Più di 1 vittima di tratta su 3 (34%) nel mondo è minorenne, in prevalenza di genere femminile[1]. Una percentuale che, pur riguardando i soli casi giudiziari accertati di un fenomeno ben più vasto, è più che triplicata negli ultimi 15 anni ed è anche più elevata nelle regioni a basso reddito (Africa sub-sahariana e occidentale, Asia meridionale, America centrale e Caraibi) dove i minori sono la metà delle vittime totali accertate. Tra le regioni del mondo, il numero più alto di casi accertati di tratta e sfruttamento minorile è quello rilevato in Europa occidentale e meridionale, con 4.168 minori vittime, in maggioranza maschi (59%)[2]. Rispetto alle forme di sfruttamento a livello globale, la tratta a scopo di sfruttamento sessuale riguarda il 72% delle bambine e ragazze vittime, mentre la forma prevalente nel caso dei maschi è quella lavorativa (66%).
In vista della Giornata Internazionale Contro la Tratta di Esseri Umani che ricorre il prossimo 30 luglio, Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – diffonde oggi l’XI edizione del rapporto “Piccoli Schiavi Invisibili – Fuori dall’ombra: le vite sospese dei figli delle vittime di sfruttamento”. Il rapporto analizza le condizioni di bambine, bambini, adolescenti e giovani vittime o potenziali vittime di tratta e sfruttamento nel nostro Paese, anche alla luce dell’impatto della pandemia che le rende ancora più vulnerabili. Emerge anche il dramma dei minori figli delle donne vittime, nati e cresciuti in un contesto di isolamento e sfruttamento e con il grave rischio di vedere compromesso il loro futuro.
Tratta e sfruttamento degli esseri umani, in particolare dei minori, sono fenomeni di difficile emersione, a causa degli enormi interessi dei trafficanti – in un mercato che si trasforma ma non accenna a diminuire – e dell’insufficiente impegno dei governi nel monitoraggio e nell’azione di prevenzione e contrasto. Già prima della pandemia, la punta dell’iceberg costituita da 50.000 vittime accertate nel mondo indicava uno scenario allarmante[3]; un quadro destinato a peggiorare per le conseguenze dell’emergenza Covid-19 che ha spinto in povertà nel 2020 142 milioni di bambini e adolescenti in più[4]. Nelle fasi acute della pandemia, le misure di contenimento hanno lasciato senza scuola 1,6 miliardi di bambini e bambine, con la grave conseguenza che 10 milioni tra i più vulnerabili potrebbero abbandonare l’istruzione ed essere così esposti al rischio di tratta e sfruttamento lavorativo o sessuale, di matrimoni forzati o gravidanze precoci, in particolare nei Paesi a più basso reddito[5]. Secondo le stime, il solo sfruttamento lavorativo potrebbe inghiottire entro la fine del 2022 altri 8,9 milioni di bambini e adolescenti, per più della metà sotto gli 11 anni.
La tratta e lo sfruttamento sono fenomeni che non risparmiano neanche l’Italia, dove le vittime prese in carico dal sistema nazionale anti-tratta nel 2020 erano 2.040, tra cui 716 nuovi casi emersi e presi in carico nel corso dell’anno. Si tratta in prevalenza di donne e ragazze (81,8%), mentre 1 vittima su 20 è minore (105)[6]. Tra i paesi d’origine delle vittime prevale la Nigeria (72,3%), seguita da Costa d’Avorio, Pakistan, Gambia e Marocco, mentre la forma di sfruttamento più rilevata è quella sessuale (78,4%), seguita da quella lavorativa (13,8%), l’1% delle vittime è stato coinvolto in economie illegali e lo 0,6% nell’accattonaggio. I minori vittime di sfruttamento lavorativo intercettati dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro nel 2020 sono 127, sia stranieri che italiani, con una leggera prevalenza femminile (57,7%). Gli illeciti riguardano in gran parte il settore terziario (88%), seguito da industria (4,7%), edilizia (3,9%) e agricoltura (2,4%)[7]. Un dato che deve far riflettere sulla necessità di indagini mirate a far emergere un fenomeno ancora per lo più sommerso.
