come se l’informazione seguisse lo stesso processo che segna le mode. Le letture con più appeal è come se facessero autonomamente proselitismo e si finisse alla fine per avere una lettura unica della realtà che si crede libera e risulta invece indotta.
Complotti e complottismo
Non esistono giornalisti che si fanno usare come i cani nel classico e celebre esperimento di Pavlov (che era un medico russo, ora ne dobbiamo citare anche uno ucraino?) credeteci. Ci sono solo giornalisti che seguono scie che conducono su strade battute ed altri che preferiscono battere sentieri inesplorati o poco frequentati.
Che nei giornalisti, ormai, si riponga poca fiducia ed affidabilità è un dato di fatto innegabile. Diciamo anche che la rete ha creato molti dilettanti allo sbaraglio ed anche questo è innegabile ma la categoria in se non è che faccia molto e da tempo per smentire queste dicerie.
Giornalisti liberi ce ne sono? Certo che ce ne sono come in ogni ambito. Magari più che chiederci se ce ne sono liberi bisognerebbe chiedere se ce ne sono disposti a raccontare solo fatti e non già a propinare opinioni e qui individuarne un buon numero è già più difficile.
Né santi, né eroi
Vorremmo solo che si uscisse dalla retorica del giornalista come santo o come eroe e si potesse guardare a chi fa questa professione (noi preferiamo però mestiere) come Uomini con la U maiuscola perché la parola non è intesa a tracciare una divisione di genere (maschio/femmina) quanto piuttosto a definire una qualità.
Uomini fallibili che non per forza sono servi o asserviti come oggi si ama dire e di cui ci si crogiola come quelli che hanno scoperto chissà che, ma spesso solo espressione di una pigrizia mentale nell’organizzare il proprio racconto e porgerlo al pubblico.
Noi qui cerchiamo di riflettere insieme su cosa accade intorno a noi. È chiaro e palese, e comunque più volte lo abbiamo detto e ribadito nei nostri articoli di questa rubrica che non a caso gioca già a partire dal suo titolo su una ‘visione borgesiana‘ del mondo, che partiamo dai fatti ma facciamo nostre considerazioni.
Raccontare
In altre parti del giornale troverete solo fatti, spesso esposti così come sono senza filtri, spesso direttamente dalle parole dei protagonisti a cui preferiamo dare voce senza porci da intermediari. Quanti riescono ad essere onesti allo stesso modo con i propri lettori?
Non stiamo facendo atto di autocelebrazione, volevamo solo dirvi fate attenzione! Non esistono solo imbroglioni ma anche persone che si fanno imbrogliare con i loro atteggiamenti che non pongono mai a se stessi una domanda che sia una.
Persone che credono a ciò che leggono e vedono ovunque e non si preoccupano di domandarsi da dove arrivano quelle che oggi ci piace chiamare fake. I giornalisti, quelli bravi, sono come la rete o come le tecnologie: né buoni né cattivi è l’uso che se ne fa che li fa diventare ora gli uni ora gli altri. Pensateci.