(Adnkronos) – Una buona notizia. Almeno per chi è abituato a pagare le tasse e vive con un senso di comprensibile frustrazione il dilagare dell’evasione fiscale. Il ritorno del redditometro è invece una cattiva notizia per chi è abituato a nascondere al fisco quello che guadagna. Per sei anni, dal 2018 a oggi, uno degli strumenti più temuti, che serve a incrociare quello che si ricava dal lavoro o dalle attività con quello che effettivamente si spende, è stato sostanzialmente dimenticato.
Oggi, con un decreto ministeriale pubblicato in Gazzetta ufficiale, viene riattivato a partire dai redditi 2016 (anche se considerando le decadenze maturate sarà in realtà possibile risalire al 2018). E’ un passo forse impopolare ma significativo, se si vuole provare a limitare gli effetti dell’elusione e dell’evasione, applicando il principio base dell’equità fiscale.
Il decreto Dignità, governo Conte I ‘gialloverde’, aveva sospeso lo strumento a luglio 2018. Oggi è pronto a ripartire per effetto delle novità contenute nel decreto MEF del 7 maggio, pubblicato in Gazzetta Ufficiale di lunedì 20. Cosa prevede? Indica gli elementi che concorrono a determinare la capacità contributiva, che è la somma di spese sostenute e risparmi, che diventano la base per la determinazione del reddito del contribuente.
Funziona come una spia che si accende. In estrema sintesi, quando le spese sostenute risultano superiori al reddito dichiarato, possono scattare i controlli dell’Agenzia delle Entrate. Non si tratta però di un calcolo matematico e di un’equazione certa.
Il decreto MEF specifica che in sede di accertamento il contribuente potrà dimostrare di aver finanziato le spese con redditi diversi rispetto a quelli posseduti nel periodo d’imposta, esenti o esclusi legalmente dalla formazione della base imponibile.
Quali parametri vengono considerati? Consumi, Investimenti, Risparmio e Spese per trasferimenti sono le 4 categorie utilizzabili per i controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate. Quindi, come dettagliato nella tabella che accompagna il decreto, spese per alimenti e bevande e per l’abbigliamento, ma anche il mutuo, l’affitto e le utenze o i lavori di manutenzione, così come per bollo auto, assicurazioni o pezzi di ricambio.
Dentro anche le spese per le medicine e le visite mediche, oltre alle tasse e contributi versati e i pagamenti per l’assegno all’ex coniuge. (Di Fabio Insenga)
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