Un elemento particolarmente allarmante e poco considerato riguarda le donne vittime di tratta e sfruttamento sessuale con figli minori, spesso anch’essi nelle mani di sfruttatori e trafficanti: i casi di ex-vittime o vittime con figli individuati sono quasi raddoppiati tra il 2016 e il 2020, passando dal 6% all’11,6% sul totale dei casi presi in carico dal sistema anti-tratta, con ulteriore aumento nei primi sei mesi del 2021 (+0,4%). Attualmente il sistema anti-tratta assiste 190 nuclei vulnerabili che comprendono 226 minori. Anche nell’ambito dello sfruttamento lavorativo nel settore agricolo, in particolare nel sud, emergono casi di donne che vivono sole con i figli, principalmente originarie dell’Est Europa, e che subiscono ricatti, violenze e abusi, costrette in un circuito di isolamento di fatto che riguarda anche i figli, compromettendone irrimediabilmente il futuro.
“I bambini figli delle vittime di tratta e sfruttamento sono spesso prigionieri, con le loro mamme, di un circuito di violenza, ricatto e abuso che deve essere spezzato ad ogni costo. Le loro mamme sono donne, anche giovanissime, che portano sulla propria pelle una serie ripetuta di violazioni precoci subite in molti casi già nel loro Paesi di origine, in situazioni di estrema povertà materiale e deprivazione sociale. Anche qui in Italia affrontano le peggiori condizioni di sfruttamento. È necessario rafforzare e sostenere i loro percorsi di fuoriuscita dallo sfruttamento, predisponendo misure specifiche per l’accompagnamento all’autonomia delle mamme e per garantire salute, istruzione, protezione e inclusione per i loro figli. Occorre mettere in atto ogni misura per evitare che, in assenza di interventi tempestivi e adeguati, per sopravvivere le donne corrano il rischio di ricadere nelle mani dei loro sfruttatori,” ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
L’identikit dei minori vittime di tratta e sfruttamento in Italia
Nel 2020, gli operatori partner del progetto Vie d’Uscita di Save the Children per la protezione di minori e neomaggiorenni a rischio o vittime di tratta e sfruttamento sessuale, attivi in 6 regioni[8], hanno intercettato 683 nuove vittime. Giovani donne e ragazze rappresentano il 92% delle vittime, in prevalenza nigeriane (45%) e rumene (32%), mentre la maggior parte dei ragazzi proviene dai paesi dell’Africa settentrionale e subsahariana e dal Bangladesh.
Alcuni operatori impegnati sul campo in progetti di contrasto alla tratta e allo sfruttamento segnalano nell’ultimo anno un aumento di minori provenienti dal Pakistan, sfruttati in ambito lavorativo. Provengono generalmente da contesti caratterizzati da bassa scolarizzazione e hanno già vissuto esperienze lavorative, spesso pericolose, nel proprio Paese e in quelli di transito, in particolare in Turchia e sulla rotta balcanica per raggiungere l’Europa. Rispetto allo sfruttamento in attività illegali, le segnalazioni erano aumentate già nel 2019 relativamente a minori maschi di un’età compresa tra i 15 e i 17 anni, di nazionalità tunisina, marocchina, egiziana, albanese, coinvolti principalmente in reati di spaccio e furti. Come sottolinea il rapporto, spesso si tratta di ragazzi che vengono identificati esclusivamente come autori di reato senza tenere nella dovuta considerazione il loro coinvolgimento nelle reti dello sfruttamento.
Vittime tra le vittime: figlie e figli delle donne sfruttate
Dall’analisi svolta nel rapporto Piccoli Schiavi Invisibili 2021, emerge con chiarezza un aspetto estremo delle violenze subite dalle ragazze vittime di tratta e sfruttamento, che riguarda in molti casi i loro figli. Bambine e bambini, generalmente molto piccoli e a volte nati proprio dagli abusi subiti dalle giovani madri, che non solo assistono alle violenze perpetrate sulle loro madri, ma che rischiano di subire essi stessi violenza per mano di sfruttatori e trafficanti o essere oggetto di ricatto per tenere soggiogate le loro mamme. Il progetto Nuovi Percorsi lanciato da Save the Children ad aprile 2021 in cooperazione con il Numero Verde Anti Tratta e il Dipartimento delle Pari Opportunità proprio per rispondere alle necessità dei nuclei mamma-bambini più vulnerabili, ha sostenuto 50 nuclei nei soli primi due mesi di attività, con una maggioranza di donne di origine nigeriana e 8 in stato di gravidanza. I minori sono 69, di cui 49 nati in Italia e attualmente sotto i 3 anni di età.
