Superata la fase dell’emergenza sanitaria, inizierà quella – lunga – della ricostruzione. Sociale, di un paese distrutto dalla tragedia vissuta, ed economica perché gli strascichi lasciati dalla crisi saranno pesantissimi: il 2020 potrebbe chiudersi con oltre 80 miliardi di consumi in meno e un Pil in caduta del 9%, stando alle stime di Confesercenti, che analizza come le imprese italiane siano ormai senza liquidità.
Anche Confcommercio manifesta una forte preoccupazione per il presente, per la fase della perdita di profitti dovuta alle chiusure forzate e al calo del potere di acquisto che colpirà le famiglie in seguito a licenziamenti e cassa integrazione. Secondo l’ultimo studio, il totale della spesa privata del 2020 sarà decisamente inferiore rispetto a quello dell’anno scorso (-6,8%) e la ricomposizione del paniere penalizzerà vari capitoli di spesa, quali l’abbigliamento, i trasporti, i servizi ricreativi e di cultura, i servizi ricettivi e di ristorazione.
Cosa ci sarà dopo l’emergenza?
Guardare ai numeri fa decisamente paura. Secondo un sondaggio SWG per Confesercenti, il 44% degli intervistati non esclude la possibilità di non riaprire più. Ma ci sono anche molte piccole e piccolissime imprese che nel momento più difficile dal secondo dopoguerra stanno provando a reinventarsi. Alcune realtà del commercio lo fanno perché per decreto sono rimaste aperte, altre sfruttano il lockdown per fermarsi a riflettere. Secondo lo stesso studio, infatti, il 56% dei commercianti è sicuro di rialzare la serranda e molti di loro si stanno attrezzando per farlo.
Lo dimostrano anche i numeri di Credimi: una richiesta di finanziamento su due arriva da Pmi che oggi sono costrette a restare chiuse. E le domande arrivano in particolare dalle categorie di servizi e del commercio al dettaglio – due tra quelle più colpite da questa crisi. Quindi molte imprese fanno richiesta di finanziamento per far fronte all’urgente bisogno di liquidità, ma va sottolineato che altrettante chiedono un prestito per farsi trovare pronte alla ripresa. Non è un caso, infatti, che il 41% degli applicant siano azie
Sembrerebbe che molte imprese, in particolare i piccoli negozianti, abbiano compreso che in questa fase è cruciale ripensare completamente il proprio modello di business: dopo il Covid-19, nulla sarà più come prima. Le abitudini dei consumatori stanno cambiando radicalmente e la svolta verso gli acquisti online sperimentata in questa emergenza avrà delle lunghe code. Difficilmente si tornerà indietro. Soprattutto quando il cambiamento si concentra sui due assi della tecnologia digitale e della logistica: due certezze (o presunte tali) che da subito hanno mostrato tutte le crepe di un paese ancora arretrato. Per questo i pilastri sui cui ricostruire l’ossatura del commercio non possono che essere digitale e logistica, oltre che ovviamente sicurezza sanitaria.
Il rafforzamento dell’e-commerce
Come era prevedibile, Nielsen ha registrato un’impennata delle vendite di prodotti di largo consumo online: tra il 17 e il 23 febbraio del 56,8%, tra il 9 e il 17 marzo del 97,2%. La paura del contagio e le lunghissime file davanti ai supermercati hanno convinto gli italiani a provare la spesa online. Ma l’infrastruttura non ha retto: le grandi catene della distribuzione organizzata sono storicamente in ritardo e persino Amazon ha faticato a tener testa all’esplosione della domanda. Paradossalmente, a beneficiare della situazione sono stati i piccoli negozi, sebbene molti di loro, prima di questa crisi, non avessero neppure un sito web!
Molti piccoli commercianti hanno cercato di riorganizzarsi in fretta, forti anche del supporto di nuovi servizi ad hoc nati in queste settimane per rispondere alle necessità del momento, servizi che con tutta probabilità delineeranno un nuovo modello di acquisto “di prossimità”. Come ad esempio i due marketplace iocomproacasa.it e
Tecnologia digitale e logistica per minori sprechi e acquisti mirati
È evidente che l’adozione della tecnologia ad ogni livello non sarà più una libera opzione, ma una necessità per tutti: per piccoli business del commercio al dettaglio, ma anche per tappare le falle delle grandi aziende, compresi ipermercati e supermercati. Probabilmente, le prime vittime di questo new deal saranno i contanti: per pagare online, così come per ridurre i contatti e le code crescerà l’uso di nuovi sistemi di pagamento, soprattutto app e contactless.
Non si tratta soltanto di riorganizzare la distribuzione. Bisognerà ripensare anche gli ambienti e limitare il numero massimo di persone per superficie quadrata. Ripensare a come distribuire le proprie risorse, come colmare le perdite dovute al calo di persone fisiche presenti all’interno dell’esercizio commerciale, come evitare gli sprechi e alimentare nuove opportunità di mercato. Uno sforzo non banale perché, per esempio, i negozi di alimentari saranno chiamati a ottimizzare gli stock per limitare gli sprechi; mentre nel caso dell’abbigliamento sarà cruciale il ruolo del buyer nella selezione degli articoli: con meno spazio a disposizione, il margine d’errore si riduce enormemente.
I protocolli igienico sanitari della fase 2
A fine emergenza, accanto ad una naturale tendenza a prestare maggiore attenzione all’igiene, alla sanificazione degli ambienti e degli scaffali, sarà necessario intervenire con protocolli igienico sanitari in tema salute e sicurezza ad hoc. Basti pensare alle profumerie e quante superficie è possibile toccare: Sephora in Cina si è già mobilitata per la produzione di materiale sterile monouso da utilizzare sui clienti nelle prove make-up e cosmetici, ma non tutti i negozi avranno la possibilità di adeguarsi così velocemente a tutte le nuove regole che verranno imposte. Iniziare a ragionare oggi in ottica futura è fondamentale: non farlo potrebbe tardare l’apertura del negozio, o peggio, decretarne la chiusura per chi non potesse permettersi i lavori d’adeguamento.
Purtroppo, nessuno ha la sfera di cristallo per sapere come davvero sarà il mondo che ci aspetta finita l’emergenza. Non sappiamo se e quando verrà trovata una cura o un vaccino, che potrebbero aiutare a ritrovare la “normalità” delle nostre azioni quotidiane. Ma di certo, in ogni scenario possibile, gli investimenti in questi settori non possono essere rimandati.