Il prossimo 15 ottobre decollerà, forse, ITA, la nuova compagnia aerea di bandiera italiana nata al posto di Alitalia. Il decollo, è proprio il caso di dirlo, non avviene sotto i migliori auspici a giudicare dalla strategia annunciata dall’azienda che parla di esuberi, tagli di stipendi e fine degli ammortizzatori sociali per chi resta fuori. I lavoratori ex Alitalia non ci stanno e scendono in piazza mentre i sindacati tentano una trattativa con i vertici ma l’accordo non si raggiunge. Vediamo quello che sta accadendo.
Le questioni sul tavolo
ITA ha annunciato che vuole partire con 2.800 dipendenti mentre la forza lavoro di Alitalia ammonta a circa 10.000 unità. Se si considera la ripartizione tra naviganti e lavoratori di terra e la cessione di alcuni rami di azienda, che prevede anche il trasferimento dei dipendenti, gli esuberi prodotti ammonterebbero a circa 3.000 unità. Numero destinato a salire se si considera che l’azienda si è aperta a reclutare il personale anche al di fuori dell’Alitalia e a questo scopo ha aperto una piattaforma nella quale sono confluite più di 29.000 candidature (tra queste 7.200 di ex lavoratori Alitalia). A questo punto i sindacati hanno chiesto la proroga della CIGS fino al 31 dicembre 2025, vale a dire per la durata del piano industriale dell’azienda e non fino alla fine del mese di settembre.
Trattativa ITA sindacati: l’accordo non c’è
Non finisce qui: ITA ha annunciato anche che, per essere più competitiva, opererà dei tagli agli stipendi del personale. Questo significa che i naviganti, vale a dire i piloti e il personale di bordo, potrebbero guadagnare meno dei loro colleghi in forza alle compagnie low cost. Al tavolo della discussione, i vertici aziendali hanno preteso di firmare un accordo unico con tutte le sigle sindacali invece di accordi separati e poiché le diverse sigle sindacali non erano perfettamente allineate, la trattativa è saltata. ITA va avanti con il suo piano.
Azienda di Stato?
La strategia illustrata del presidente esecutivo di ITA, Alfredo Altavilla, ricorda un po’ quella perseguita negli anni più aggressivi dalla FCA (non a caso Altavilla viene da quell’ambiente). Solo che qui sfugge un piccolo dettaglio: ITA non è un’azienda privata, bensì un’azienda di stato. Logiche di profitto, piani di rientro con tagli del personale appartengono al mondo dell’imprenditoria privata. Non è previsto che un’azienda pubblica non rispetti il contratto nazionale o che generi esuberi. Bisogna dire, a onor del vero, che se i 2.800 dipendenti di ITA rappresentano un grosso ridimensionamento al tempo stesso i 10.000 di
Alitalia erano spropositati. Azienda pubblica oggi non può essere più sinonimo di carrozzone e al tempo stesso non può abdicare a quelli che sono i diritti fondamentali. La politica, che ha tutto il diritto e il dovere di intervenire, ha dato timidi e tutt’altro che rassicuranti segnali. Il ministro Giorgetti, dal cui dicastero dipende direttamente la nova Alitalia, ha manifestato il suo appoggio ai vertici ITA. Se la storia dell’Alitalia insegna che servizio pubblico e privatizzazione non sono conciliabili, la lezione non sembra stata accolta dalla nuova società ITA che rischia, così, di portarsi dietro i problemi di sempre.