È stato un successo di pubblico il summit annuale delle Tlc organizzato da CorCom e Digital360 Group il 14 giugno presso la sala congressi “Roma Eventi” a Piazza di Spagna. Oltre 500 partecipanti hanno affollato la sala, dimostrando il grande interesse che il tema riveste in ambito produttivo, economico e sociale. Ma è il futuro che preoccupa maggiormente. Qual è l’andamento delle Tlc in Italia e la sua posizione rispetto agli altri paesi della Comunità europea? Una serie di interventi e tavole rotonde interessantissimi e sapientemente eterogenei, moderati dal Direttore del CorCom, Gildo Campesato e da Mila Fiordalisi, codirettore di CorCom, hanno permesso ai partecipanti di avere un quadro complessivo sull’andamento delle Tlc dal punto di vista dei Vendor, della politica, degli Operatori telefonici e dell’antitrust.
La trasformazione digitale è un target comune a tutti gli attori coinvolti nel mondo delle telecomunicazioni. Il digitale è il futuro senza il quale si resta indietro. E’ la società che lo richiede: le aziende, la sanità, la pubblica amministrazione, le strutture deputate alla formazione chiedono di essere preparate al futuro. I numeri però non sono di conforto e l’Italia sembra non stare al passo con i tempi. Come illustrato da Andrea Rangone, CEO di Digital360, negli ultimi 10 anni il settore delle Telecomunicazioni in Italia ha registrato una perdita del 26% del suo valore di fatturato con una contrazione dei prezzi del 43%; è solo dal 2015 che il settore comincia a non perdere più valore e a far intravedere una lenta ripresa. Ripresa che ci può essere innanzitutto se si provvede a stimolare la consapevolezza nella nostra nuova classe politica che quello delle telecomunicazioni è un settore strategico da tutelare perché è un trampolino verso futuro. E il futuro si chiama quarta rivoluzione industriale, 5G e ultrabroadband.
Il settore delle telecomunicazioni è il settore infrastrutturale che abilita alla quarta rivoluzione industriale e a quella digitale in atto in questo momento, pertanto, continua Andrea Rangone, quando si parla di big data, intelligenza artificiale, cloud, mobile busines e internet delle cose , bisogna incominciare a parlare di Telco-based economy perché si tratta di comparti delle Telco. Così facendo anche gli operatori telefonici entrano nell’ordine delle idee che assumono un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo digitale che non è appannaggio esclusivo degli Over the Top. Una volta che gli operatori hanno preso consapevolezza del proprio ruolo chiave nell’economia digitale, è necessario che gli stessi si trasformino, cambiando culturalmente la propria idea di business. Ma che in che modo? Continuando a puntare sempre sulla qualità delle proprie infrastrutture, sostiene Andrea Rangone, ma contestualmente adattandosi ai tempi che cambiano, sfruttando le possibilità che questo tipo di economia offre e aggredendo il mercato anche attraverso partnership e alleanze strategiche.
Alla tavola rotonda degli operatori Telco, il focus è sul futuro e su come i singoli operatori si stiano preparando per affrontare al meglio l’enorme rivoluzione che ci attende nell’immediato futuro. Sì, perché il futuro in realtà lo stiamo già vivendo come sostiene Federico Protto, AD di Retelit: l’innovazione è già arrivata, non è qualcosa che arriverà; oggi le nostre imprese si trovano a competere globalmente e la digitalizzazione non è qualcosa che arriverà e che sarà un fattore di competitività, perché lo è già oggi. Noi come azienda abbiamo sviluppato dei modelli innovativi per stimolare la domanda. Il nostro compito è stimolare l’offerta basata su infrastruttura cioè proporre al mondo delle nostre imprese modelli innovativi per fare business con le tecnologie digitali. Noi siamo un operatore in fibra quindi spingiamo l’utilizzo della stessa.
