Primo caso di suicidio assistito in Italia con la supervisione del Servizio Sanitario Nazionale. Il mese scorso, una donna di Trieste ha potuto accedere al protocollo, seguendo la trafila richiesta in questi casi. Ha atteso un anno ma alla fine la sua richiesta è stata accolta. Nel nostro Paese, il fine vita non è ancora regolato da una legge ma da una sentenza che pur riconoscendo un diritto non offre la certezza dei tempi.
La storia di Anna
Anna (nome di fantasia) era una donna di 55 anni affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva. La diagnosi le era stata fatta nel 2010 e da allora la sua malattia era progredita fino a renderla dipendente dall’assistenza. Da un anno a questa parte le sue condizioni fisiche le portavano sofferenze insopportabili e aveva maturato il desiderio di porvi fine. Così, il 4 novembre 2022, aveva richiesto all’Asl di competenza la verifica delle sue condizioni per avere accesso al suicidio assistito. Mesi trascorsi senza una risposta l’avevano indotta a sporgere regolare denuncia, presso i carabinieri, per rifiuto/omissione d’atti d’ufficio verso l’Azienda sanitaria e a presentare un ricorso d’urgenza al giudice civile.
Il Tribunale di Trieste, quindi, aveva chiesto all’Asl di accertare le condizioni della paziente e lo scorso settembre era arrivato il via libera della Commissione medica che riconosceva alla paziente la possibilità di accedere al suicidio assistito. Ad Anna, il Servizio Sanitario Nazionale ha, quindi, fornito il farmaco letale e il medico individuato su base volontaria. Questi ha rispettato il protocollo vigente che prevede che il paziente assuma da sé il farmaco e il 28 novembre Anna è morta.
Suicidio assistito in Italia: come funziona
In Italia, dicevamo, il suicidio assistito non è regolato da una legge. Se è possibile praticarlo senza che le persone coinvolte siano perseguibili è grazie a una sentenza della Corte Costituzionale emessa nel 2019. La sentenza prevede che possono accedere al suicidio assistito coloro che presentano i seguenti requisiti:
- essere in grado di decidere in maniera libera e consapevole
- avere una patologia irreversibile
- che tale patologia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili
- essere tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale come respiratori meccanici o ventilatori o da terapie farmacologiche che se sospese porterebbero alla morte del paziente
Il malato che vuole accedere alla pratica deve presentare alla propria ASL di riferimento una richiesta di verifica delle condizioni sopra elencate. Se l’ASL accerta l’esistenza delle condizioni, da il via libera e fornisce all’assistito il farmaco, la strumentazione e il medico per l’assistenza.
A quando una legge sul fine vita?
In più occasioni la Corte ha chiesto al Parlamento di approvare una legge sul fine vita ma finora la richiesta non ha avuto riscontro. Esiste solo un disegno di legge approvato alla Camera e fermo al Senato. La sentenza alla quale si sono appellate persone come Anna non può bastare poiché stabilisce in quali casi le persone coinvolte non siano da ritenere colpevoli, fissa dei requisiti per accedere al suicidio assistito e un criterio di verifica. Ciò che manca, però, è una tempistica stretta e certa che risponda all’urgenza dettata dalla condizione dei malati.
In copertina foto di Sabine van Erp da Pixabay