Si chiamava Roberto Sanna e aveva 34 anni. Fino a un anno fa aveva una vita normale nella sua Pula, in provincia di Cagliari, un lavoro nella raffineria di Sarroch, una fidanzata. Fino a quando, spinto dai colleghi a rivolgersi a un medico per la sua andatura ritenuta strana, scopre di essere malato di Sla. Chi lo conosceva ha raccontato che Roberto si mostrava abbastanza sereno, certo di poter “convivere” (come si dice in questi casi) con la malattia. La malattia, però, ha avuto un decorso più rapido del previsto: in pochi mesi la stampella ha lasciato il posto alla sedia a rotelle e dopo un anno Roberto era allettato. Alla fine, Roberto si è recato in Svizzera e sottoposto alla pratica del suicidio assistito.
Eutanasia e suicidio assistito: sono la stessa cosa?
Eutanasia e suicidio assistito rispondono alla stessa esigenza che è quella di porre fine a una vita divenuta insostenibile a causa di forti sofferenze o per una considerevole riduzione delle sue funzioni. La differenza tra le due pratiche sta nella partecipazione dell’interessato e nei tempi di effetto. Con l’eutanasia l’iniezione letale viene effettuata da un medico e la morte sopraggiunge in pochi minuti, con il suicidio assistito è il malato stesso che assume i farmaci che gli procureranno la morte che sopraggiunge nell’arco di una mezz’ora. Una terza pratica è quella della sedazione profonda: una miscela di benzodiazepine e oppiacei somministrati per endovena per alleviare una sofferenza. In genere è praticata ai malati terminali di cancro e la morte sopraggiunge nell’arco di quale giorno. In ogni caso il paziente che ne fa richiesta deve dimostrare la capacità di intendere e di volere.
Il suicidio assistito a cui Roberto si è sottoposto in Svizzera
In Europa l’eutanasia e il suicidio assistito sono praticabili solo in Paesi come l’Olanda, i Paesi Bassi e la Svizzera. Negli Stati Uniti, invece, sono ammessi solo nell’Oregon, nello Stato di Washington e nel New Jersey. Nello stato elvetico, dal 2000 a oggi le richieste dall’Italia sono aumentate di ben cinque volte. Nel nostro Paese, infatti, la legge non prevede il ricorso a tali pratiche e così aumentano i viaggi per avere “la buona morte”. Come quello di Roberto accompagnato in quest’ultima impresa dalla madre, dal fratello, dallo zio e dalla fidanzata.
Englaro, Welby, Dj Fabo…
C’è chi invece, per motivi diversi, non è potuto andare in una clinica in Svizzera e ha cercato la buona morte per un proprio caro qui a casa nostra. Personaggi come Beppino Englaro o come Piergiorgio Welby che si sono ritrovati loro malgrado portavoce di una battaglia per ottenere la legalità del suicidio assistito e dell’eutanasia in Italia. Una battaglia alla quale ha contribuito anche la vicenda di Dj Fabo grazie alla quale oggi in Italia esiste una sentenza che dichiara legittimo il suicidio assistito. Legittimo non vuol dire praticato poiché per quello è necessaria una legge ad hoc che a oggi ancora non c’è.
In copertina foto di Cor Gaasbeek da Pixabay