Tutti concordano all’unanimità sulla necessità di innovazione e di fibra. L’Innovazione passa innanzitutto per l’adeguamento infrastrutturale come sostiene Sabrina Casalta, Direttore Strategy di Vodafone Italia. Un adeguamento di questo tipo è necessario per far fronte alle nuove sfide sia sul mercato mobile sia su quello fisso e per soddisfare le esigenze non solo della clientela residenziale ma anche, e soprattutto, dell’’ecosistema aziendale. L’innovazione presuppone un adeguamento delle attuali infrastrutture verso infrastrutture di nuova generazione come la fibra ottica fino a casa del cliente che permette di garantire una maggiore stabilità. L’adeguamento infrastrutturale rappresenta un volano di crescita per nuovi modelli di business come l’internet delle cose e quindi di un ecosistema che si evolve sempre di più verso una realtà iperconnessa dove non saranno più le persone a comunicare tra loro ma le persone e gli oggetti. Vodafone in questo contesto ha puntato sull’innovazione e sull’investimento, aggregando partner e promuovendo un investimento complessivo di circa 90 milioni di euro che permetterà all’Azienda di mettere in campo gli applicativi del 5G con 41 scenari applicativi differenti che abbracciano settori diversi come quello automobilistico , dell’educazione, dell’intrattenimento, delle smart cities fino all’ ambito sanitario.
E sull’investimento ha puntato anche Wind3 che ha affrontato l’innovazione come una necessità, mettendo in piedi una storica fusione per l’azienda tra due importanti realtà al fine di fronteggiare il nuovo mercato con una infrastruttura più competitiva e adatta alle nuove esigenze di mercato. La trasformazione dell’azienda è stata completa, abbiamo trasformato tutto, ha detto Stefano Takacs, Direttore Network Engeneering di Wind3, dall’organizzazione, alla rete, alle piattaforme. La grandissima opportunità di mettere insieme le due reti (quella di wind e quella di tre) ottenendone una nuova con capacità molto superiori ad entrambe le reti precedenti, sta comportando un fortissimo investimento e un coinvolgimento di terze parti molto importante e che ci porterà presto ad avere una rete a 4,5 G. Per fare tutto questo (e di più), ci vuole tanta fibra e Takacs lo ribadisce: noi abbiamo bisogno di fibra sui siti, non solo per la capacità richiesta ma anche per lo sviluppo del 5G. Abbiamo un piano di sviluppo di circa 12 mila nuove fibre sui siti ma la sola fibra non ci basta e dobbiamo anche chiuderla in architettura ad anello per fa sì di poter utilizzare le future architetture di Cloud RAN che arriveranno con il 5G cioè la possibilità di consolidare in piccoli data center la banda base della parte radio. In merito allo sviluppo dei servizi abilitanti, in particolare ai cosiddetti servizi digitali, Stefano Takacs afferma che la Società sta rifacendo la propria piattaforma IT che abiliterà a tutti i servizi digitali in modo da poter utilizzare qualunque servizio, anche di gestione dei nostri clienti non solo attraverso internet ma anche in mobilità attraverso gli smartphone.
La fibra è vitale quindi per fronteggiare la nuova era, e chi più di Open Fiber può parlare di fibra. Francesco Nonno, Direttore Regolamentazione dell’azienda, ci ha tenuto a specificare che il progetto della realizzazione di una rete in fibra è nato con l’intento di accompagnare il paese ad una infrastruttura forte e abilitante a tutta una gamma di servizi. Grazie all’utilizzo di infrastrutture esistenti, l’Azienda ha potuto abbattere i costi di realizzazione delle nuove infrastrutture, utilizzando ad esempio quelle di tipo elettrico dove è possibile inserire delle fibre ottiche senza nessuna interferenza di segnale. In questo modo, dice Francesco Nonno, abbiamo avuto la possibilità di progettare una rete nuova. Siamo una strat up, continua il Direttore di Open Fiber, l’Azienda è nata del 2016, e nel primo anno di attività abbiamo raddoppiato la copertura che Metroweb aveva realizzato in tutti gli anni precedenti. Quest’anno puntiamo ad un ulteriore raddoppio della copertura, a fine 2017 avevamo raggiunto circa 230 mila clienti. Prevediamo dei forti investimenti che si configurano come il più grande investimento in fibra ottica mai realizzato in Italia. Parliamo quindi di una operazione che ha una dimensione non solo nazionale ma che auspica a coprire in futuro le ulteriori zone del paese che in questo momento non sono raggiunte né da noi né da altri.