“Si tratta di bambini spesso figli di ragazze sole, anche giovanissime, che sono state ingannate, vendute, rapite, e che hanno subìto torture e stupri, anche di gruppo, nelle tappe di un viaggio orrendo per raggiungere l’Europa. Una violenza che continua in Italia, subita per poter sopravvivere, perché ancora schiave dei loro trafficanti o per ripagare un debito di viaggio quasi inestinguibile, ora in una condizione di vulnerabilità economica ancora maggiore a causa della pandemia”, spiega Raffaela Milano. “I loro figli sono due volte vittime dello sfruttamento, hanno vissuto le violenze perpetrate sulla loro mamma e possono aver subito o subire a loro volta violenza, sono spesso minacciati o trattenuti dagli sfruttatori come arma di ricatto per mantenere le madri in trappola, e rischiano così di crescere in una rete chiusa di abusi e violenze”.
Piccoli Schiavi Invisibili sottolinea anche le gravi conseguenze per madri e bambini nell’ambito dello sfruttamento lavorativo in ambito agricolo, negli insediamenti informali isolati dai centri urbani e dai servizi. Oltre alle difficili condizioni di lavoro a cui sono sottoposte e a retribuzioni inferiori rispetto agli uomini, le braccianti agricole sono più esposte a diverse forme di violenza, abusi e molestie sui luoghi di lavoro: un fenomeno che colpisce soprattutto lavoratrici provenienti dall’est Europa, spesso sole con figli minori, sottoposte dagli sfruttatori al ricatto della perdita del lavoro, una minaccia che spesso fa leva proprio sulla presenza di figli. Il rapporto diffuso oggi sottolinea che in alcune aree, come la ‘fascia trasformata’ in Sicilia, tra i minori che vivono nelle campagne spesso con la sola madre che in prevalenza appartiene alle comunità rumena e rom, la dispersione scolastica raggiunga picchi dell’80% a causa della distanza delle strutture scolastiche e dell’assenza di trasporti. Per i minori figli di persone sfruttate il rischio di diventare a loro volta vittime è concreto. Spesso, al compimento di 12-13 anni iniziano a lavorare nei campi per paghe più basse rispetto a quelle degli adulti, e le minori possono essere coinvolte anche in forme di sfruttamento sessuale.
L’impatto della pandemia sul business dello sfruttamento
Nella fase iniziale dell’emergenza sanitaria, a partire da marzo 2020, si è registrato un calo del numero delle segnalazioni di nuove vittime. La pandemia le ha rese meno evidenti, visibili e rintracciabili, spesso irraggiungibili dai servizi di identificazione e protezione. Le reti criminali hanno tuttavia rapidamente intensificato lo spostamento dello sfruttamento dalla strada al chiuso, indoor, una tendenza rilevata già prima del Covid-19, e potenziato lo sfruttamento online sulla rete. Secondo le testimonianze di operatori del sistema anti-tratta, inoltre, si assiste ad un crescente sfruttamento multiplo delle vittime, coinvolte non solo nella prostituzione forzata, ma anche in attività connesse alle economie illecite, come nel caso delle ‘ovulatrici’, che trasportano nel proprio corpo ovuli di droga, o delle persone costrette a spostarsi sul territorio nazionale portando con sé pacchi di cui spesso non conoscono il contenuto.
Secondo le testimonianze degli operatori, tra cui i partner del progetto Vie d’Uscita di Save the Children, la prostituzione forzata su strada riguarda ormai soprattutto donne trans e ragazze o giovani provenienti dall’est Europa, che nel corso del 2020 hanno rappresentato il 70% dei riscontri delle unità di contatto, per il 75% provenienti dalla Romania, seguite da vittime di nazionalità albanese e bulgara. Si è invece dimezzato il numero delle vittime di origine nigeriana, prima molto numerose, che vengono sempre di più sfruttate in connection house conosciute dai clienti grazie al passaparola.
