(Adnkronos) – Lo ‘status quo’ in una regione dove non mancano le tensioni. La geopolitica dell’Indo-Pacifico. L’ombra della Cina. I rapporti con gli Usa. I microchip, i semiconduttori. Sabato prossimo a Taiwan si vota per le elezioni presidenziali, le ottave dirette nella storia dell’isola, e per il rinnovo dello Yuan Legislativo. In ballo c’è molto di più della successione alla presidente Tsai Ing-wen e di un seggio al Parlamento monocamerale. I risultati, ha scritto l’Economist, potrebbero chiarire se la politica può ancora risolvere la “questione di Taiwan” o se solo la forza possa costringere l’isola a sottomettersi al dominio del Partito comunista cinese.
La Cina “intensifica la minaccia militare” e “tenta di far passare l’idea che queste elezioni siano una scelta tra guerra e rallentamento della crescita”, in caso di trionfo di William Lai e del Partito democratico progressista (Dpp), “o pace e prosperità”, in caso di vittoria di Hou Yu-Ih e del Kuomintang (Kmt), ha detto in una recente intervista a Le Monde il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, denunciando “un’ingerenza cinese sempre più sofisticata”.
Pechino considera Taiwan, isola di fatto indipendente con 23 milioni di abitanti e un pugno di alleati nel mondo, una “provincia ribelle” da “riunificare”. L’assertività del Dragone preoccupa sempre più. Taipei rivendica il suo essere “Paese democratico”, il “sistema costituzionale”, denuncia “intimidazioni” e “pressioni” da parte di Pechino.
La “riunificazione” è “inevitabile”, ha rimarcato nel suo ultimo discorso pubblico il leader cinese Xi Jinping, dal 2012 segretario generale del Partito comunista, un partito-Stato con più di 98 milioni di membri, al vertice della Commissione militare centrale e presidente della Cina dal 2013, che concentra sulla sua persona tanti poteri quanti mai ne aveva avuti un leader prima di lui nella Repubblica Popolare.
Passati 32 anni dal 1992, da quando Taipei e Pechino concordano l’esistenza di “un’unica Cina” (il cosiddetto ‘Consenso del 1992’), è in questo contesto che per Pechino Joseph Wu, ministro del Dpp – il partito della presidente Tsai Ing-wen che non può presentarsi al voto per un terzo mandato – è un “irriducibile dell’indipendentismo”. L’accusa mossa alla Repubblica Popolare è di una “guerra ibrida, una guerra cognitiva fatta di disinformazione, attacchi informatici e incursioni oltre che pressioni economiche”.
Negli ultimi mesi la Cina, ha sintetizzato Politico dopo l’ultimo discorso di Xi, ha inasprito sempre più la sua retorica su Taiwan e ha intensificato le pressioni militari sull’isola con esercitazioni militari effettuate su base regolare. Non ha mancato di mostrare le sue ire, quelle che vengono sempre scatenate dagli aiuti militari assicurati a Taiwan dagli Usa (le relazioni sino-americane si sono basate negli ultimi 50 anni sul principio di “un’unica Cina” e gli Stati Uniti sono impegnati a sostenere le capacità di difesa della vecchia Formosa).
Constatazioni, quelle di Politico, in linea con le parole di un funzionario di alto livello della sicurezza di Taiwan citato dalla Cnn che a inizio dicembre denunciava un aumento delle ingerenze di Pechino nelle prossime elezioni.
La fonte della rete americana parlava di una riunione con l’esortazione ai funzionari a essere più efficaci e discreti nel loro lavoro, un incontro per coordinare le attività di diversi dipartimenti nell’intento – diceva la fonte sulla base di informazioni raccolte dall’intelligence taiwanese – di influenzare il voto. Veniva fatto il nome di Wang Huning, l’ideologo del Partito comunista cinese e responsabile per gli Affari di Taiwan.
A testimonianza del clima che si respira c’è stato il caso dei Mayday, i ‘Beatles d’Asia’.
Pechino è stata costretta nei giorni scorsi a smentire i rapporti di stampa secondo cui ci sarebbero motivazioni politiche dietro a un’indagine che riguarderebbe la band taiwanese con milioni di fan nella Repubblica Popolare, accusata di aver utilizzato il playback (il ‘lip syncing’ è vietato davanti al pubblico pagante) durante gli ultimi concerti a Shanghai. Pechino nega di aver chiesto loro di fare commenti a favore delle politiche del gigante asiatico (“un’unica Cina”) e di aver avviato un’inchiesta – per fare pressioni sul gruppo – appena recepito il rifiuto. Non solo. Le autorità del gigante asiatico si sarebbero coordinate con i media di Stato per fomentare il dibattito sui concerti della band.