Nel caso di TIM invece, l’impulso agli investimenti e all’innovazione parte da una sana autocritica. E’ quanto sottolinea il Direttore Strategy, Innovation & Customer Experience, Mario di Mauro, specificando che l’opportunità mancata per le telco negli anni 2007-2017, è stato un momento per fare autocritica a partire dalla quale si è adoperato personalmente per dare impulso agli investimenti e all’innovazione all’interno dell’azienda. Nel piano strategico di TIM si punta su modelli di business sostenibili con investimenti pensati a lungo termine, nella misura dei 10 anni e che dovranno essere sostenibili per la prossima ondata della gigabit society ossia per la società delle connessioni e interconnessioni ultraveloci. Parlando delle reti ultrabroadband Mario di Mauro dice: abbiamo investito 4 miliardi l’anno scorso, investiremo 9 miliardi nei prossimi 3 anni, abbiamo investito 3 miliardi quest’anno. Anche TIM crede nel 5G ma il 4G deve essere ancora ammortizzato e con il 50% di penetrazione della domanda in Italia dell’LTE non ci siamo ancora e allora l’autocritica la dobbiamo fare a livello di sistema. L’ottimismo c’è ma parte da una profonda autocritica che nasce da un sano realismo, bisogna avere la capacità di innovare. Come TIM l’innovazione passa dalle tecnologie, infatti abbiamo il 98% di copertura LTE e 78% di copertura ultra broadband sul fisso).Inoltre, abbiamo cercato di innovare sulla Governance favorendo l’arrivo dell’organo di vigilanza, e abbiamo lanciato il progetto NetCo che ho avuto il privilegio di guidare: è un approccio coraggioso di TIM verso la soluzione di sistema, il nostro è un contributo al sistema.
Il futuro della banda ultralarga è stato invece il focus di Lisa di Feliciantonio, Head, Media Relations & Public Affairs di Fastweb che nel suo intervento alla tavola rotonda, ha sottolineato la necessità di concentrarsi non sul trend negativo che ha affrontato il settore negli ultimi anni ma sugli obiettivi. Il gap infrastrutturale degli anni precedenti, dice Lisa di Feliciantonio, ormai possiamo dire che non c’è più; stiamo perdendo di vista il vero obiettivo che è costituito dalle adoption ossia l’utilizzo avanzato di internet da parte delle famiglie e da parte delle imprese. La vera questione è la penetrazione della banda ultralarga. Noi siamo ancora alla banda larga e c’è quasi la metà delle famiglie italiane che non sente l’esigenza di avere una linea fissa. C’è un miglioramento anche qui, ma siamo comunque sempre molto indietro. Siamo il paese che usa meno il banking, l’on demand, l’e-commerce.
Unico esponente al tavolo del fixed wireless, ma comunque una voce nel coro, è stato Eolo. La società è nata nel 2006 e, come ha detto il suo AD Luca Spada, è nata con la mission di portare connettività veloce nei territori definiti digital divide cioè quelle zone escluse in toto o in parte dall’accesso ad internet, zone equiparabili alle ex aree bianche della banda larga. In questi 10 anni, dice Luca Spada, anche grazie ad una carenza degli investimenti da parte dell’ex incumbent in alcuni territori e dalla mancanza da parte dello Stato di interventi, ci siamo sviluppati e abbiamo creato questa rete completamente infrastrutturata e indipendente, la fixed wireless appunto, che, attraverso l’installazione di una piccola antenna sul tetto dell’impresa e delle famiglie, porta una connettività veloce. Eolo aspetta come la manna dal cielo l’arrivo di Open Fiber perché la fibra ottica è un fattore determinante per introdurre un salto qualitativo e di cambiamento anche nelle reti FWA. Oggi, sostiene Spada, uno dei nostri più grandi limiti è l’incrementare la velocità e la mancanza di fibra ottica a livello di backbone; in un certo numero di casi riusciamo noi a fare l’investimento ma più si va dentro il territorio più è fondamentale l’intervento di Open Fiber affinché arrivi con la fibra alle torri e poi consenta agli operatori FWA di accendere la rete oppure, nel caso in cui siano già presenti, di abilitarli a servizi più veloci.
La voglia delle Telco di stare al passo con i tempi quindi c’è; lo sforzo nel migliorare le proprie infrastrutture per consentire alla società e alle aziende di rispondere alle esigenze del futuro, anche; la propensione ad importanti investimenti per consentire lo sviluppo di servizi abilitanti come quelli digitali, pure. E allora cosa manca? Al solito, manca che si pronunci la politica con una concreta trasformazione del diritto, con nuove regole e con il coinvolgimento necessario degli altri Paesi Europei.