L’e-trafficking, la nuova frontiera tecnologica per lo sfruttamento esplosa durante il Covid
“La pandemia ha ostacolato il lavoro di contatto diretto e valutazione da parte degli operatori anti-tratta, ma anche l’erogazione dei servizi dei percorsi di fuoriuscita, protezione e inclusione già avviati, compresi i tirocini di formazione e le borse lavoro, che, sommati alla generale vulnerabilità economica dovuta alla crisi, hanno acuito il rischio concreto di re-trafficking per un numero elevato di giovani vittime”, spiega Raffaela Milano. “Al contrario, le limitazioni causate dalla pandemia sono state prontamente trasformate in opportunità da parte dei trafficanti, che stanno utilizzando tecnologie e risorse della rete online per consolidare un vero e proprio sistema di traffico degli esseri umani per via digitale. È necessario rafforzare la collaborazione e lo scambio di informazioni tra tutti gli attori coinvolti, dalle forze di polizia ai fornitori dei servizi on line e alle organizzazioni non governative per rispondere adeguatamente a questa crescita dello sfruttamento on line”.
Come sottolinea l’Europol[9], la tecnologia ha infatti ampliato la capacità delle reti criminali, acquisendo un ruolo di primo piano in tutte le fasi che caratterizzano il traffico di esseri umani, tanto nei Paesi di origine quanto in quelli di transito e destinazione, rendendole più forti, pervasive ed aumentandone i profitti. Comunicazioni criptate e anonimato, nessuna intermediazione diretta con le vittime reclutate, minor rischio di incorrere in operazioni di polizia sono gli elementi da cui trafficanti e sfruttatori hanno tratto maggiore vantaggio, senza dimenticare la possibilità di controllare le vittime attraverso le applicazioni di localizzazione basate su GPS. L’e-trafficking si estende dalla pubblicità online delle vittime rese disponibili per i clienti al loro reclutamento, in prevalenza tramite social media. Possono essere ‘selezionate’ dai trafficanti con metodologie di caccia virtuale, hunting, che puntano ad un certo tipo di profili, o adescate, con metodologie di “pesca”, fishing, che utilizzano il più delle volte falsi annunci di lavoro per attrarre persone economicamente e socialmente vulnerabili da trasformare in vittime del loro business.
L’intervento di Save the Children in Italia
Per offrire un sostegno specifico ai minori stranieri reclutati da organizzazioni e reti criminali nei Paesi di origine per essere sfruttati in Italia nel circuito della prostituzione, l’Organizzazione ha attivato dal 2012 il progetto Vie d’Uscita. Oggi il progetto viene realizzato in 6 regioni in partenariato con On the Road nelle Marche e in Abruzzo, con la Comunità dei Giovani Cooperativa Sociale e la Cooperativa Sociale Equality in Veneto, con la Cooperativa Sociale CivicoZero a Roma nel Lazio, con la Congregazione Figlie della Carità San Vincenzo de Paoli in Sardegna, e con PIAM in Piemonte. Il progetto si rivolge a una fascia d’età tra i 12 e i 24 anni, e comprende attività di rintraccio delle vittime, assistenza sanitaria e legale e percorsi di professionalizzazione e accompagnamento all’autonomia. Nel 2020, il progetto ha raggiunto 1.430 beneficiari tra cui 36 minorenni.
Al fine di garantire inclusione ai nuclei composti da mamme ex vittime di tratta e dai loro figli, permettendone l’empowerment, la partecipazione attiva alla vita sociale e riducendo il rischio di re-trafficking, Save the Children ha avviato ad aprile 2021 il progetto Nuovi Percorsi. Il progetto prevede il supporto alla presa in carico integrata di nuclei mamma-bambino in sinergia con il Dipartimento Pari Opportunità, il Numero Verde Anti Tratta, gli enti anti tratta del territorio nazionale e quelli territoriali afferenti al pubblico e al privato sociale. Tale presa in carico integrata mira a dare risposta ai bisogni complessi dettati dalla posizione di ex vittima di sfruttamento, anche alla luce della marginalizzazione ed isolamento aumentati con l’emergenza Covid-19. Nei primi due mesi di attività sono stati raggiunti con l’attivazione di doti e l’avvio di percorsi di orientamento e sostegno 50 nuclei vulnerabili con 69 minori, di cui 49 nati Italia.