Tzvetan Todorov, nato a Sofia (Bulgaria) il 1 marzo del 1939, morto il 7 di febbraio del 2017, può essere considerato uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo, che seppe indagare il linguaggio e la società con un rigore e un’ampiezza di prospettive di notevole impatto sui nostri confusi tormentati anni.
Maestro di un’intera generazione, iniziò il suo percorso di studioso, dopo il suo arrivo a Parigi nel 1963, seguendo le lezioni di Roland Barthes, e approfondendo i suoi interessi linguistici con alcuni lavori di critica letteraria riguardanti i formalisti russi e la loro nuova visione del linguaggio e delle sue funzioni. La sua carriera di docente ebbe inizio nel 1967 presso la Yale University e il suo lavoro di ricercatore nel Centro Nazionale della Ricerca Scientifica di Parigi, città dove diresse anche il Centro di Ricerca sulle Arti e il Linguaggio e, naturalizzato in Francia, cominciò a scrivere i suoi testi nella lingua del paese che lo aveva accolto.
Il suo interesse per la linguistica, lo strutturalismo e la semiotica, che considerava parte della filosofia del linguaggio, diede impulso a numerosi studi, cui successero altri di natura filosofica e antropologica. Nel 1970, pubblicò quello che, forse, è il suo libro più famoso: “Letteratura fantastica”, nel quale stabilisce le regole del genere e la funzione sociale del “fantastico” nella letteratura.
Per Todorov il linguaggio, pur se analizzato nel suo specifico linguistico, era imprescindibile dalla sua dimensione sociale, così come dal ruolo dell’individuo e dalla sua responsabilità nella Storia. A questo si devono testi come “La conquista dell’America” (1984) e “Noi e gli altri” (1989), “Le morali della storia” (1991), “Di fronte all’estremo” (1992), una riflessione intensa sulle vittime dei lager e dei gulag, e “Una tragedia vissuta” (1995), “La vita comune” (1995), “Le jardin imparfait” (1998), un saggio sui totalitarismi, “Memoria del male, tentazione del bene” (2000) e “Il nuovo disordine mondiale” (2003). In ognuno di questi testi Todorov ha indagato aspetti centrali della società umana, problematiche etiche e politiche, alla ricerca della verità ultima dei grandi nodi della Storia e dei pressanti problemi del nostro tempo. Acuta la sua analisi delle ragioni dei totalitarismi che hanno caratterizzato il XX secolo.
Docente in numerose università, tra cui Harvard, Yale, Columbia e la University of California, Berkeley, le sue proverbiali lezioni come i suoi scritti hanno formato la maggior parte dei linguisti contemporanei e sono entrati nel grande dibattito della critica militante sul concetto di “scontro di civiltà”, proposto dallo storico americano Samuel Huntington nell’omonimo libro dei 1996. Todorov col suo saggio “La paura dei barbari” entra, contestandolo decisamente, dentro il concetto di scontro, individuando le ragioni per cui in ogni società viene creata artificialmente la figura del nemico sul quale scaricare tutte le paure, rispetto al confronto Nord/Sud, Est/Ovest, Cristiani/Mussulmani, in un tempo di radicalizzazione aspre e di rinnovata intolleranza verso la diversità. L’altro, il barbaro, ci dice Todorov, è solo il nostro specchio, demonizzarlo significa alterare la realtà e impedire ogni possibilità di reciproca comprensione e collaborazione.
La questione del rapporto con l’altro si era già posta nel suo libro del 1982, “La conquista dell’America” . Qui Todorov aveva risaltato l’effetto devastante della colonizzazione europea sulla cultura indigena. Ma anche l’effetto negativo sulla cultura europea che sembrava azzerare le conquiste dell’illuminismo e del pensiero democratico contemporaneo, considerando l’altro, il diverso, come necessariamente inferiore e quindi da annullare senza compassione o al massimo da incorporare forzatamente alla propria visione di vita, schiacciandone totalmente l’identità culturale originaria. Quest’analisi sulle conseguenze della scoperta dell’America sul Vecchio e Nuovo Mondo diventa poi la base per indagare sulla tragica esperienza dei campi di concentramento dove la discriminazione dell’altro ha assunto le proporzioni di una tragedia biblica lasciando potenti ferite nella coscienza dell’intera Europa.
Todorov ci mette in guardia, nel suo saggio del 1991 “Di fronte all’estremo”, affermando che il passato dell’orrore, del totalitarismo e dell’odio non è sconfitto una volta per tutte ma sta a livello di latenza, nascosto nel subconscio di una società di massa disumanizzata che non ne ha ancora eliminato le perverse ragioni. Ma nel contempo Todorov riafferma il valore della volontà e delle responsabilità individuali, anche nelle situazioni più drammatiche di violenza e oppressione, considerando che l’uomo ha il dovere etico di resistere al degrado della sua umanità a qualsiasi costo. Nel libro “Resistenti” del 2015 ci addita infatti come esempio uomini e donne che seppero resistere rivendicando la loro dignità umana contro ogni barbarie.
Tutta l’etica di Todorov è un’etica del dialogo, che pur riaffermando la propria voce non pretende l’assimilazione di quella altrui, ma va incontro all’altro riconoscendone la piena autonomia, comprendendo il dolore di ogni esilio, costruendo un modo nuovo di essere straniero e di accettare lo straniero, in un dialogo di culture che affratella gli uomini.
Riguardo alla società contemporanea spaventata e tentata di rinchiudersi in se stessa diceva: “Le offese e gli attentati che abbiamo subìto sono gravi, ma non penso che mettano in pericolo la sopravvivenza della democrazia.”
Todorov, grande maestro di pensiero, ci ha lasciato una straordinaria eredità a cui attingere per accedere a una società più giusta e più vivibile. Sta a noi farne tesoro.