Il pugilato italiano, oltre ad annoverare grandi campioni, annovera, ahinoi, anche tragiche morti sul ring, come quella di Angelo Jacopucci, soprannominato “l’angelo biondo” dalla stampa sportiva. Ho ancora nella memoria quelle tragiche e cruenti immagini di uomo steso inerme sul tappeto che vidi in televisione. Quella morte sul ring mi allontanò definitivamente dal sogno di diventare un pugile professionista. La boxe è uno sport violento anche se viene definito la “noble art”, e la vita strozzata dal ring di Jacopucci purtroppo non è l’unica. Altri pugili hanno lasciato la loro vita sul ring. Sono più di 500.
Una di queste tragedie si consumò il 24 aprile 1962, per la corona dei pesi welter, a New York, davanti a 7.000 e per la prima volta in diretta televisiva, si battono Emile Griffith e Bernardo “Benny” Paret, detto “The kid”. Era la bella per il titolo. Sin dalla vigilia tra i due ci furono molti screzi; Paret al peso inscena un razzismo sessuale, apostrofando l’avversario come frocio, che comunque aveva una sessualità complicata: « Frocio, stasera mi fotto te e tuo marito!». Il clima nel giorno dell’incontro si srotolò sulla falsa riga della vigilia: ormai i due pugili salirono sul ring col pensiero di darsele a più non posso. Alla fine ebbe la peggio Paret; nell’ultima ripresa Griffith sembrava una macchina di pugni tutti bersagliando la testa del rivale con ben 18 destri, al punto da indurre l’arbitro a sospendere l’incontro. Paret si accasciò dal suo angolo sul tappeto. Morirà in ospedale dopo 12 giorni di coma. Più tardi Griffith dirà: « Io uccido un uomo e molte persone lo capiscono e mi perdonano. Al contrario, io amo un uomo e per così tanti questo è un crimine imperdonabile. Mi rende una persona cattiva. E così, anche se non sono stato in prigione, sono rimasto in cella per quasi tutta la mia vita».
Negli ultimi anni anche l’Italia ha pianto alcuni suoi pugili morti dopo un combattimento. È il casodi Fabrizio De Chiara. Era il 1996 e si lottava per il titolo italiano dei pesi medi al palasport di Avenza. L’avversario era Vincenzo Imparato che alla fine del match affermerà: «”il match era chiaramente da sospendere. Già all’ undicesima ripresa, e non capisco perché dall’ angolo di Fabrizio nessuno sia intervenuto. Lui era stanco, in debito di ossigeno, non ce la faceva. Lo conoscevo da una vita, so bene che pugile era: o ti mandava al tappeto entro la sesta ripresa, oppure crollava fisicamente, la distanza non la reggeva. Non erano colpi forti i miei, sì un sinistro allo stomaco e un destro al mento, ma normali, tanto è vero che Fabrizio si è rialzato, dopo essere andato al tappeto, ed ha guardato l’ arbitro con l’ aria di chi voleva dire: posso continuare». Invece si stava consumando un altro dramma nel mondo del pugilato: «E’ arrivata la barella, e a me hanno detto che lo portavano all’ ospedale, ma che Fabrizio era lucido, parlava con i medici, con i soccorritori. Poi sono tornato in albergo, e mentre stavo cenando con i miei compagni è arrivata la notizia che Fabrizio era in coma». Il dramma si consumò alla 12ª ripresa: un montante destro, doppiato da un gancio sinistro, centrarono la mandibola e il mento di De Chiara, che si afflosciò inanime sul tappeto. Riuscì pure ad alzarsi e raggiungere l’angolo ma perse subito conoscenza. Trasportato all’ospedale di Carrara morirà il giorno dopo.
Jacopucci nacque a Tarquinia, nel 1948 e morì a Bologna, nel 1978. Si definiva il “Clay” dei poveri. Conquistò il titolo continentale nei pesi medi ma finì per essere una delle tante vittime del ring. Boxava nella categoria dei medi. Il suo esordio tra i professionisti avvenne l’8 luglio 1973, sul ring casalingo di Tarquinia, dove sconfisse ai punti in sei riprese il britannico Lawrence Ekpeli. Fu anche sparring partner di Carlos Monzón.
Morì per edema cerebrale due giorni dopo il k.o. subito alla 12ª ripresa sul ring di Bellaria nell’incontro per il titolo europeo contro l’inglese Alan Minter, uno col pugno duro, che demolisce gli avversari e che due anni dopo combatterà per il titolo mondiale contro il grande Marvin Hagler. Il campione in carica parte come un toro e centra al volto Jacopucci con un colpo micidiale. Il pugile italiano cade all’indietro, si appoggia alle corde, ma su di lui si agguanta l’inglese come un falco e gli sferra un altro colpo micidiale, ma ormai Jacopucci non oppone neanche una debole difesa. Scivola lungo le corde fino a sedersi sul tappeto. Ormai non ne ha più: lo sguardo è assente. Lo portano negli spogliatoi, ma si sente male, vomita e perde conoscenza. Sarà trasportato in ospedale. Ha un edema cerebrale, va in coma e non si sveglierà più. Dopo la sua morte e quella di un altro pugile, il coreano Duk-Koo Kim, inducono agli organi federali di questo sport a rivedere il regolamento per la salvaguardia dei pugili: si riducono le riprese da 15 a 12, diventa obbligatoria una TAC almeno un anno prima dell’incontro, e non si possono organizzare incontri lontani più di 100 km da un ospedale attrezzato. Ma ormai quelle vite strozzate dalla passione di uno sport non ritornano più.