(Adnkronos) – La sopravvivenza di tumori rari e difficili da trattare migliora con terapie mirate contro la proteina Idh. Per questo è necessario, già al momento della diagnosi, fare il test molecolare. E’ l’appello per sensibilizzare clinici e istituzioni lanciato dalla Fondazione per la medicina personalizzata (Fmp), oggi a Roma nel corso di un media tutorial sulla frontiera più avanzata dell’oncologia di precisione, focalizzato sul ruolo oncogenico delle mutazioni Idh e realizzato con il contributo non condizionante del Gruppo Servier in Italia.
La mutazione del gene Idh1, scoperta recentemente – spiega una nota – è riscontrabile nell’80% dei gliomi di basso grado, un tipo di cancro del cervello, nel 20% dei colangiocarcinomi e nel 10% dei casi di leucemia mieloide acuta.
“Nel modello istologico l’indicazione terapeutica si basava sulla sede del tumore, in quello mutazionale deriva dalla profilazione genomica – spiega Paolo Marchetti, presidente Fmp – Il punto chiave del nuovo processo è rappresentato dalla profilazione genomica, cioè dall’individuazione delle alterazioni molecolari che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia e, da qui, deriva la scelta del farmaco e l’indicazione terapeutica, indipendentemente dalla sede del tumore, dall’età e dal sesso del paziente”.
Nel dettaglio, “i gliomi sono una forma di tumore del cervello e fanno registrare ogni anno in Italia circa 3mila nuovi casi – afferma Andrea Pace, responsabile Neuroncologia Irccs Istituto tumori Regina Elena di Roma – Il 20% è costituito dai gliomi di grado 2, cioè di basso grado, che sono più frequenti nei giovani fra i 20 e i 40 anni. I sintomi all’esordio sono costituiti di solito da crisi epilettiche, spesso resistenti ai trattamenti, perché le cellule malate tendono a infiltrare il tessuto nervoso sano.
Queste neoplasie cerebrali hanno una crescita lenta, ma con il passare degli anni possono diventare di alto grado e, quindi, più aggressive. Per 20 anni le terapie successive alla chirurgia”, chemioterapia e radioterapia, “sono rimaste identiche – evidenzia – Oggi la neuroncologia può beneficiare della medicina di precisione.
Le mutazioni di Idh1 sono presenti nell’80% dei gliomi di grado 2, quelle di Idh2 in circa il 5%. Nello studio Indigo pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, su circa 330 pazienti con gliomi di grado 2 non aggressivi, sottoposti all’intervento chirurgico ma non a chemioterapia e radioterapia, vorasidenib, inibitore di Idh, rispetto alla sola osservazione, ha più che raddoppiato la sopravvivenza libera da progressione: 27,7 mesi rispetto a 11,1.
E’ fondamentale, come stabilito dalla classificazione dell’Oms, che in ogni paziente, al momento della diagnosi, sia eseguita l’analisi molecolare”. Le mutazioni di Idh1 sono presenti anche in circa il 20% dei casi di colangiocarcinoma (nella forma intraepatica).
“E’ un tipo di tumore primitivo del fegato che fa registrare ogni anno circa 5.400 nuove diagnosi in Italia – illustra Andrea Casadei Gardini, oncologo dell’Uo Oncologia medica Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e professore associato di Oncologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano – Il 70% dei pazienti presenta alla diagnosi una malattia già in fase avanzata”.
La sopravvivenza a 5 anni è ancora bassa, pari al 17% negli uomini e al 15% nelle donne. “Il 45% dei pazienti con colangiocarcinoma – continua lo specialista – presenta un’alterazione genetica potenzialmente ‘actionable’, cioè bersaglio di terapie mirate.
Le più frequenti nelle forme intraepatiche sono le mutazioni di Idh1, presenti in circa il 20% dei casi, e le traslocazioni di Fgfr2, rilevabili nel 10%”. Studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di terapie mirate, in particolare con ivosidenib, il primo inibitore mirato di Idh1 approvato in Europa per i pazienti con colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico con una mutazione Idh1, precedentemente trattati con almeno una linea di terapia sistemica.
“Nello studio ClarIdhy pubblicato su ‘Jama Oncology’ – aggiunge Casadei Gardini – la nuova molecola ha evidenziato una riduzione del rischio di progressione di malattia del 63%. I benefici sono stati confermati anche in uno studio ‘real world’, che riproduce la pratica clinica quotidiana”.
La profilazione molecolare è una parte fondamentale anche nella diagnosi nella leucemia mieloide acuta (Lma), un tumore del sangue che colpisce ogni anno in Italia circa 2.100 persone. “La sopravvivenza a 5 anni è di circa il 30% – sottolinea Maria Teresa Voso, professore ordinario di Ematologia all’Università Tor Vergata e responsabile del laboratorio di Diagnostica avanzata oncoematologica del Policlinico Tor Vergata di Roma –
L’età media alla diagnosi è di 69 anni. I pazienti anziani o fragili non sono in grado di tollerare la chemioterapia intensiva standard” e l’eventuale “trapianto allogenico di cellule staminali”. Fino al 50% presenta almeno una mutazione potenzialmente actionable per una terapia mirata”. Le mutazioni a carico dei geni Idh sono tra le più comuni: il 10% ha Idh1 e il 10-15% Idh2.
La Commissione europea ha approvato ivosidenib in associazione con un agente ipometilante, azacitidina, per il trattamento di pazienti adulti con Lma di nuova diagnosi con mutazione di Idh1, che non sono idonei a ricevere la chemioterapia di induzione standard.
“Nello studio Agile, pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’ – precisa Voso – la terapia mirata con ivosidenib in combinazione con azacitidina in prima linea ha triplicato la sopravvivenza globale mediana rispetto a placebo e azacitidina, 2 anni contro 7,9 mesi”.
“Oggi vi è una crescente disponibilità di test di profilazione genomica estesa, con pannelli che possono esaminare anche 500 geni con un singolo esame – conclude Marchetti – E’ quindi fondamentale istituire i Molecular Tumor Board, nei quali sono coinvolte competenze provenienti da diverse aree, quali l’oncoematologia, l’anatomia patologica, la genetica medica, la biologia molecolare, la farmacologia clinica, la farmacia ospedaliera e altre figure professionali”.
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