Per l’Ufficio per gli Affari di Taiwan sono solo “fake news”. A Taiwan hanno denunciato una ‘tattica’ arrivata a un livello che non conosce precedenti. Così, ha sintetizzato Wu a Le Monde, lo ‘status quo’ è un “accordo tacito, tra Taiwan e Cina, che le due parti hanno rispettato nel corso degli anni”, ma che “i cinesi non rispettano più”. E “la guerra è sinonimo di disastro per Taiwan, ma anche per la Cina” e “per il mondo intero”. E le elezioni sull’isola rappresentano, dicono gli osservatori, la prima vera incognita del 2024 per l’Amministrazione Biden nell’obiettivo di stabilizzare i rapporti con il gigante asiatico. Perché, dicono esperti cinesi al South China Morning Post, la probabile risposta di Pechino a una vittoria del Dpp potrebbe innescare una catena di eventi che rischia di intaccare ancor più la pur minima fiducia tra Usa e Cina.
Sabato prossimo l’isola di fatto indipendente ma che la Cina vuole “riunificare” eleggerà un nuovo presidente. In corsa per la successione alla presidente Tsai ci sono il suo vice del Partito democratico progressista (Dpp, il campo ‘verde’ delle forze più vicine a questo partito), Lai Ching-te (William Lai), in testa – ma di poco – nei sondaggi, seguito da un ex capo di Polizia, Hou Yu-ih, che si presenta per il Kuomintang (Kmt, il campo ‘blu’), e un ex sindaco, Ko Wen-je, del Partito popolare (Ttp). Alle urne sono chiamati 19,3 milioni di elettori.
WILLIAM LAI (Dpp) – Vice presidente di Taiwan dal 2020, 64 anni, difende l’indipendenza dell’isola e ha un passato di studi in Medicina perfezionati a Harvard. Premier per due anni dal 2017, era stato in precedenza sindaco di Tainan per sette anni.
Dal gennaio del 2023 è alla guida del Dpp, che – evidenzia il Guardian – non sostiene comunque formalmente una dichiarazione di indipendenza. Il Global Times, tabloid nazionalista cinese, lo descrive come un “separatista”. Per Pechino è un “provocatore”. Lui in campagna elettorale ha ripetuto che Taiwan spera di “essere amica” della Cina e si è detto aperto al dialogo con il Dragone ma ha anche avvertito che “la comunità internazionale ha realizzato la minaccia che la Cina rappresenta per Taiwan e il mondo”. HSIAO BI-KHIM è la 52enne ‘running mate’ e, rileva la Bbc, sembra far arrabbiare ancor più di lui il Dragone.
E’ nata in Giappone, da genitori di Taiwan e Usa, ed è arrivata negli Stati Uniti da teenager. Tornata sull’isola, a soli 26 anni era già il punto di riferimento del Dpp per gli affari internazionali. Per tre anni, dal 2020, è stata rappresentante di Taiwan negli Usa, prima donna a ricoprire l’incarico.
Si descrive come una ‘cat worrior’, una risposta personale ai ‘wolf warrior’, i lupi guerrieri della diplomazia cinese, perché – ha detto all’Economist – “i gatti riescono a stare in equilibrio in posti molto delicati” e “non li puoi costringere a fare cose che non vogliono”. Per Pechino è una “irriducibile separatista per l’indipendenza di Taiwan”. Nel 2022 e lo scorso anno, ricorda il Guardian, è finita nel mirino delle sanzioni cinesi e lei e la sua famiglia non possono mettere piede né sul territorio della Cina continentale, né a Hong Kong o Macao.
HOU YU-IH (Kmt) – Ex capo della Polizia e poi sindaco di Nuova Taipei, 66 anni, è molto popolare e per questo è stato scelto dal Kmt. Contrario all’indipendenza di Taiwan, in campagna elettorale – evidenzia la Bbc – ha evitato di esprimersi sulla Cina. E si è attirato non poche critiche. Per la vice presidenza corre JAW SHAW-KONG, 73enne commentatore politico e un tempo leader del Nuovo Partito, sostenitore di vecchia data della “riunificazione” di Taiwan alla Cina anche se di recente ha detto che non lavorerebbe a questo se fosse eletto. Pechino ‘spera’ nella loro vittoria.
KO WEN-JE (Tpp) – Medico che ha messo da parte il camice per la politica (come William Lai), leader 64enne del Partito Popolare (Tpp) si presenta come la “terza scelta” e, evidenzia la Bbc, si è dimostrato popolare tra i giovani elettori. Ex sindaco di Taipei, ha messo insieme il Tpp nel 2019 come alternativa al Dpp e al Kmt.
Il suo nome è diventato noto in parte in associazione al Movimento dei girasoli (nato su iniziativa studentesca nel 2014 per bloccare un accordo con la Cina) e su politica estera e questioni di sicurezza nazionale, sottolineano alcuni osservatori, le sue posizioni sono state spesso in contrasto l’una con l’altra e non è chiaro come sarebbe nella realtà la sua politica estera. Soprannominato ‘Professor Ko’, si presenta in ticket con la 45enne deputata CYNTHIA WU, nata e cresciuta negli Usa con un passato da analista a Merrill Lynch a Londra e poi tornata a Taipei per lavorare nell’azienda di famiglia Shin Kong Group. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)