Ero già sotto l’arco dell’ingresso del castello. Avevo avuto, al solito, qualche difficoltà nel parcheggiare. Ero convinto di dare un’occhiata e scappare,…troppo caldo! Una giornata per me difficile!
M’ero scordato, però, di quei sbuffi, di quella frescura che s’origina sempre negli grandi ambienti, alti come navate gotiche ma di tufo, vecchi luoghi che lasciano inimmaginabili fessure, stretti e segreti deambuli, fenestrelle strombate, profondi intercapedini naturali della roccia che generano girandole di polvere sul battuto del pavimento e piacevoli soffi, come respiri di enormi creature viventi.
Avevo lasciato la linea accecante di sole sull’ingresso e penetrato – in un battere di palpebre – nel nero denso dell’ombra sproporzionata della prima sala. A stento ripresi lento l’acuità della vista. Non m’ero accorto di aver fatto dei passi e ch’ero già davanti al totem del manifesto della mostra:
“LE STANZE DI TATO RUSSO – gli anni del coraggio – MOSTRA in CASTEL DELL’OVO, dal 14 Giugno al 28 Luglio”.
Le STANZE raccontano di lui, di Tato e dell’arte del suo teatro,…raccontano dell’UOMO, del “SOGNATORE” del “TEATRO” che vuol dire, dell’attore, dello scrittore, del saggista, del regista, ma soprattutto dell’ideatore, del provocatore culturale e istigatore di mille polemiche intorno al concetto di arte, sperimentale, sociale e popolare, ma rispettosa del passato ma anche con quella della contemporaneità.
Le STANZE sono percorsi emozionali, sogni, memorie lontane fantasmi che in questo luogo vissero.
Nella STANZA DEI LIBRI arrivavano a lui, come arpie della follia, le idee dei suoi “visionari” spettacoli che avrebbe poi, messo in scena. Capolavori che prendevano forma e vita nelle straordinarie scenografie, scoperte in un altro largo camerone, realizzati con dei “plastici”, dove, su forme evocanti, secondo la mia percezione, l’antico ‘600, prevalevano il bruno il grigio, i rossi improvvisi.
In questo luogo, tra queste mura, dietro i suoi cancelli alti e minacciosi, si sono arrestate tenue e fosche apparenze e misteriose creaturelle gementi per la propria anima sospesa, carcerata e torturata da mostri della mente e sorgenti dalle infartuate stregnatoie della città d’un tempo, i fondaci, i vascio, i larghi pianerottoli su spiazzi enormi di cortili interni verdeggianti di muffa dove forse calavano divinità alate.
Quel mondo oscuro, impaurante e rievocante i de Ribera, i Micco Spadaro, ribelle e sovvertitore dell’aulico cattolicesimo, ma anche Contro la Riforma, dunque quello di streghe da bruciar vive, di scongiuri, di martiri e sangui, di donne monache e imbriane, di presenzemisteriose, munacielli e spiritelli di anime vaganti pezzentelle, ebbene, quel pulviscolo e i suoni simili al De Simone ho respirato. Discendendo la rampa, ho incrociato l’adunco naso, lungo e stretto tra due occhi infuocati d’uno sguardo obliquo,… uno jettatore. Mentre questi due mondi si contrastavano, e i Protestanti cedevano il passo al greco, il “classicismo”, primeggiava, nel cupo barocco napoletano, quello verista, quello del Caravaggio, irregolare e arbitrario. Quello contro i pregiudizi della coscienza.
E’ stato, infatti, classico ma, ancor più, verista l’anima e la natura di Tato Russo. Realistiche le scelte e riscritture e i recuperi di Shakespeare, Pirandello o Brecht. Classico, forse lo era ma come lo è stato ora Picasso, il dadaista Duchamp , Dalì o il writer Banksy, socialmente iconoclasta.
Io questo ho visto!
La Mostra è stata anche sottotitolata “ gli anni del coraggio”. Quelli degli scafi blu, di Cutolo, delle Brigate Rosse, delle stragi di Stato, di Falcone e Borsellino Mani Pulite della new- economy, del digitale e lui creava idee dalle macerie.