(Adnkronos) – Quando si parla di Superlega, oggi, si pensa a un progetto sostanzialmente ‘morto’. L’idea di un calcio esclusivo, solo per club ricchi, nell’immaginario collettivo è stata spazzata via dalla reazione dura dell’Uefa, che ha potuto contare su un diffuso afflato di rivolta dal basso, partita proprio da alcune delle tifoserie delle squadre direttamente coinvolte nel progetto. Eppure, domani la Corte di Giustizia Europea deve prendere una decisione che può cambiare, in un senso o nell’altro, il futuro del calcio europeo.
Si deve pronunciare sul ricorso presentato da A22, la società che ha ereditato il progetto della Superlega, che sintetizzando chiede se sia legittimo o meno che l’Uefa eserciti il suo monopolio sul calcio europeo, escludendo quindi che chiunque altro possa organizzare un torneo ufficiale in Europa senza il suo via libera. Il progetto è nato nel 2021 con un blitz di 12 squadre, comprese Juventus, Inter e Milan.
Rapidamente, in un quadro subito polarizzato, si sono sfilati 9 club e a sostenere la Super League sono rimasti Real Madrid, Barcellona e Juventus. Il club bianconero, nell’ultima stagione alle prese con procedimenti in ambito nazionale e internazionale, ha annunciato l’avvio del passo indietro. Il ricorso è formulato in maniera tale da porre la questione in termini prevalente economici, nel quadro del diritto comunitario.
La passione violata dei milioni di tifosi europei finisce inevitabilmente in secondo piano rispetto alle norme che regolano un mercato, come quello in cui operano le società di calcio. La Corte, in particolare, dovrà stabilire se la principale delle regole imposte dalla Uefa, ovvero che qualsiasi nuova competizione debba essere soggetta ad approvazione preventiva, sia compatibile con il diritto della concorrenza nella Ue. Oppure, al contrario, come sostiene la società che ha di fatto ereditato il progetto della Superlega, che per non sancire un monopolio totale la stessa Uefa debba lasciare una porta aperta garantendo un accesso al mercato.
La sentenza di domani può aprire scenari profondamente diversi tra loro. Nel caso in cui il ricorso venga respinto, l’idea di una Superlega, la si pensi nella sua versione originale o in quella rivista e allargata proposta da A22 a inizio di quest’anno, verrebbe definitivamente archiviata, sancendo l’inviolabilità del totale controllo della Uefa sul calcio europeo. Una strada intermedia, con un accoglimento parziale del ricorso, lascerebbe contendibile il futuro del calcio in Europa, con un confronto che sarebbe presumibilmente alimentato da un rimpallo di tentativi e reazioni tra le due sponde del fiume calcio, che continuerebbe a scorrere con tutti i suoi problemi.
Cosa vuol dire tutto questo per il calcio? Qualsiasi risposta che non voglia essere solo personale, e istintiva, deve tenere conto della profonda trasformazione in atto in tutti i settori, del fattore chiave della sostenibilità economica, ma non può dimenticare la storia e il ruolo sociale del calcio. Soprattutto per una ragione banale. Questi fattori devono coesistere se si vuole realmente pensare al futuro del calcio, che è insieme sport, espressione popolare e industria. Spesso si tende a discutere di quale debba essere l’ordine corretto secondo cui mettere in fila le priorità. Discussione utile se serve a trovare una sintesi, discussione pericolosa se punta solo a mercificare il calcio oppure solo a mettere in piedi operazioni nostalgiche.
Il calcio cambia, si evolve, come tutto il resto. Ma se non si vuole correre il rischio concreto che a forza di cambiare sparisca, per una progressiva consunzione, tenuti fermi alcuni punti imprescindibili. Il calcio deve restare di tutti e aperto a tutti e deve trovare redditività e remunerazione nel sostegno dell’unica fonte inesauribile di sostentamento che ha sempre avuto: il coinvolgimento dei tifosi, che sono una massa di persone che rende il prodotto calcio qualcosa di profondamente diverso da qualsiasi altro prodotto.
Chi ritiene che il prodotto calcio possa esistere solo rendendolo un prodotto elitario continuerà a sostenere una Superlega, un perimetro piccolo dove far entrare chi ha soldi da investire e da spendere; chi crede che possa continuare a essere un prodotto di massa, deve pretendere che gli organismi che lo gestiscono, Lega e Federcalcio, Uefa e Fifa, siano capaci di guardare avanti con trasparenza, iniziando a porre rimedio alla lunga serie di errori che hanno commesso finora. (Di Fabio Insenga)
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