Uno stato di benesserepsicologico si sa, dipende in primis dal nostro modo di interagire con l’altro sia nella vita privata che in quella sociale, lavoro compreso, non a caso, il moderno concetto del lavoro mira a superare quanto più possibile le differenze fra individuo, organizzazione e aspetti socio – culturali, queste variabili, infatti, rappresentano le prime responsabili del clima lavorativo.
L’opinione pubblica e le istituzioni, sembrano da un bel po’ interessate a questa problematica. Secondo l’Accordo Europeo sullo stress sul lavoro di Bruxelles 8 Ottobre 2004, considerare il problema dello stress sul lavoro significa voler incrementare l’efficienza e le condizioni sia di salute che di sicurezza sul lavoro con i conseguenti benefici economici e sociali che ne possono derivare per l’azienda, il lavoratore e la società intesa nel suo complesso. Da questo accordo ne consegue il D. Lgs 81/2008 e le sue Disposizioni integrative e correttive del 2009 che inizia a parlare di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro introducendo il concetto di rischio di stress da lavoro correlato. Il Decreto ha come finalità quella di offrire ai soggetti del mondo del lavoro, dunque, datori e impiegati, un modello preciso per prevenire e gestire i problemi che derivano dallo stress. La Commissione Consultiva permanente per la salute e per la sicurezza del lavoro ha, infatti, registrato delle indicazioni di base necessarie per la valutazione del rischio da stress da lavoro-correlato per consentirne la classificazione precisa e la successiva individuazione delle apposite tecniche di prevenzione.
Iniziamo dal capire che cosa si intende con il termine “stress”. Secondo Seyle (1936) parlando di Sindrome Generale di Adattamento, si potrebbe classificare lo stress come la reazione biologica aspecifica di tutto l’organismo a qualsiasi agente considerato stressante, ossia, un fattore esterno che, piacevole o meno, implichi l’applicazione da parte dell’individuo della sua capacità di adattamento. Livelli accettabili di stress aumentano la capacità di attenzione e concentrazione della persona, tuttavia, se l’agente stressante diventa permanente o eccessivamente intenso può creare problemi.
Lo stress, oltre che dalla reazione biologica è accompagnato dalla componente psicologica soggettiva, è, infatti, il bagaglio culturale, il sistema di valori dell’individuo e il suo mondo emotivo a spostare l’ago della bilancia, quello che permette di spostare lo stress da fattore costruttivo a elemento di rischio. Per questo, quando si entra nel merito della faccenda bisogna considerare ogni singola sfaccettatura della persona poiché uno stesso elemento potrebbe generare stress negativo in un individuo piuttosto che in un altro.
Ma quali sono le categorie di lavoratori maggiormente a rischio? Si tratta di chi si occupa delle cosiddette helping profession, ossia tutte quelle professioni come medici, psicologi, infermieri, insegnanti, che prevedono necessariamente la relazione con l’altro. Queste persone, infatti, hanno un carico doppio di stress, quello personale e quello che deriva dalla relazione con i propri “clienti”. Il meccanismo psicologico e inconsapevole che si instaura nella sfera privata del lavoratore può attivare delle dinamiche che possono causare la sindrome da burnout.
Dalla relazione con l’altro, infatti, derivano una serie di aspettative o di pensieri del lavoratore che, a lungo andare, possono sfociare in stress. Parliamo ad esempio della eccessiva speranza idealistica di risolvere i problemi di tutti i propri clienti, questo implica un eccessivo impegno, quasi un voler concedere tutte le proprie forze a discapito dei propri limiti psicofisici; il mettersi in una posizione di squilibrio fra le proprie esigenze e quelle dell’altro, in tal caso il lavoratore potrebbe arrivare a negare i propri bisogni e sensazioni più intime superando il limite in cui la relazione si possa definire “helping”, in questo caso il comportamento non gioverebbe nemmeno al cliente; o ancora il sentire di non poter realizzare le proprie aspettative, questo genera inevitabilmente nel lavoratore frustrazione. Queste e altre dinamiche se non gestite correttamente sfociano nella sindrome da stress da lavoro correlato.
Secondo una definizione di Cherniss del 1980 il burnout è il culmine di un processo stressogeno che si articolerebbe in tre diversi momenti:
· La percezione della situazione di stress in cui l’individuo sente lo squilibrio fra le risorse personali e le richieste dell’ambiente circostanti.
· Emotività negativa, durante la quale il soggetto sperimenta la sensazione di ansia.
· Coping ossia il disimpegno da parte del soggetto, l’evitare la problematica.
La sindrome da burnout non è rappresentata come un fatto che riguarda il singolo, spesso, si tratta di situazioni che abbracciano tutto l’ambiente lavorativo circostante, l’azienda e la sua struttura organizzativa. Stiamo parlando di conflitti di ruolo fra colleghi, carichi di lavoro non gestiti bene, contesti lavorativi troppo austeri, limitazione della partecipazione e di decisione per il lavoratore.
Le conseguenze sono molto serie e vanno trattate attraverso gli appositi approcci medici. Alla luce di queste considerazioni un serio progetto di prevenzione si rende necessario. Alcune linee guida sono state definite dall’Inail attraverso il Dipartimento di Medicina del Lavoro; questo ha elaborato uno specifico modello sperimentato su un campione di lavoratori di diversi settori che si estrinseca attraverso tre diverse fasi: la valutazione preliminare, la valutazione soggettiva dei lavoratori e la pianificazione degli interventi successivi.
La prima valutazione ha come obiettivo quello di raccogliere una serie di indicatori di stress da lavoro che siano più possibile oggettivi. Si utilizzano, a tal proposito, appositi strumenti chiamati “liste di controllo” che contengono degli indicatori di stress. A ogni indicatore viene assegnato un punteggio che concorre alla percentuale complessiva di stress. Il punteggio ottenuto consente di catalogare il rischio di stress dell’individuo.
Nella seconda fase, si considera il lavoratore in modo soggettivo per comprendere la percezione personale della propria attività lavorativa, a tal proposito, è somministrato un questionario approntato sempre dall’Inail composto 35 quesiti che riguardano le condizioni lavorative e le potenziali cause di stress aziendali. Nella terza parte di pianifica una vera e propria analisi più approfondita dei rimedi che possono essere posti in essere. Una azione importante tanto più se rientra in un piano di prevenzione. In ottica di prevenzione, infatti, è importante permettere al lavoratore di partecipare a gruppi che li accompagnino nel loro percorso formativo e che accrescano la propria capacità di risposta allo stress. I gruppi così pensati hanno lo scopo di promuovere la crescita personale, fornire un sostegno emotivo, facilitare la condivisione di esperienze emotivamente cariche, accrescere la capacità di auto sostegno e tanto altro ancora che permetta al lavoratore di poter gestire con consapevolezza le situazioni considerate stressanti.