L’eredità della pandemia
“TOUCH SCREEN” di Rossella Amato edito da Falzea è una raccolta di racconti che si concentra sulla società moderna. Si vive con il cellulare, si mangia con il cellulare in mano, si dorme con il cellulare accanto e si flirta a suon di emoticons. In questi bellissimi nove racconti, l’autrice mette a nudo la fragilità e il disorientamento della società contemporanea, che alimenta obiettivi narcisisti, cinismo e totale mancanza di sensibilità verso il prossimo.
“TOUCH SCREEN – Vite fuori e dentro lo schermo” nasce durante la pandemia quando la vita reale era ridotta al minimo e quella virtuale era l’unica esistenza possibile – spiega Rossella Amato. L’uomo è al centro dei suoi racconti e l’autrice ne analizza ogni sfaccettatura. Tutte le storie di Rossella Amato scandagliano le paure e le menzogne che i protagonisti non sono in grado di rivelare nemmeno a sé stessi. Costruiamo immagini fasulle di noi che mostriamo agli altri attraverso lo schermo, impoverendoci ogni giorno di più. Non sappiamo più vivere le emozioni vere, rincorriamo desideri “alla moda” e perdiamo la percezione dei valori che si sono tramandati da generazione in generazione.
Messaggio
Il messaggio che “TOUCH SCREEN” di Rossella Amato vuole trasmettere è chiaramente provocatorio: per vivere è necessario uscire allo scoperto, posare il telefono, mostrarsi in carne ed ossa per quello che si è, senza filtri o strategie.
Rossella Amato nasce in provincia di Reggio Calabria nel 1974. Si laurea in giurisprudenza ed esercita la professione di avvocato giuslavorista in più regioni d’Italia e ad oggi continua ad occuparsi di Servizi per il lavoro, per la Regione Sicilia e la Regione Calabria, come consulente.
Nell’ottobre del 2019 pubblica il romanzo di formazione Rosso Dentro con Falco Editore, che si aggiudica diversi riconoscimenti nel panorama letterario nazionale.
Nel 2021 si classifica al primo posto in diversi Concorsi letterari con la raccolta di racconti Touch Screen, con il racconto La Colpa e con il racconto per ragazzi Il viaggio di Arturo.
Abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con l’autrice alla quale abbiamo rivolto qualche domanda sul suo libro e non solo.
“TOUCH SCREEN” il libro di Rossella Amato
I suoi racconti nascono nel periodo della pandemia. All’epoca aveva percepito immediatamente gli aspetti negativi della “connessione”? Secondo lei, aspetti positivi non ce ne sono?
Penso che le connessioni, la rete, le tecnologie siano ormai parti imprescindibili del nostro modo di vivere e che per molti aspetti siano utili: durante la pandemia hanno consentito di continuare a lavorare, entrare in call con colleghi e familiari, frequentare scuole e università seppur virtuali. Però se da un lato la connessione ha annullato le distanze fisiche, dall’altro ha creato distanze umane, interiori, stimolando durante la pandemia rapporti, conoscenze, falsate dallo schermo, prive di contatto reale, di calore, di coraggio anche. “L’amore (se così si può dire) ai tempi del Covid19” è rimasto interrotto, incapace di evolversi, incastrato nello schermo, riducendosi il più delle volte ad essere un gioco che i protagonisti non sanno nemmeno di giocare, un gioco dove di autentico è rimasto ben poco.
A quale dei racconti che ha scritto in questo libro è particolarmente legata? Ce n’è uno in cui narra qualcosa che le sta particolarmente a cuore?
In tutti i racconti vi è comunque il mio sguardo sul mondo ma se proprio devo indicarne, sicuramente nella prima parte, Seicento Giorni, dove Valentina “la ragazza di nessuno e Giulio il ragazzo di tutte” vivono un amore impossibile che li consuma fino a che non trova compimento. Valentina per Giulio è “il cancro della sua gioventù, ciò da cui aveva tentato di salvarsi per anni. O forse ciò di cui avrebbe voluto morire”. Della seconda parte, amo molto No Time, dove per la prima volta ho dato voce ad un protagonista maschile.
Flavio, uomo in carriera, tremendamente solo, del tutto incapace di entrare in contatto con ciò che desidera, finge di essere felice invece vive soffocato dagli impegni fitti della sua agenda che gli danno la sensazione di essere completo. Ma poi basta un messaggio di Arianna, la sua Arianna, a toccare le corde giuste e fargli esplodere dentro tutte le emozioni negate. In No Time, l’amore è una scossa, un risveglio emotivo che salva e travolge insieme.
Lei ha pubblicato nel 2019 il romanzo Rosso Dentro. Con che tipo di scrittura si trova maggiormente a suo agio, racconti o romanzo?
Il romanzo è un viaggio complesso, che merita devozione, cura di intrecci, tempi di posa (mi passi il termine), deve sedimentare, richiede pazienza, perché trasmette di più e più a lungo.
Il racconto invece è un guizzo immediato, un lampo che deve saper colpire in poche pagine. Nel racconto è tutto più veloce, concentrato, assorbente e per questo per me anche più difficile da scrivere. In questo momento storico, così frenetico, ho sentito maggiormente l’esigenza di scrivere racconti, pur senza abbandonare l’idea di ripubblicare Rosso Dentro e completare un secondo romanzo.
Mi è piaciuto molto il racconto il difetto, che si chiude in modo particolarmente drammatico. Possiamo anticipare brevemente ai lettori qual è stato il messaggio che ha voluto lanciare con questa storia?
Il difetto è il racconto più sofferto, scritto in una notte, voleva uscire con insistenza. Il messaggio è purtroppo quanto mai attuale: il protagonista maschile vive narcisisticamente, proietta tutte le sue energie sull’ affermazione lavorativa, ritrovandosi alla fine a fare i conti con una solitudine e una sofferenza che non è capace di gestire. Filippo nel Difetto è il simbolo della fragilità maschile, una condizione che la società tende a rinnegare, educando gli uomini all’affermazione del se esteriore e non alla conoscenza della propria interiorità. Filippo è la proiezione di un benessere esterno, della forza, dell’instancabilità fugaci come la gioventù, lui incarna il vincente per eccellenza. Un vincente che però alla fine non vince.
Qual è stata la base da cui ha attinto e che ha ispirato i suoi racconti?
I racconti, è bene chiarirlo, non trasportano sulla carta storie vere, tanto meno autobiografiche. In tanti me lo chiedono: non esiste una Lara, un Mark, un Filippo, una Carol. Esistono tanti aspetti di questi personaggi in ognuno di noi, vicende che mescolate insieme viaggiano nella medesima direzione e su due binari: uno è il concetto di malattia in senso lato, che colpisce trasversalmente e l’altro il concetto di una solitudine profonda indotta dalla frenesia della connessione.
Alcuni personaggi, come la Bella di Castellone, appartengono al mio vissuto, altri sono una sapiente miscela di racconti ispirati a percorsi reali di psicoterapia che ho approfondito, rimodulati in funzione del messaggio a cui erano destinati.