Non è stato un grande campione Agostino Cossia, ma è stato il primo pugile napoletano, originario di Piscinola, quartiere di Napoli dove era nato nel 1930 e dove è morto nel 2016, a partecipare ai Giochi Olimpici, nel 1956 a Melbourne, in Australia, selezionato dal CT di allora, il californiano Steve Klaus, definito il “papà” del pugilato italiano. A Melbourne non andò come si sperava: nel primo match incontrò il favorito alla medaglia d’oro, il russo Wladimir Safronov, soprannominato “’o mangiacristiani”, come venivano etichettati tutti i russi comunisti dell’Unione Sovietica. Perse ai punti, con un piccolo record, cioè quello di essere stato, a quella Olimpiade, l’unico italiano a non andare al tappeto.
Troppo forte Safronov per Cossia in quel periodo, tanto da diventerà poi campione nei pesi piuma, la categoria in cui boxava Cossia, mandando tutti gli sfidanti al tappeto, tranne uno, appunto, un «giovane proveniente da un paese del sud, che faceva il muratore nella sua città»: Agostino Cossia. Di quell’incontro il napoletano ebbe a sottolineare, con tutta la sua rabbia: «Sono convinto che se lo avessi incontrato due o tre turni dopo, lo avrei battuto: invece pagai l’emozione del debutto, sul ring mi tremavano le gambe».
Iniziò la carriera pugilistica nella palestra “Fulgor” del maestro Geppino Silvestri, lo stesso che porterà poi Patrizio Oliva a vincere la medaglia d’oro all’Olimpiade di Mosca nel 1980. In seguito lasciò la palestra di Silvestri per affrontare una nuova esperienza nella palestra Olimpia del maestro Nino Camerlingo, nato nel 1916, “stella di bronzo” dirigenti nel 1980 proposta dal C.R. CONI-CAMPANIA. Cossia, un mancino con una tecnica poco spettacolare, laboriosa ma efficace, esordì nel pugilato il 6 marzo 1957, a Roma, con una vittoria ai punti contro l’aquilano Otello Valdrappa. Il massimo risultato raggiunto fu la cintura di campione d’Italia tra i dilettanti dei pesi piuma negli anni 1955 e 1956. Aveva come amico e compagno di palestra l’editore napoletano Tullio Pironti che tirava di box per addestrarsi al coraggio, come riportato nel suo volume Libri e cazzotti (Pironti ed., 2005).
Sono gli anni del dopoguerra, dove rabbia e fame, a Napoli trasformano la scazzottata in rivalsa sociale dei cosiddetti “scugnizzi” i quali, per uscire dalla miseria, scommettono tutto sui propri muscoli per alimentare un sogno di una vita migliore sul quadrato di un ring. A tal proposito, Cossia aveva trovato la sua rivalsa sociale nella boxe, ma non riuscì mai ad arricchirsi col pugilato, fermo com’era nella scelta di un pugilato dilettantistico. Si giustificava così Cossia: «Vengo da una famiglia di 12 persone ma il pugilato non l’ho mai fatto per soldi. Lavoravo per una ditta edile, su una tavola senza misure di sicurezza a 50 metri d’altezza. Poi andavo all’Olimpia a via dei Mille a piedi, prendevo cazzotti in allenamento e tornavo a Piscinola. A piedi». Sport puro d’altri tempi!