Thomas Sankara vive a pieno diritto nel pantheon dei grandi lideres africani e anticolonialisti assassinati, come Patrice Lumumba, Amilcar Cabral e Ruben Nyobè, tutti votati a costruire le basi sociali ed economiche di un’Africa libera da vecchi e nuovi colonialismi, colpevoli entrambi di continuare a sfruttare le risorse del continente africano, condannando le popolazioni locali a un’endemica miseria.
Sankara nasce il 21 dicembre 1949 a Kaya, nel nord dell’Alto Volta – allora colonia francese che diventerà indipendente il 5 agosto del 1960 – da una famiglia numerosa e con scarse possibilità economiche. Nonostante questo il padre, impiegato nell’ammministrazione coloniale, gli garantisce una buona istruzione facendogli intraprendere la carriera militare nell’esercito. Durante la frequenza dell’Accademia militare in Madagascar, entra in contatto con l’ideologia marxista che gli proporziona strumenti d’analisi e strategie per la soluzione di quelli che per lui sono i dolorosi e gravi problemi del suo paese. In quel periodo conosce anche un altro ufficiale Blaise Compaoré, al quale lo legheranno lunghi anni di amicizia, che ha un ruolo molto importante nella sua ascesa e nella sua morte.
Tra il 1981 e il 1983 partecipa ad alcune attività politiche in governi dei quali denuncia ben presto la corruzione e le ingiustizie, fino ad essere imprigionato.
Con un’alleanza tra militari e forze popolari arriva al potere il 4 agosto del 1983.
Nel 1987 iniziano a serpeggiare i dissidi e i malcontenti fra i capi storici della rivoluzione.
Il 15 ottobre 1987 Sankara con dodici collaboratori viene assassinato in un colpo di stato ordito dal suo vice Blaisé Compaoré, con l’appoggio della Francia, il quale assume la presidenza e reprime le proteste con diversi morti. Finisce così il sogno “sankarista” e la speranza di un popolo.
L’Alto Volta, ribattezzato poi da Sankara stesso, divenuto Presidente del suo Paese, col nome di Burkina Faso, che in lingua burkinabé significa “la terra degli uomini integri”; (con questo nuovo nome voleva affermare il rifiuto dell’epoca coloniale e la necessità di forti istanze moralizzatrici nella gestione del potere) era un paese estremamente povero, con un tasso di analfabetismo pari al 98%, una mortalità infantile altissima e un’aspettativa di vita media non superiore ai 40 anni. L’economia rurale del paese non poteva sfamarne gli abitanti dediti per l’85% all’agricoltura. Inoltre la situazione politica fragile e insicura era gestita da una classe dirigente corrotta e inadeguata alla costruzione di istituzioni statali solide e in grado di governare il paese nel difficile processo di decolonizzazione. Nonostante la sua presidenza sia stata breve, interrotta dalla violenza della sua morte, Sankara è stato un potente faro di speranza non solo per il suo paese ma per tutta l’Africa che ancora oggi guarda ai cambi importanti che si produssero nella Burkina-Faso di quegli anni.
L’intero continente vide in lui, giovane statista, non solo un lider carismatico ma anche un autentico riformatore, un uomo integerrimo, pragmatico, capace di calare i sogni e le aspettative comuni in concrete azioni di rinnovamento e giustizia.
Tra le sue importanti riforme dal 1983 al 1987 troviamo:
– ruolo paritario dato alle donne nella società e nella vita politica del paese
– divieto dell’ l’infibulazione e della poligamia
– rifiuto di pagare il debito internazionale,
Le ragioni di questo rifiuto, secondo la concezione panafricanista, sulla scia di importanti figure come Lumumba e Nkrumah, le esprime in modo inconfutabile nel 1986, in un famoso discorso pronunciato al Vertice dell’Organizzazione per l’Unità africana (Oua) svoltosi ad Addis Abeba:
“Il problema del debito va analizzato prima di tutto partendo dalle sue origini. Quelli che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzati, sono gli stessi che hanno per tanto tempo gestito i nostri stati e le nostre economie; essi hanno indebitato l’Africa presso i donatori di fondi. Noi siamo estranei alla creazione di questo debito, dunque non dobbiamo pagarlo” e ancora “Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché, se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, possiamo esserne certi; invece, se paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi. Quelli che ci hanno portato all’indebitamento hanno giocato, come al casinò: finché ci guadagnavano, andava tutto bene; adesso che hanno perduto al gioco, esigono che li rimborsiamo. Signor presidente, diciamo: hanno giocato; hanno perso; è la regola del gioco; e la vita continua”.
In politica interna porta avanti come obiettivi importanti:
– miglioramento delle condizioni di vita della popolazione
– riduzione della dipendenza economica dagli Stati esteri
– lotta alla corruzione della classe politica
– massiccia campagna di vaccinazione contro la mortalità infantile che diminuisce sensibilmente in pochi anni
– costruzione di strutture sanitarie nei villaggi al fine di sensibilizzare la popolazione all’adozione di salutari norme igieniche.
– diffusione di sistemi contraccettivi per evitare il dilagare dell’AIDS, in forte anticipo rispetto all’epoca
Con l’intento di raggiungere l’autosufficienza alimentare del paese, attua inoltre una razionalizzazione delle politiche agricole e una riforma agraria che riorganizza in modo efficiente e produttivo il lavoro dei campi.
Preoccupato per lo spaventoso divario tra le condizioni di vita della classe politica e il resto della popolazionene, “Non possiamo essere la classe dirigente ricca di un paese povero”, (viveva in una semplice casa di tre vani ed accessori con moglie e figli) di conseguenza taglia gli stipendi ai dirigenti, elimina le costosissime Mercedes di rappresentanza sostituendole con più modeste Renault 5, obbliga tutti i rappresentanti del governo a viaggiare in classe turistica.
Le scelte del suo governo, i passi nella costruzione di una società giusta, lo esaltano agli occhi della sua gente che lo vede come “il Che Guevara africano”, “il presidente ribelle” capace di realizzare l’impossibile, ma nello stesso tempo le sue idee progressiste e terzomondiste lo additano alle forze conservatrici, agli interessi della Francia, ai suoi concittadini i cui previlegi sono stati cancellati, come il nemico da abbattere.
Thomas Sankara riesce in poco più di quattro anni e mezzo a portare avanti nel suo paese un’opera titanica di risanamento persino laddove pareva impossibile, ossia nella macroeconomia, dimezzando il tasso di povertà del suo paese in meno di un lustro. Pur di religione cristiana, richiama le alte sfere delle religioni monoteistiche a un maggior rispetto delle religioni ancestrali burkinabè ed africane in generale. Con totale onestà intellettuale, marxista eterodosso e gramsciano, si distacca dallo statalismo sovietico e dei paesi dell’est.
Pochi giorni prima di essere assassinato in un memorabile discorso all’Onu difende ancora una volta le sue idee, affermando che se lo avessero lascitato solo in quella battaglia, l’anno seguente non sarebbe stato lì a rappresentare il proprio paese e così fu.
In un’intervista, rilasciata 15 giorni prima della sua morte a un giornale belga, gli chiedono delle voci su un possibile complotto contro di lui, a questo risponde che l’unico capace di ucciderlo è Blaise Compaoré, perché lo conosce meglio di chiunque altro.
Thomas Sankara ha trasmesso non solo a tutti i suoi connazionali ma all’Africa intera l’entusiasmo e la fiducia in un cambiamento portato avanti attraverso una rivoluzione pacifica, filantropica ed umanista, diventata un “cattivo esempio” per i paesi limitrofi, tanto che i servizi segreti statunitensi, francesi e libici si alleano al fine di assassinarlo. Le loro precise responsbilità sono riconosciute ma non ancora punite.